Ho conosciuto Cristiana nel corso di una piacevole serata di grande convivialità attraverso MoMoWo – Women’s Creativity since the Modern Movement – e il concorso internazionale di fotografia che era stato lanciato tra le prime attività di MoMoWo, cui seguì la mostra “Exploring Women Arhitecture & Design” di presentazione dei progetti vincitori, uno dei quali il reportage di Saverio Lombardi Vallauri che ha ripreso Cristiana in una serie di trittici che la ritraggono all’interno del suo spazio domestico e sottolineano il forte dinamismo della sua giornata, enfatizzano il movimento e l’attendere alle molteplici attività che compongono l’esercizio professionale di Cristiana, architetta e designer, toscana di nascita e milanese di adozione.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Quando sei piccola e disegni bene, tutti ti dicono che da grande farai l’architetto. Lo sono diventata, ma forse è stato un caso. Ho deciso del mio futuro professionale in assoluta libertà e proprio in virtù di questa libertà l’ho messo in discussione più volte. Ho interrotto gli studi per uno stage in svizzera, poi ho fatto un anno ad ingegneria e cercato lavoro a Milano come PR stampa. Alla fine, però, sono sempre tornata sulla mia strada… Credo che sia stata l’architettura a scegliermi, e non il contrario. Sapevo di volere una vita non convenzionale e ho finito per innamorarmi di un mestiere pieno di sorprese e risvolti inaspettati.
Architetto o Architetta?
Architetta, anche se non mi presento col titolo perché valuto le persone in altri modi. Anche nel mio studio si tiene conto di questa visione; cristiana vannini | arc anziché Arch. Cristiana Vannini. Mi occupo di architettura con passione e per me questo conta.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
È un po’ come vivere un amore difficile; dedicare il proprio tempo e le proprie risorse ad un’attività non adeguatamente percepita, a fronte di grandi responsabilità… La professione è diventata fluida, contaminata da nuovi fattori e discipline, e se da un lato si è arricchita di opportunità, dall’altro ha confuso i propri confini. La perdita di parametri d’azione comprensibili ha indebolito i criteri di valutazione e riconoscimento, e si è entrati a far parte di un meccanismo molto più complesso di quello che si può controllare.
Com’è nato e maturato il progetto Fassamano? E in particolare come concili la tua attività progettuale con la diffusione di Fassamano?
Tra mille e mille progetti sviluppati nel corso degli anni, ho sentito il bisogno di trattenere qualcosa. Ho creato Fassamano per rispondere ad un’esigenza personale, ovvero un difetto fisiologico della vista definito presbiopia. Ho immaginato, disegnato e realizzato un occhiale da collo di design, dedicato alle letture istantanee. Quando ho voluto far crescere il progetto, da designer sono diventata anche imprenditrice e, di conseguenza, cliente di me stessa. La percezione allora è cambiata, conquistando un punto di equilibrio tra logiche di mercato e aspirazioni creative; ma l’ostinato perfezionismo è comunque rimasto! A prescindere dalla natura del progetto e dal ruolo che assumo, applico al mio lavoro principi che ritengo universalmente validi. Tutto questo richiede un impegno importante, anche in termini temporali. Tra Fassamano e cristiana vannini | arc le mie giornate sono sempre piuttosto piene!
Cos’è per te la Bellezza?
Per me bellezza significa chiarezza, originalità e funzionalità; semplicità non banale nel caos dell’universo. In ogni progetto mi sforzo per restituire un prodotto leggibile, che appaia spontaneamente risolto dal punto di vista spaziale, anche se nulla è lasciato al caso. Ogni dettaglio è selezionato con cura tra decine di alternative, per restituire la migliore soluzione possibile. Per me la bellezza è nel processo, nella perseverante ricerca della qualità.
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Attraverso l’empatia, che ritengo essere una dote prettamente femminile. Disegno spazi estremamente sensibili alle esigenze delle persone, curo ogni minimo dettaglio in modo che l’ambiente costruito possa risultare comprensivo, intimo e familiare. Una casa, un ufficio o un oggetto di design rivelano empatia quando si adattano alle necessità materiali e spirituali degli utenti, migliorandone la qualità della vita.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne?
Soffriamo di una sindrome di inadeguatezza lecita, ma questo non vuol dire che siamo inadeguate, anzi… Significa che mancano ancora numerosi role model femminili nell’immaginario collettivo; è una questione storica. Mentre gli uomini hanno governato il mercato del lavoro per millenni, le donne ci sono entrate solo in un secondo momento, questo è innegabile. Immagino che, col tempo, le cose miglioreranno. Però questo aspetto pionieristico mi diverte molto!
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Magari un po’ di scetticismo, prima di conoscermi, ma le discriminazioni capitano continuamente purtroppo, non solo alle donne, quindi non la prendo come una questione personale.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Purtroppo, il settore versa in indiscutibile difficoltà sia per quanto riguarda il mercato, che per la valorizzazione della libera professione intesa come prestazione di pensiero, non solo di servizi o merce e questo vale a prescindere dal genere. Tuttavia, mentre gli uomini hanno avuto tempo e modo di agire e sperimentare, le donne possono definire modalità nuove di fare architettura e affrontare il lavoro perché il campo è ancora libero.
Che rapporto hai, nel tuo lavoro e nel quotidiano, con la tecnologia?
Vedo la tecnologia come una grande opportunità; internet è stata una rivoluzione democratica enorme, che ha cambiato tutto. Approfitto quotidianamente dei benefici del mondo digitale ma, ogni tanto, sento il bisogno di spegnere il telefono, per disintossicarmi in un posto analogico, fisico o spirituale.
Come è organizzato il tuo lavoro? Cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Seguo ogni progetto personalmente perché vendere un prodotto tailor-made significa offrire una precisa matrice stilistica che necessita di un riferimento, ma credo nel lavoro di squadra, nel confronto e nella condivisione. In studio ascolto le opinioni di tutti e sono pronta a mettere in discussione le mie idee. Coopero coi membri del team per raggiungere un obiettivo comune e concordato.
A quale dei tuoi progetti sei più legata?
I progetti creativi sono un po’ parte di noi, come si può scegliere un preferito? Hanno tutti una matrice comune perché curo la coerenza del processo. Potrei descrivere un lavoro di venti anni fa, esattamente come parlerei di un’opera recente. Naturalmente cambiano le tendenze, ed aumenta l’esperienza, ma restano i principi fondamentali del mio lavoro. I progetti residenziali mi piacciono molto comunque, mi coinvolgono particolarmente e nel lavoro non mi risparmio. La passione che mi suscitano è visibile e viene percepita dai clienti, che si affidano serenamente perché sanno che restituirò loro un abito di alta sartoria perfettamente su misura, uno di quelli dal fascino senza tempo e che durano una vita.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti ad una ragazza di iscriversi ad architettura o design?
Il mondo del design è affascinante, tanto quanto l’architettura. Anche se in Italia il mercato è saturo, si può valutare la possibilità di esercitare all’estero o di immaginarsi, dopo la laurea, nuove frontiere della professione, come lo spazio virtuale! Gli studi in architettura sono un approccio alla vita, un metodo per risolvere problemi di natura eterogenea. Essendo estremamente versatili, siamo in grado di riconfigurarci sotto forme diverse, a seconda del bisogno, e questo è un grande vantaggio…
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata?
La Proust di Alessandro Mendini e la Stazione di Santa Maria Novella. Ho lavorato con Alessandro per diversi anni e vedo quella poltrona come la sintesi di un pensiero geniale. La stazione di Firenze, che mi vede passare da trent’anni è un simbolo di appartenenza alla mia città natale, oltre al fatto che è bellissima…
Come riesci a promuovere la tua attività progettuale?
Insieme al web editor del team ho aperto un blog che si chiama DesignFanzine. Periodicamente pubblichiamo articoli legati al mondo del design. I progetti realizzati dallo studio forniscono lo spunto per trattare tematiche più ampie che interessano un pubblico eterogeneo, anche non direttamente interessato alla progettazione. È un modo per spiegare il nostro lavoro e avvicinare le persone al mondo dell’architettura e del design. I contenuti sono suddivisi in tre sezioni: living, working ed exhibit. Poi ci sono i social, come Instagram, che è diventato una diretta estensione del blog.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai…
Il caffè ed il caos. La mia scrivania sembra disordinata ma in realtà è una mappa. Riesco a trovare tutto senza difficoltà perché la confusione è allestita, non gratuita. Al tavolo di lavoro assumo la mia postura esistenziale preferita e mi ritrovo nel posto migliore per pensare.
Una buona regola che ti sei data?
Coerenza, rispetto ed onestà; può sembrare una risposta banale ma non lo è. Questo per me significa mettersi in discussione spesso, cercare di valorizzare le proprie capacità, ma anche accettare i propri limiti… Talvolta faccio delle rinunce, ma il ritorno di questo approccio nella vita privata, credo non abbia prezzo.
Il tuo working dress?
Il mio è un living dress. Mi vesto per sentirmi a mio agio e rispecchiare la personalità, a prescindere da cosa imponga l’etichetta. Gli abiti sono un costume e vanno valutati con la giusta leggerezza.
Città o campagna?
Città per vivere e, da buona toscana, la campagna più bella del mondo per sognare.
Qual è il tuo rifugio?
Gli amici, ad occhi chiusi.
Ultimo viaggio fatto?
Sono stata in Cina, un paese che bisogna conoscere, oggi più che mai, strettamente legata allo sviluppo occidentale. È stato un viaggio fortemente voluto, per sfatare una serie di luoghi comuni da cui siamo costantemente bombardati. Senza l’ambizione di conoscere un luogo solo attraverso una vacanza, sono rientrata con un’impressione molto positiva ed una totale apertura nei confronti di questa realtà.
Il tuo difetto maggiore?
Sono troppo mediatrice.
E la cosa che apprezzi di più nel tuo carattere?
La curiosità.
Un tuo rimpianto?
Non aver comprato, tanti anni fa, un dammuso a Pantelleria.
Work in progress…?
In questo momento stiamo lavorando ad un progetto residenziale. Una ristrutturazione/restauro di un appartamento milanese dei primi del Novecento dai soffitti altissimi. La coppia che ha acquistato la proprietà lo ha scelto perché oltre i vecchi e malconci muri esistenti, ha visto una casa. Ho percepito la stessa sensazione quando ho attraversato il portone di ingresso e farò di tutto per conservare quest’atmosfera.
Contatti
cristiana vannini | arc
milano, via oxilia 23-20127
tel. +39 02 2680 9419
@cristianavanniniarc
designfanzine
milano, via oxilia 23-20127
tel. +39 02 2680 9419
@designfanzine