La denominazione di “Stati generali” è stata ‘esportata in un linguaggio più generico e non strettamente politico, conservandone però il significato di spazio aperto di dialogo, accessibile a tutti i portatori di interessi collettivi su una precisa tematica’.
Con questa terminologia, “Stati generali”, si fa comunemente riferimento ad una istituzione che fu in vigore nel lungo periodo della monarchia francese (États généraux).
Sebbene quest’assemblea fosse nata con la funzione di limitare e controllare il potere monarchico, da parte sua il re l’aveva di fatto esautorata non convocandola.
Essa raccoglieva tutte le forze che avevano a che fare con lo Stato (clero, nobiltà e terzo stato) e il suo ruolo contemplava di riunirsi quando si fossero presentati pericoli per il paese. Ebbe il suo momento di apicale protagonismo durante la Rivoluzione francese del 1789 quando i suoi membri strinsero il “Giuramento della Pallacorda”che imponeva di non sciogliersi sino a quando il re non avesse concesso le libertà richieste. Come si svolsero poi i fatti li racconta la memoria storica.
Oggi
Nell’ epoca contemporanea, la denominazione di “Stati generali” è stata ‘esportata in un linguaggio più generico e non strettamente politico, conservandone però il significato di spazio aperto di dialogo, accessibile a tutti i portatori di interessi collettivi su una precisa tematica’.
Tra il passato e l’oggi si evidenzia però una differenza sostanziale.
All’inizio infatti essi furono una struttura (parallela al sistema feudale) che si basava sul riconoscimento degli interessi generali di tutti i gruppi sociali nel loro insieme, dunque di tutta la società civile, assumendo di fatto un valore politico imprescindibile.
Gli “Stati generali” a cui ci si sente appartenenti oggi si configurano piuttosto come espressione di varie categorie, separate e portatrici di interessi diversi.
Altresì esistono alcuni gruppi sociali definiti “fasce deboli”. In esse sono indicati donne-anziani-bambini, come si evidenzia da studi, ricerche e statistiche, senza una scala di priorità sostenibile. Due dei soggetti in questione, anziani e bambini, purtroppo non sono in grado di autoconvocarsi e rappresentarsi alla politica se non attraverso terzi ma, per quanto riguarda le donne la situazione assume connotati diversi.
Più precisamente siamo in grado, come genere, di affermare che una morta non è “una donna morta” ma una persona uccisa.
Ieri
Nel passato remoto e recente, dopo gli anni del femminismo che ha avuto il merito di richiamare l’attenzione sulla questione di genere nella politica e nel mondo, dopo le battaglie referendarie ecc., le risposte della politica si sono tuttavia reiteratamente dimostrate insufficienti, piuttosto attente ad intestarsi, a volte arbitrariamente, i pochi successi.
E’ stato solo grazie alla politica per la “parità e l’uguaglianza delle donne”, innescata e imposta dalla Comunità Europea a tutti gli Stati aderenti, che il nostro Paese ha intrapreso la strada istituzionale per la politica di genere.
L’obbedienza alle raccomandazioni-linee emanate di volta in volta non ha dato purtroppo i frutti sperati.
Le “donne” sono state di volta in volta usate impropriamente per ottenere un maggiore consenso elettorale dai partiti costringendole a mediare continuamente le loro richieste fino ad esautorarle di contenuto e a legarsi ad appartenenze garantiste quanto indifferenti. La politica “femminile” è rimasta monopolio della politica “generica” e delle sue convenienze.
Decenni d’impegno delle donne nel politico, nel sociale, nell’associazionismo, nel sindacato, in ogni realtà professionale sono stati resi vani.
“Conquiste” come le quote rosa, le azioni positive, le liste di genere, le rappresentanze numeriche come strumenti di rinnovamento hanno mostrato i limiti dell’obbligo al posto della consapevolezza.
A causa di un cattivo uso di questi strumenti poche le donne che hanno conquistato spazi reali di rappresentanza. Ma non sono solo i numeri che possono fare la differenza.
Certo che oggi le donne sono molto più presenti che in passato, grazie a queste norme, ma non per questo esse riescono a contaminare il profondo pregiudizio di genere che limita ancora la società.
Le donne e la politica
E’ la politica, quella che provvede all’organizzazione e amministrazione dello stato e della vita pubblica, che emana leggi e regolamenti, che esercita il diritto dovere di rapportarsi ai cittadini ed ai loro bisogni, che deve dare risposte adeguate. Per questo le richieste poste dalle donne non devono essere considerate l’esasperazione di un fenomeno già risolto, bisognoso forse di qualche aggiustamento. Perché le donne non sono una categoria di cittadine scomode e incontentabili ma un valore trasversale per il Paese.
Non esistono argomenti di genere ma la complessità di genere.
In questo millennio che volge verso un futuro dinamico e imprevedibile, accostarsi alla componente femminile mostrando maggiore interesse a tematiche che riguardano famiglia-maternità-sessualità piuttosto che lavoro-formazione-economia-ambiente ecc. come fossero cose distinte, non sviluppa politiche di avanzamento. Purtroppo anche nel recente dibattito politico si è manifestato questo atteggiamento “conservatore di genere”.
In campo
Dopo gli anni del femminismo, cui con orgoglio e spesso si fa riferimento, le donne non hanno mai cessato di rivolgersi alla politica considerandola interlocutore primario ma senza fare mai salire il livello del confronto. Anziché reagire in modo “rivoluzionario” hanno scelto la via della responsabilità limitata, troppo spesso esiliandosi in un posizionamento difensivo.
Altre, come è il caso del movimento “Stati Generali delle Donne”, operante da cinque anni su tutto il territorio nazionale, ha sviluppato una rete che opera con energia straordinaria e grande competenza. Molte delle sue aderenti hanno svolto o svolgono incarichi prestigiosi.
Riunitisi per la prima volta, su convocazione di Isa Maggi che ne stata l’anima il 5 dicembre 2014 a Roma presso il Parlamento Europeo, essi si sono sparsi a macchia di leopardo su tutto il territorio dando vita ad un percorso di modernizzazione del concetto di “stati generali” pur mantenendone la forza espressiva.
Altre realtà e in diverse occasioni, anche culturali, hanno usato una terminologia simile per indicare la fine della pazienza e della resilienza femminile. Ma per divenire ed esistere come unica realtà sarebbe importante che tutti questi gruppi aderissero e convogliassero in un unico soggetto.
Altri
Le affermazioni che ultimamente sono venute da alcune forze partitiche per affrontare la politica del femminile inquieta. Nel merito, le forze di governo ma anche di opposizione che si sono succedute nel tempo, hanno mostrato scarso interesse salvo farne un vessillo elettorale.
Forse è arrivato nuovamente il momento di rimescolare la metodologia politica al femminile per portare loro una ventata d’innovazione.
I partiti tradizionali, che si sono avvalsi nel passato (forse ancora ma non se ne sente la presenza) di sezioni di lavoro specifiche al loro interno, “commissioni femminili”, hanno perso credibilità da tempo fra le loro stesse appartenenti e non è presente alcuna loro posizione nel dibattito.
A loro volta gli organismi istituzionali predisposti ad operare e monitorare la politica di genere si sono adoperati a loro volta più in attività interne alla propria struttura che in azioni riconoscibili all’esterno. Tendenzialmente, nelle istituzioni preposte, ci si è adoperati alla realizzazione di progetti di ricerca, pur utili, piuttosto che in altri spazi di formazione e di comunicazione.
Al contrario il movimento degli SGD, ha individuato differenti modalità d’intervento per convogliare forze e saperi verso un unico progetto.
Questo dimostra che se “tutte” le forme di partecipazione delle donne trovassero forma, forza e volontà di aderire ad un progetto comune e se gli SGD ottenessero un riconoscimento istituzionale, tutte insieme potrebbero divenire il “soggetto” idoneo ad indire un tavolo d’incontro-confronto nazionale in cui concordare proposte comuni e divenire di fatto un organo consultivo permanente del governo fino alla realizzazione del progetto stesso.
Gli “Stati generali” avrebbero così adempiuto al “perché” della loro chiamata.
Ora
In questo millennio potrebbe presentarsi l’ultima possibilità d’invertire queste tendenze. La “questione” di genere è un tema che travalica i confini di ciascuno stato nel mondo.
Le donne sono ancora soggetti di terribili vessazioni contro le quali il nostro Governo dovrebbe assumere una posizione anche a nome di tutte le altre e in particolare delle sue cittadine.
Attente alla contemporaneità, ai saperi scientifici, allo sviluppo delle tecnologie, il movimento delle donne deve contemporaneamente confrontarsi con antichi stereotipi, che ne limitano l’esistenza, per sconfiggerli e non per tollerarli.
Si tratta infine di scrivere, tutti insieme, nuove regole di sopravvivenza e di convivenza.