In un’algebra sintattica perfetta la De Beauvoir qui è nuda.
Ci dice tutto. E ci lascia sgomenti.
In tre racconti, tre traumi che ogni donna teme.
L’abbandono. Il tradimento. La morte di una figlia, suicida.
Mentre nei primi due racconti si oltrepassa il board della dignità e si racconta di una fragilità sbattuta e prostituta, di quell’attitudine tutta femminile di penalizzarsi dopo l’abbandono, di confrontarsi con le rivali, di odiare e perdonare in un solo cuore, il terzo racconto ha un registro davvero superiore all’umano.
Linguaggio giustamente sboccato, una rabbia irrefrenabile, quel desiderio di negare il lutto, di voler scherzare con la tragedia, di far finta di stare sognando e di avere l’ultima parola.
Un racconto oltre il possibile, oltre le parole umane, di una bellezza divina e delirante.
Nessuna paura di trasgredire la grammatica, di accoppiarsi ripetutamente con gli aggettivi. Quando si perde un figlio si riempie un pagina con la stessa parola di strazio, a ciclo, senza fine.
Non una triade di racconti, ma un calcio di taglio.
Provatelo, armati però.
Voto 9 e vado