La Cassazione dice no al panino da casa. Non esiste un «diritto soggettivo» a mangiare il panino portato da casa «nell’orario della mensa e nei locali scolastici.
Leggo su il Corriere della sera “Non esiste un «diritto soggettivo» a mangiare il panino portato da casa «nell’orario della mensa e nei locali scolastici» e la gestione del servizio di refezione è rimesso «all’autonomia organizzativa» delle scuole. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione, accogliendo il ricorso del Comune di Torino e del ministero dell’Istruzione, e ribaltando una pronuncia favorevole ai genitori degli alunni che preferivano alla mensa il pasto portato da casa. Portare il «panino da casa», scrivono i giudici, comporta una «possibile violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche, oltre che al diritto alla salute, tenuto conto dei rischi igienico-sanitari di una refezione individuale e non controllata”.
Come sempre mi sfilo dalle polemiche fine a se stesse e propongo la mia analisi filosofica con uno sguardo alla relazione e comunicazione umana. Esiste l’Io ed il Noi, l’Io è l’istanza soggettiva con cui mi metto in relazione con gli altri, da ciò nasce il Noi che è una nuova realtà: il Noi sono Io insieme a chi mi vive intorno. Le relazioni nascono dall’incontro tra il soggetto e gli altri senza i quali non ci sarebbe una comunicazione intersoggettiva, le relazioni coinvolgono il Noi che è in continua evoluzione perché si plasma nella relazione. Il cibo, la condivisone di ciò che durante i pasti consumiamo da soli o con altre persone, è senza dubbio un momento importante della nostra giornata: è l’incontro con la diversità e il confronto, è l’unione con gli altri. Mangiando mettiamo in luce i nostri gusti, l’amore o a volte l’odio per il cibo, mangiando ci raccontiamo. Mangiare è un piacere non solo perché toglie la fame e lo stomaco pieno ci fa sentire appagati, ma è anche un’occasione per dialogare con i commensali, per conoscere le loro abitudini, per scambiare pareri anche su ciò che diversi gusti e abitudini ci portano verso un determinato alimento. Tutto ciò per ricordare che i cibi di cui ci nutriamo hanno una storia collettiva ed individuale, sono tradizione che non ci rende uguali ma diversi e in dialogo con noi stessi e con gli altri. L’uguaglianza non aiuta a crescere, l’uguaglianza non stimola il confronto, l’uguaglianza è dei cittadini di fronte alla legge e non di fronte ad un panino o ad un piatto di pasta al sugo. La libertà di scegliere è un insegnamento fondamentale per possedere il senso critico e se da un lato i bambini vanno educati alla scelta lasciando loro una libertà governata da regole, allo stesso tempo i genitori devono poter scegliere come nutrire i propri figli perché nessuno può obbligare ad assumere un determinato cibo. Il valore simbolico di ciò che mangiamo è così potente, così grande, è la vita che entra in noi e che rinnova ogni volta il nostro “essere ciò che siamo” e per questa ragione ci deve essere libertà di scelta.
Riguardo all’igiene, la Cassazione si scorda forse degli innumerevoli casi di intossicazioni alimentari collettive avvenute nelle mense scolastiche dove i cibi prima di arrivare nei piatti dei bambini subiscono innumerevoli passaggi!
E poi si ripete da anni che la diversità arricchisce…idea utopica, impossibile da realizzare con l’uguaglianza decreta per legge. Se ci dobbiamo piegare all’uguaglianza forzata non siamo più in democrazia, se un genitore non può scegliere come nutrire il proprio figlio la libertà non esiste più. Ultimo e non ultimo, una famiglia economicamente svantaggiata risparmia dando il cestino al figlio piuttosto che pagare la mensa scolastica e per appurare ciò è sufficiente eseguire una semplice addizione…