Corpi e tecnologia: il numero autunnale di Marea indaga sull’intreccio della contemporaneità
“La tecnologia non è neutrale. Siamo dentro ciò che facciamo e ciò che facciamo è dentro di noi. Viviamo in un mondo di connessioni e importa quali vengono create e quali non vengono realizzate”.
Donna Haraway, tra il 1985 e il 1991, scrisse il Manifesto Cyborg intuendo che la tecnologia avrebbe radicalmente modificato l’esistenza umana nel terzo millennio, e non sbagliava. Quanto, e come, i frutti dello sviluppo tecnologico avrebbero inciso sui corpi e sulle menti umane è oggetto di analisi, studio e dibattito in corso, in questa epoca che, rispetto alle altre precedenti nella storia umana, consente di vivere e verificare in diretta ogni passaggio successivo del potenziamento della connessione tra umanità e macchina.
Etica, politica, filosofia, economia, lo stesso concetto di umanità non è più lo stesso che abbiamo studiato e conosciuto nel ‘900, perché in due decenni lo sviluppo velocissimo al limite della vertigine della tecnologia ha introdotto concetti come post umano, biopotere e tecnosoma nel discorso pubblico: la stessa Haraway arrivò a dire che “il confine tra fantascienza e realtà sociale è un’illusione ottica”, e per le generazioni future questa affermazione sarà sempre più veridica, come prova a raccontare questo sito https://www.labalenabianca.com/2018/01/12/rileggere-donna-haraway-ai-tempi-stranger-things/
Ciò che di positivo e fecondo, o al contrario di pericoloso e distruttivo porterà nelle esistenze umane la sempre più invasiva presenza della tecnologia lo vivranno le generazioni a venire: a noi, che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo la transizione, il compito di provare a lasciare riflessioni, porre domande e azzardare qualche risposta che speriamo siano delineate in questo numero di Marea, usando la consueta lente di ingrandimento dell’ottica critica femminista anche in un territorio così ostico e impervio. Buona lettura!