C’è chi la chiama pillola delle meraviglie (wonder pill). Si tratta di un farmaco scoperto (o meglio, messo a punto) dai ricercatori dell’Unità di scienze riproduttive umane del Medical Research Council di Edimburgo.
di Aura Fede
C’è chi la chiama pillola delle meraviglie (wonder pill). Si tratta di un farmaco scoperto (o meglio, messo a punto) dai ricercatori dell’Unità di scienze riproduttive umane del Medical Research Council di Edimburgo. Uno stimolante che si dice aumenti il desiderio (più onestamente dovremmo dire che aumenta l’appetito sessuale) e che a differenza di viagra e farmaci anti-impotenza agisce direttamente sul cervello (nel sistema limbico) invece che sui meccanismi fisici (vascolari e idraulici, per intenderci). Qualcuno già grida al miracolo (stando a stime recenti, un terzo delle donne e un sesto degli uomini patiscono presto o tardi un crollo della libido e ben venga allora questo toccasana), altri invece meno delicatamente parlano di scoperta dell’acqua calda (la pillola non sarebbe che un comune cocktail ormonale a base di gonadotropine — e che gli ormoni aumentino gli appetiti non è proprio questo capolavoro d’intuizione). Quanto a me, mi guardo bene dal prendere posizione circa una questione che più che a fare gongolare qualche casa farmaceutica poco ha a che fare con la pratica della mia professione. Perché dico questo, a rischio di sembrare cinica o peggio snob? Perché appunto la natura stessa del farmaco — che agisce come ci spiegano i ricercatori sulla mente e non sui genitali — rende la sua efficacia soggetta a infinite variabili.
Volendo una definizione (più o meno scientifica) di desiderio, trovo puntuale quella data dal dottor Roy J. Levin nel ’94: uno stato mentale attivato e insoddisfatto, di variabile intensità, creato da stimoli esterni, attraverso le modalità sensoriali, o stimoli interni, fantasia, memoria, associazioni, che induce la sensazione del bisogno o della volontà di condividere un’attività sessuale (usualmente con l’oggetto del desiderio) per soddisfare il bisogno. Avete capito a cosa alludo quando parlo di infinite variabili (variabili intensità, stimoli esterni, modalità sensoriali, stimoli interni, associazioni, memoria e — permettetemi, ma questa le batte tutte — fantasia)? Perciò mi permetterete se ora desisterò dall’argomentare su pillole che agiscano tra le altre cose anche sulla fantasia (meglio di me, più autorevoli, vi suggerirei di leggere Timothy Leary, William Borroughs o altri psiconauti della beat generation).
Sul serio, il desiderio è già difficile definirlo, figuriamoci mettersi a misurarlo o tentare di regolarlo.
Dal canto mio tuttavia posso darvi da medico un paio di notizie di base sugli appetiti sessuali.
Iniziamo dalla e da un assunto elementare: gli ormoni sono il principio di ogni tensione erotica. Succede tutto dentro il cervello: la scintilla si accende nel sistema limbico cerebrale (dove stanno le emozioni) ed è innescata in entrambi i sessi dagli androgeni (posto certo che non vi siano patologie pregresse nel sistema nervoso e endocrino). Gli androgeni (il testosterone su tutti), oltre a consentire erezione e produzione di spermatozoi, agiscono sul sistema nervoso centrale e lì ingenerano quei pensieri e immaginifici erotici che meglio ci portano al piacere. Nei maschi la produzione ormonale è più o meno costante (e quindi risulta più o meno costante il livello dei loro appetiti), nelle femmine invece varia a seconda dei cicli vitali (pubertà, gravidanza, menopausa, ovulazione): si ha ad esempio più appetito e si prova maggior piacere durante l’ovulazione, quando la produzione di estrogeni e testosterone raggiunge il suo climax (trucchetto biologico per il mantenimento della specie).
Per la precisione, noi donne di principio dovremmo provare il famigerato desiderio quando il livello di estrogeni è tale da permettere agli organi sessuali primari (genitali) e secondari (mammelle) di rispondere al meglio alle stimolazioni, e tale pure (il livello di estrogeni) da serbare in buona salute tutte le cellule nervose, nella fattispecie quelle presenti in certi particolari settori neurali (aree della sessualità e della memoria) dove si ritiene risieda la percezione stessa (o chiamiamola pure consapevolezza) della nostra sessualità.
È questo forse il punto (scientificamente, biologicamente) più rilevante: che senza l’integrità del neurone non c’è qualità di pensiero, né quindi di desiderio. In questo senso perciò buon servizio ci rendono gli estrogeni e il testosterone, con la loro azione neurotrofica. Quanto agli altri ormoni, ricordiamo: che il progesterone ha invece una blanda azione sedativa, che la prolattina ha di regola un ruolo inibitore tanto nella donna (durante allattamento) tanto nell’uomo, e che l’ossitocina (che segna un picco in coincidenza dell’orgasmo) dà un senso di sazietà e appagamento (per cui il desiderio, già soddisfatto, dovrebbe assopirsi).
Ciò detto (biologicamente, cioè che in definitiva tutto si consuma tra le sinapsi del nostro cervello, ormoni permettendo), non faticheremo a comprendere quanto le variabili (psicologiche e non) di cui si accennava prima siano indefinite e incontrollabili. Quanto ad esempio possano influire nei nostri impulsi sessuali farmaci e droghe, così pure le malattie psichiatriche, depressioni e disturbi dell’alimentazione, variabili talora eccitanti e talora inibenti (gli alcolici, ad esempio, abbattono le inibizioni psicologiche e sociali e possono infiammare di desiderio — con la trascurabile controindicazione per cui l’abuso può uccidere, così come metanfetamine e oppiacei — e d’altro canto, senza bisogno di assumere alcunché, vediamo come l’anoressia o più lievemente ogni dieta che pur ci faccia credere più magre, più belle e più sicure di noi, inesorabilmente indebolirà fisico e cervello facendo crollare ogni appetito). Tanta, troppa carne al fuoco perché una sola pillola la possa contenere (e controllare).
Vista quella biologica, diciamo ora due cose della dimensione emotiva-affettiva degli appetiti sessuali: che si rifà al bisogno primario che ognuno ha (ma in differente misura) di attaccamento, di affetto. Differenti misure accordate su princîpi non fisici (ormonali), bensì sociali e culturali. Di questi (princîpi-variabili), vanno segnati i quattro fondamentali:
L’identità sessuale, cioè la percezione e l’acquisizione soggettiva del proprio genere (maschile o femminile), imprescindibile per misura e forma dall’ambiente psico-sociale in cui si cresce (il cliché d’una madre iperprotettiva, per quanto cliché sia, innegabilmente andrà a condizionare la qualità dei rapporti — e degli appetiti —di un figlio, come pure la figura di un genitore violento, o un semplice contesto infantile esasperatamente religioso o, di contro, eccessivamente libertino).
La liberalizzazione sessuale, sulle spinte dei movimenti femminili anni ’60, l’abbandono dei riti di corteggiamento, l’autorealizzazione lavorativa della donna, la svirilizzazione dell’uomo: una nuova visione del rapporto tra sessi che a cinquant’anni è ancora troppo giovane (rispetto a quella secolare antecedente) per sapere bene come ci si debba comportare per ottenere il migliore dei risultati, in fatto di erotismo e complicità (da cui, frequenti incertezze d’identità nelle coppia di oggi, anaffettività, scontri familiari fino alla tanto chiacchierata crisi del desiderio).
Il mutamento morale sessuale, per cui il sesso non è più solo un mezzo per generare, ma anche per divertirsi (e, cedetemi, divertirsi, in un contesto culturale che fin da piccoli ci insegna che la vita è un sentiero tortuoso, una valle di lacrime dove il piacere è peccato, da percorrersi piamente in ragione di un’ascensione, di un’estasi post-mortem, divertirsi, dicevo, e soprattutto sapere come farlo — conoscere le istruzioni per un’estasi in vita — non è per niente semplice, tanto più quando la premessa è che bruceremo all’inferno o ben che vada che diventeremo ciechi).
La qualità delle relazioni (e qui c’è poco da spiegare, non ci vuole un genio a capire che se una relazione va a rotoli, se il partner è violento, disamorato, nessun bombardamento di testosterone servirà a farcelo tornare desiderabile — in questo senso sì, mi sento di trinciare un giudizio: la chirurgia correttiva dei sentimenti, tanto più se chimica, è una porcheria: d’accordo una pillola che richiami una passione solo fisicamente sopita, ma impasticcarsi per farsi piacere ciò che il cuore rifiuta è stupido, se non addirittura una violenza — mi fa pensare alle rape drugs, le pasticche sciolte nei drinks per ottenere l’incosciente condiscendenza sessuale di chi s’incontra nottetempo nei locali).
E sono solamente quattro, questi, dei tanti princîpi socio-culturali (non abbiamo accennato al sesso come organo di potere, alla sua scalata ai mercati internazionali — e non stiamo parlando di basso mercimonio, parliamo di potere reale che molte di noi hanno capito di possedere sotto la cintura, deriva di una cultura ottusamente maschile che per quel patrimonio perde ogni ragionevole compostezza, qualsivoglia importante ruolo istituzionale si ricopra — alludo ai sexygate americani e alle più recenti epifanie geriatriche dei leader italiani), princîpi socio-culturali, dicevo, che su ognuna di noi hanno effetto un differente, impossibile da predire, capaci in ogni loro leggera sfumatura di condizionare una vita intera (figuriamoci con che ripercussioni sulla sfera sessuale e sul desiderio). E anche in questo caso di pillole ne servirebbero a migliaia, differenti, ad personam.
Ad ogni buon conto, attendiamo le conclusioni del Medical Research Council di Edimburgo. Per ora ci dicono che i test di laboratorio condotti sulle scimmie sono stati un successo. Le bestiole hanno intensificato i contatti sessuali dopo le iniezioni della sostanza e pare che (forse dal tanto darci dentro) abbiano perso appetito (mangiano più o meno un terzo rispetto a prima) e abbiano iniziato a dimagrire vistosamente. Certo, a pensarla per gli esseri umani, una cosa del genere in principio magari suona allettante, per le signore soprattutto, quanto agli uomini, un eccessivo dimagrimento, una perdita di energia, alla lunga immagino potrebbe creare qualche problemino idraulico da basso, tanto da rendere necessaria l’assunzione coatta di quell’altra pillola, proprio quella che la nuova, sperimentale, in realtà si riprometteva di mandare in pensione.
Pazienza, memori dell’etimologia della parola (de-sideràre, fissare attentamente le stelle — dal latino sidera, stelle) volgiamo un romantico sguardo rapito al cielo, e se poi ci viene fuori un sospirone, scettico e cinico, non facciamocene una colpa, in fondo è nella nostra natura: dubitiamo, quindi siamo.