Ecco com’era la vita delle donne quando erano ancora… invisibili
di Erica Arosio
“La vita invisibile di Euridice Gusmão” racconta la condizione femminile in un’epoca in cui i diritti erano negati. E lo fa mettendo in primo piano il dolore, il senso di impotenza, la frustrazione e vani tentativi di ribellione
diretto da Karim Aïnouz
con Carol Duarte, Julia Stockler, Gregorio Duvivier, Fernanda Montenegro, Barbara Santos
tratto dal romanzo di Martha Batalha “La vita invisibile di Eurídice Gusmão” (pubblicato in Italia da Feltrinelli Editore)
Azzardo: ma sì, lo dico, è il più bel film che io abbia mai visto sulla condizione femminile. Riesce a raccontare l’essenza, ovvero l’invisibilità. Perché questo sono state le donne fino a 50 anni addietro, invisibili e senza diritti. E lo fa senza urlare, tenendosi alla larga da qualunque tentazione ideologica, pur non ignorando nessun aspetto dell’emarginazione e della sottomissione. Mettendo in primo piano il dolore, il senso di impotenza, la frustrazione. Il vano dibattersi in una ribellione costantemente repressa.
Si parla di lavoro, di amore e di sesso, di emozioni, di relazioni. Di sogni, di aspirazioni e di paure, di famiglia, di malattia e follia (un capitolo su cui resta ancora molto da dire, quello delle donne e del disagio mentale). Di sorellanza, di amicizia al femminile, di maternità, di fronte comune contro lo strapotere maschile. E di tanto tanto altro ancora. Niente, ma proprio niente è trascurato in questo magnifico emozionante affresco di cui nessuno dei pur molti 139 minuti appare di troppo e nessuno è sprecato. Che davvero tutte le donne e soprattutto tutte le giovani donne corrano in massa a applaudire una storia che contiene in più anche tutto il magico incanto della letteratura sudamericana, da Marquez a Amado.
Rio de Janeiro, 1950. I Gusmão non si possono neppure definire una famiglia conservatrice, sono piuttosto una famiglia normale, perché così era la vita. Il padre comandava, la moglie ubbidiva. E alle figlie non era permesso nulla che prima non fosse passato attraverso le forche caudine dell’autorizzazione paterna. Le sberle e pure le cinghiate non erano appannaggio dei fascisti o dei più retrogradi, le punizioni erano parte integrante di quel processo svilente che per anni era stata l’educazione dei figli. In particolare quella delle femmine che, domate, si spegnevano per diventare, svuotate di tutto, funzionali alla società. Mogli e madri. Chi osava ribellarsi o aspirare ad altro, molto, ma molto spesso finiva nelle maglie di cliniche, se era fortunata, o di manicomi nella stragrande maggioranza dei casi. La società su questo si reggeva, da millenni, ed era impensabile che il meccanismo venisse scardinato.
Eurídice, 18 anni, e Guida, 20, le ragazze Gusmão, sono due sorelle che non possono fare a meno una dell’altra. Pur diverse di carattere, Euridice più timida e sognatrice, vorrebbe tanto studiare piano a Vienna. Guida più estroversa e trasgressiva, aspira al grande amore romantico, sono comunque in sintonia su tutto. Si confidano, non hanno segreti, e sono animate da quella meravigliosa energia vitale e creatrice tipica dell’adolescenza.
Ma il destino è in agguato e la passionale Guida, per fuggire dalle grinfie paterne, ma soprattutto travolta dal fascino di un bellimbusto greco, lo segue dall’altra parte dell’oceano. Lasciando la sorella sgomenta e i genitori pronti a diseredarla, economicamente e affettivamente.
Ma il fascino dei mascalzoni è volatile, così presto Guida torna in Brasile, incinta e quando si presenta in famiglia, il padre la scaccia da casa, nascondendo a Euridice il suo ritorno. Per tutta la vita le due sorelle non smetteranno di cercarsi e… no, non ve lo racconto se, vivendo ambedue a Rio, si sfioreranno mai o se alla fine ci sarà l’agognato ricongiungimento.
Non vi racconto neppure le loro vite parallele, segnate dalla fatica della sopravvivenza che se sei donna è centuplicata. Non vi racconto la tenacia di non arrendersi e neppure i tanti magnifici e mai scontati personaggi secondari. Elementi di un coro che sottolinea ogni istante dell’affanno, ogni anelito di libertà, ogni illusione di sogno realizzato. Cosa avrebbero potuto diventare le due donne in un’altra epoca, con un fato non avverso e soprattutto forti dell’appoggio reciproco? Allo spettatore (e alle spettatrici) la risposta.
Si lascia la sala con gli occhi umidi e con tanta rabbia nel cuore. Perché un tempo (e non era neppure secoli fa) neanche le guerriere ce la facevano a sopravvivere.
Nessuna speranza e nessuna salvezza per le donne schiacciate dalla impietosa ferocia della società patriarcale per la quale era impossibile immaginare una condizione femminile differente. Ma solo donne, mogli, figlie, amanti annientate da uomini mostri consapevoli e inconsapevoli, granitici nella loro convinzione di portare avanti l’unica logica sociale, affettiva, familiare e politica ipotizzabile.
Tutto il bene possibile per una grande storia raccontata (e filmata con severa intensità) immune da forzature e fanatismi. Film di grande universale respiro portato avanti da due attrici in stato di grazia servite da una fitta rete di personaggi di secondo piano, tutti ugualmente perfetti. Imperdibile.