Un semplice appellativo rivela l’abisso che separa l’uomo e la donna. L’uomo cerca il possesso, la donna punta al legame.” ( Natsuo Kirino. IN)
Il Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bari e l’Associazione GIRAFFA Onlus hanno organizzato la X Edizione del ciclo di seminari di Alta formazione, gratuiti, in materia di contrasto alla violenza di genere dal titolo “Approccio di rete per contrastare la violenza di genere: dalla Convenzione di Istanbul al Codice Rosso” dal 22 novembre 2019 al 17 febbraio 2020.
Il suddetto ciclo di seminari è finalizzato alla formazione di avvocate e avvocati, magistrati, operatori sanitari, operatori del terzo settore e forze dell’ordine, si pone l’obiettivo di realizzare un approccio sistemico al contrasto della violenza di genere in un un’ottica di rete e di scambio di competenze.
Il ciclo di seminari rientra nelle attività previste dal DPCM regionale 2018 riguardante il contrasto alla violenza di genere, ex Legge 29/2014.
Quindi, il secondo seminario ha affrontato il tema del linguaggio di genere “L’importanza delle parole e l’elogio della lentezza: quale cambiamento culturale ?”.
Insieme alla presidente del CPO dell’Ordine degli avvocati di Bari, Giovanna Brunetti, ed alla presidente di Giraffa Onlus, Maria pia vigilante, ne hanno discusso la professoressa di linguistica applicata dell’Università Roma II, Stefania Cavagnoli, l’avvocata dell’UDI – Unione Donne in Italia e Presidente del CPO degli avvocati di Ravenna, Sonia Lama, la Magistrata dell’ufficio GIP di Roma, Paola Di Nicola, e Rosy Paparella, insegnante, esperta in assistenza ai minori, già Garante dei Diritti dei Minori per la Regione Puglia.
Stefania Cavagnoli: “Perché riflettere sulla potenza della lingua ? L’appellativo al femminile delle funzioni in precedenza precluse alle donne determina un riconoscimento di pari dignità, evidenziando la forza delle differenze di visione. Sessismo e discriminazioni si propagano e resistono attraverso e nella lingua. La lingua concretizza e condiziona il nostro modo di pensare. La lingua monosessuata discrimina ed esclude, e si allontana dalla realtà. La grammatica insegna una cosa elementare: che per gli uomini esiste un maschile e per le donne un femminile. Non si può fare eccezione per un sindaco o per un ambasciatore o per un avvocato. La lingua, che non riconosce la soggettività femminile, discrimina le donne determinando situazioni di Disparità e relazioni di Subordinazione.”
Sonia Lama: “Le sentenze devono basarsi solo sulla oggettività dei fatti ed applicare le leggi. Non possono aggiungere supposizioni, aggettivi ed avverbi (sembrare, apparire) che ne determinano in anticipo le conclusioni non oggettive.”
Paola Di Nicola: “Orgogliosamente mi facevo chiamare “IL Giudice” perché non sapevo la storia e non sapevo che in Magistratura mi era precluso l’accesso in quanto donne, come anche per lì Avvocatura. Nelle Istituzioni ci si esprimeva sempre al maschile, intendendolo neutro. Finché non ho incontrato la storia delle donne che mi hanno precedute, a partire dall’UDI. Quello perpetrato da sempre, era un inganno, un trucco. Ciò che non si vede, non esiste. Il modello unico esistente è quello maschile. Il femminile non vale, è inutile, non esiste. E’ privo di ricchezza e di competenza.
L’articolo UNO della Costituzione invece precisa “senza distinzione di sesso”. L’accesso alle donne era vietato in quanto esprimeva una visione ed una interpretazione diversa delle leggi, quindi temuta perché poteva sovvertite le regole imposte dall’uomo. L’utilizzo dei termini al maschile, tramutandosi in uomo, non preoccupa per l’applicazione di una diversa visione. Per essere accettata dal contesto la donna deve essere uguale e farsi “UOMO” (direi Uoma). Le donne non devono essere riconosciute come Istituzione. L’uso del femminile rompe gli ordini precostituiti ed afferma le competenze delle donne. La lingua è luogo di potere e di riconoscimento di dignità. In caso di maltrattamenti la Cassazione dice che il Giudice deve verificare se la denuncia fatta sia veritiera e nulla più. Invece ci sono parecchie procure che richiedono il certificato medico della maltrattata, se non vanno avanti, invertendo i dettami della Cassazione. Si chiede di più perché non si crede alla dichiarazione di una donna offesa (accade solo nei casi di violenza di genere). La gelosia, che è un’aggravante, in alcune sentenze viene trasformata in attenuante. Ci sono, per fortuna, anche sentenza che fanno a stracci i pregiudizi. L’avvocatura con le proprie arringhe e le domande possono consentire l’accesso a pregiudizi o stereotipi. Invece dobbiamo pretendere che i giudici emanino sentenze non inquinate, ma basate solo sui fatti. Dobbiamo ripulire le aule giudiziarie da stereotipi e pregiudizi.
Rosy Paparella ha ricordato che nei casi di violenza domestica spesso esiste anche una violenza assistita, per cui il minore va meglio tutelato ed il giudizio finale deve tenere presente principalmente il benessere dei minori, che in caso di allontanamento della madre dalla casa per precauzione la seguono nelle case protette, stravolgendo la loro vita.
“Un semplice appellativo rivela l’abisso che separa l’uomo e la donna. L’uomo cerca il possesso, la donna punta al legame.” ( Natsuo Kirino. IN)