Purtroppo o per fortuna ci si abitua a tutto, anche alle situazioni peggiori.
di Max Bonfanti
L’altro giorno, nel recarmi al lavoro, nel breve tragitto che separa l’abitazione dal mio studio, tragitto che solitamente percorro a piedi, poco meno di due chilometri, ho avuto modo di assistere a scene purtroppo definite di normale amministrazione. A raccontarle sembrano un concentrato di tanti piccoli atti di diseducazione civica riscontrabili in un lasso di tempo molto più lungo, ma vi assicuro che il tutto è accaduto in uno spazio di poche centinaia di metri. Appena uscito dal portone di casa, premetto che non sto parlando di una zona degradata della città, tutt’altro, un bambino di tre o quattro anni, terminato di mangiare una focaccina, getta il sacchetto in strada senza che la mamma, che lo tiene per mano, gli dica nulla, passano pochi minuti ed un distinto signore che ha appena acquistato un pacchetto di sigarette, toglie i sigilli e li butta per terra non prima di aver sputato senza nemmeno accertarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze.
Percorro un altro brevissimo tratto di strada che una elegante signora con al guinzaglio un altrettanto elegante blasonato cane, non si preoccupa minimamente di raccogliere gli escrementi di quest’ultimo. Dulcis in fundo, quando ormai pensavo di averle viste tutte, almeno per quel giorno, vicino ad un cestino per i piccoli rifiuti, come sempre traboccante di sacchetti della spazzatura destinati ai bidoni condominiali, lasciati dai soliti ignoti, trovo il passaggio sul marciapiede sbarrato da un’auto parcheggiata di traverso col muso a pochissimi centimetri dal muro di una casa. Sono situazioni che si commentano da sé alle quali la maggior parte delle persone si è abituato e “transeat”, io non riesco ad abituarmici e spesso, pur non volendo ergermi a paladino di un minimo di decoro, intervengo facendo notare, ma non ho mai incontrato la solidarietà degli altri, quello fuori posto ero io che facevo notare, non sapendomi adeguare alle mode del momento, non il trasgressore.
Ciò deve dare da pensare.
Purtroppo o per fortuna ci si abitua a tutto, anche alle situazioni peggiori. Dico purtroppo perché ci si abitua anche a cose alle quali non ci si dovrebbe mai abituare e per fortuna perché vuol dire che lo spirito di adattamento permette di sopravvivere anche alle situazioni più critiche. Ma quando non ci si meraviglia più di niente e ciò mi riporta ad Aristotele che diceva che il filosofo è colui che si meraviglia, vuol dire che il male ha avuto il sopravvento sul bene, che il più forte può impunemente continuare a sopraffare il più debole, che si può infierire su chi resistenza non è in grado di opporre, che il paleocervello è ri-emerso vincente. E quando l’abitudine porta all’indifferenza anche nei confronti di chi ha bisogno d’aiuto, diventa contraria all’evoluzione, rema contro il progresso, in molti casi è deleteria, toglie vitalità alle relazioni, appiattisce l’esistenza annullando anche ciò per cui si è combattuto.
Max Bonfanti, filosofo analista, dopo il liceo studia Medicina, Psicologia e si laurea in Filosofia all’università Statale di Milano. È studioso delle dinamiche psicologiche del pianto come comunicazione inter ed intra personale nelle sue varie forme ed espressioni da cui è nato un saggio, unico nel suo genere, ancora inedito. L’incontro con Maria Giovanna Farina crea il connubio culturale e umano per la nascita di Heuristic Institution, luogo di sperimentazione filosofica dove crea il T.F.A.R., trattamento fenomenologico delle aree relazionali, un metodo di cura da applicare alla pratica filosofica. Ha scritto numerosi articoli, ha pubblicato un saggio sul tradimento e un romanzo sulle relazioni. Collabora dalla sua fondazione con la rivista L’accento di Socrate.