Confondere natura e cultura crea alienazione.
Essere addestrata a sentirmi una donna secondo i parametri di una determinata cultura può fare di me una donna serena ma può anche condannarmi ad una vita vita finta, infelice, difficile. Molto lontana da quello che io veramente sono. Ma allora mi sorge un dubbio: dare spazio alla donna ma anche all’uomo che c’é in me, starli ad ascoltare, accoglierne i dubbi, le domande e perfino i rifiuti può aiutami a crescere nel rispetto della mia natura o é anche questa una forzatura?
Una domanda alla quale fino a poco tempo fa forse non si pensava di dover dare risposta é se i generi sessuali siano un prodotto della storia umana e possano di volta in volta essere ripensati e ricostruiti, oppure se l’essere donna o uomo sia un tratto essenziale del soggetto.
“A mio avviso, l’evoluzione concettuale di identità di genere – dice Elena Luviso, giurista informatica e giornalista- è da considerare punto di partenza: frutto non solo di influenze socio-culturali, ma anche di percorsi individuali, fattori psicologici, e sociologici. Avvertire una discrepanza fra sesso biologico e identità di genere vuol dire tenere in conto la modernità e rifiutare la fissità dei ruoli; non avvertirla, significa mettersi al riparo da interrogativi scomodi, ma impoverire i contenuti del progresso della condizione dei sessi.”
Conosciamo ormai tutti il termine “gender”, usato per la prima volta negli anni ’50 dallo psicologo neozelandese John Money il cui nome é legato a quello del suo paziente David Reimer, nato maschio (Bruce), ma cresciuto come una bambina (Brenda).
Con lui si inizia a parlare di gender role, chi ha caratteri sessuali di entrambi i sessi, nonostante l’ ermafroditismo sessuale, ha una percezione di sé come maschio o come femmina, una identità sessuale disgiunta da quella biologica. Da qui, andando oltre i casi di ermafroditismo, si diffonde il termine identità di genere che indica come ciascuno, ai suoi livelli più profondi, sente di essere, se maschio o femmina, identificandosi o no con il sesso biologico cui appartiene. Questo indipendentemente dal ruolo di genere che definisce, invece, le aspettative di ruolo maschili e femminili della società nella quale viviamo e della cultura di cui la società é la espressione. E dall’orientamento sessuale che indica l’attrazione verso l’uno o l’altro sesso o verso entrambi, indipendentemente dalla nostra identità di genere: io posso sentirmi donna pur amando una donna o, amandola, percepire la mia natura maschile. Posso amare una donna oppure un uomo, indifferentemente, sia che mi senta donna sia che senta prevalere in me una natura maschile.
Per la Società italiana di psicoterapia per lo studio delle identità sessuali (Sipsis) l’identità di genere “indica l’identità complessiva della persona, l’insieme dei piani, delle dimensioni e degli aspetti – dal corpo, alla mente, al modo di presentarsi agli altri – con cui la persona si identifica, viene identificata e si fa identificare dagli altri. Si tratta quindi di una realtà a più dimensioni, che non smette di specificarsi e definirsi, dalla nascita all’età adulta e oltre”.
Percepiamo di essere un maschio o una femmina prima ancora di renderci conto di come siano i nostri organi sessuali, pare che questa consapevolezza si formi entro i tre anni di vita. Si tratta di un sentire molto più sottile che ci accompagna da quando i genitori realizzano di che sesso sia il bambino o la bambina nella pancia della mamma. Copertine rosa, bavaglini azzurri, giocattoli adatti a un neonato o a una neonata ci accolgono insieme alle espressioni di gioia di nonni e amici “E’ un maschio! E’ una femmina!”prima ancora di guardare se i nostri occhi sono tristi o sereni. E cresciamo per lo più con la certezza di essere una femmina oppure un maschio, sapendo cosa questo significhi e imparando a comportarci secondo i messaggi relativi al nostro ruolo sessuale.
Ci sono dei fattori sociali molto evidenti che possono influenzare l’identità di genere. A questo proposito Elena Luviso sostiene che si tratti “della voglia eccessiva di incasellarsi e di entrare a tutti i costi in una categoria. Potremmo parlare anche ironicamente di algoritmo categoriale. La libertà di esprimere se stesse risulta da una molteplicità di fattori tutti riconducibili essenzialmente alla realizzazione personale, all’autonomia economica, ai rapporti con i mezzi di comunicazione, alla forma di governo attenta al femminile e alle sue identità”
Da un lato la famiglia e dall’altro la società non fanno che rimandarci una serie di indicazioni, talvolta consce e talvolta inconsce, legate alla necessità di aderire al nostro sesso biologico e al sentirci, appunto, o maschi o femmine. Anche nelle situazioni familiari di maggiore consapevolezza, nell’immaginario certi ruoli rimangono comunque legati alla moglie (cucinare, occuparsi quotidianamente dei figli) e al marito (guidare la macchina o lavorare fuori casa) e certe emozioni e atteggiamenti verso la vita si diversificano a seconda del genere( un maschio non piange mai, la donna é più fragile e cosi via) e un bambino li assorbe quasi senza rendersene conto, rispecchiandosi nel genitore omologo.
Ma c’é chi non é a proprio agio nel suo sesso di appartenenza, sentendosi maschio pur avendo tutti gli attributi sessuali di una donna e viceversa. Il concetto di identità congloba gli aspetti biologici (appaio fisicamente come maschio o come femmina), sia quelli psicologici (mi sento femmina o maschio, indipendentemente dai miei organi sessuali) sia quelli sociali (il mondo in cui vivo si aspetta da me -che sono maschio o femmina -questa serie di comportamenti). Non per tutti l’identità di genere é una certezza condivisa, per alcuni bambini educati come femmine o come maschi questa é una sfida e capita che provino un disagio affettivo e cognitivo in relazione al genere che é stato loro assegnato. C’é chi sente discrepanza e chi sente sintonia tra il suo sesso biologico e la sua identità di genere. Un individuo può percepirsi come cisgender, sentendo concordanza tra la propria identità sessuale e il sesso biologico assegnato alla nascita. Oppure transgender, percependo una identità di genere diversa.
“Siamo così condizionati dagli stereotipi di genere- afferma Cristina Obber ,giornalista, formatrice e esperta di violenza di genere– che ci uniformano non solo nei ruoli ma anche nei desideri, nelle aspirazioni, nei sogni come nelle scelte di tutti i giorni, che ci vuole una vita, e non sempre ci si riesce, per ritrovarsi.”
Per lo più la tendenza sia della famiglia che della comunità sociale é quella di premiare e incoraggiare il comportamento adatto al proprio sesso, criticando e ostacolando eventuali trasgressioni. Alcuni bambini vi aderiscono spontaneamente, altri invece faticano ad adeguarvisi. “Abbiamo ancora sussidiari in cui negli esercizi si dice che la mamma stira e cucina e il papà lavora, senza mai invertire i ruoli; – continua la Obber– abbiamo i reparti di cancelleria per bambine soltanto rosa e luccicanti, lasciando ai maschi il mondo degli animali e dell’avventura. Idem per i giocattoli. Il problema è che in questo paese non si vuole investire nell’educazione di genere, unica strada, fin da piccoli, per decostruire stereotipi e far crescere bambini e bambine più liberi di esprimersi in base al proprio carattere, al proprio talento, alle proprie caratteristiche, nel reciproco rispetto delle differenze. Non sono poche le maestre che mi dicono che leggendo il mio libricino W i nonni, quando arrivano alla pagina in cui Giorgia gioca a calcio vedono la classe che protesta perché il calcio è da maschi..In tutta questa cultura del genere ci si é fino ad ora preoccupati di più della predominanza gerarchica ( i maschi hanno più potere delle femmine) che non della ricchezza insita sia nella femminilità che nella mascolinità. ”
Fino a che punto gli stereotipi legati a una condizione binaria della sessualità condizionano le scelte e i ruoli del mondo della politica e delle istituzioni?
“Tantissimo, –continua la Luviso- il conformismo gioca un ruolo principe – e non solo-. Sicuramente è un iter evolutivo che presenta spesso ombre di involuzione. Parlerei metaforicamente più di danza dei gamberi. Anche se un occhio più attento, potrebbe considerare l’aspetto estremamente provocatorio di questa domanda. Da un ceto politico non solo maschile, sorprendentemente oscurantista e misogino, per esempio, c’è un incitamento agli stereotipi, a danno delle proprie identità. Le istituzioni sono rimaste più rigide e inadeguate rispetto ai mutamenti sociali.
L’identità femminile “letta” in una società patriarcale relega la donna in ruoli secondari, e questo ben lo sappiamo, anche se la nostra generazione ha imparato a non conformarsi al modello tipico di riferimento, lasciando in eredità alle generazioni attuali ruoli sessuali in costante mutamento. Gayl Rubin, antropologa, nel 1975 ha scritto “The traffic women”, definendo il sex-gender system, un sistema binario asimmetrico che trasforma arbitrariamente la differenza tra i caratteri sessuali biologici in disparità tra uomo e donna. Il genere sessuale è antropologicamente nato dalla pratica dello scambio delle donne, trasformate in dono e ricompensa, in cambio delle attività svolte dagli uomini. Nascendo femmine, le donne assumevano il loro ruolo di genere proprio grazie alla distinzione fra “attività maschile” e “ricompensa femminile”. Quando un uomo dava una figlia in matrimonio ad un altro uomo gli dava una ricompensa che gli permetteva di avere totale accesso alla nuova famiglia e al nuovo status.
”Credo ci sia davvero una crisi di ruolo ed è una crisi legata al potere.- sostiene Maria Giovanna Farina, filosofa- La violenza nei confronti della donna si esprime in diverse forme fino a giungere al femminicidio che ho definito (in Ho messo le ali, Maria Giovanna Farina, II edizione) “Delitto del potere perduto”. L’uomo ha perso l’egemonia sulla donna, essa non dipende più da lui in forma esclusiva come nel passato e se a ciò sommiamo la libertà che lei ha raggiunto di porre fine alla relazione di coppia, ecco che molti uomini non reggono più il confronto. Naturalmente l’uomo non giunge, per fortuna, sempre ad uccidere, ma se non riesce a tollerare la perdita di potere sulla partner, ecco che il suo atteggiamento violento lo esprime in altro modo: col disprezzo, con la derisione e con la sfiducia nelle capacità della sua compagna. Il cammino è lungo, l’uomo ha secoli, direi millenni, di potere e per questo la messa in discussione della propria supremazia è per lui difficile da accettare: è necessario un costante lavoro educativo a partire dalla prima infanzia…”
Quello che tutti stiamo cercando di comprendere é il senso della mascolinità e della femminilità avulsi dalle regole di comportamento che la società nel tempo ha imposto . Si rende necessario instaurare rapporti più distesi- continua la Farina– dove la lotta, o meglio il dialogo che crea confronto, non manchi ma che sia finalizzata ad una miglior convivenza. Credo che la crisi di ruolo si faccia sentire ma sono fiduciosa: sento che l’uomo sta diventando più capace di “ascoltare” la donna e ciò gli permette di accettare la perdita del potere.
Ma forse un passo essenziale é unire il maschile e il femminile che sono dentro a ciascuno di noi. Perché, lo sappiamo, ciascuno di noi, indipendentemente dal sesso cui appartiene, ha in sé componenti energetiche maschili e componenti energetiche femminili. Anni fa, insieme a Dede Riva, ho creato un documento, firmato dai maggiori esponenti della cultura europea e non solo, chiamato Manifesto Progetto Creatività, via del Femminile alla Trasformazione..proprio su questo tema. Ma questa é un’altra storia..
1 commento
l’articolo fa cinfusione. l’identità di genere è innata come l’orientamento sessuale, spesso l0identità coincie col sesso bioogico, a volte no ed è ilcaso delle persone trans. Ma il ruolo di genere è un’altra cosa: una donna resta tale a prescindere dal look e dal ruolo di genere e un uomo idem. una donna che ama truccarsi, avere i capelli lunghi, indossare certi vestiti è donna libera non stereotipata come una donna che a un look diverso, stesso discorso per gli uomini