Un altro novembre è passato, insieme a un altro 25 novembre di iniziative, pioggia di dati e un interesse che sembra concentrarsi per lo più attorno a un “dovere” da ottemperare, volto a “riempire” una data sul calendario, piuttosto che a un impegno di cui si è fortemente convinti, vista la realtà che viviamo e che stenta a diventare più a misura di donna.
Siamo ben lontane non solo dalla piena parità di genere, ma soprattutto dal riconoscere le donne come soggetti titolari di diritti. Siamo lontane, anche se molte di noi sostengono ottimisticamente dalla loro comoda prospettiva che il “grosso” della fatica è compiuto. Ed è in questa euforia, in questo ottimismo che si rischia di perdere il senso della realtà, in questa sensazione di aver compiuto tutto il possibile che invece assistiamo al reiterarsi di tanti segnali che dovrebbero farci capire che assai poco è cambiato per noi donne. E ci si accorge che in queste difficoltà non sempre troviamo nelle donne delle alleate. I dati che provengono dall’indagine ISTAT e Skuola.net ci illustrano la fotografia di un Paese dove albergano tenaci i più pesanti dei pregiudizi.
E se non cambia la percezione e non ci si disfa di antichi retaggi, sarà un cammino fatto di “un passo in avanti e due indietro”. Sarò breve. Non vogliamo proprio capire che non si cambia direzione e mentalità solo perché gli anni passano e il tempo ci illumina. La storia non è un cammino verso un certo e incessabile miglioramento, verso un progresso inarrestabile generale, verso generazioni più consapevoli in automatico. La comprensione dei fenomeni, la consapevolezza non arrivano da sole. Ci vuole volontà, meno sottovalutazione dei problemi, più lavoro strutturato, più coraggio. Non è un problema solo di formazione, ma di cosa avviene in noi, che cambiamenti mettiamo in moto e accogliamo, quanto siamo in grado di maneggiare e tenere a bada certi meccanismi culturali e relazionali, che cosa siamo disposti a rottamare del nostro vecchio sistema di stereotipi e convinzioni. Invece, inesorabilmente, inciampiamo sempre negli stessi ingranaggi patriarcali, nella retorica che ci rende meno pesanti gli eventi e ci permette ancora di auto-assolverci. Una pacca sulle spalle, che guarda al futuro fiduciosa.
Quindi, dal mio osservatorio livello zero, posso dire di essere preoccupata e di riporre la mia speranza e la mia fiducia in pochissime realtà e soggetti femminili. Ne abbiamo di strada. Ne abbiamo di strada perché le distanze e le discriminazioni sociali si allargano e noi donne siamo e restiamo le prime a farne le spese. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, ma di dare la giusta misura di tanti segnali. La lotta alla violenza maschile contro le donne non è un abito da indossare per convenienza, tornaconto personale, o per una stagione celebrativa.
Abbiamo bisogno di terremotare le nostre coscienze per frantumare quelle scorie patriarcali. Abbiamo bisogno di spingerci convintamente nella direzione di credere e di proteggere le donne, salvaguardando i loro figli e il legame indissolubile madre-figlio. Abbiamo bisogno di professioniste che abbandonino ‘falsi modelli’ e sappiano da che parte stare, perché non è indifferente o questione secondaria . Abbiamo bisogno di ricordarci ogni giorno e tenere ben presente cosa avviene alle vite delle donne e quanto la violenza lasci segni profondi, nei corpi, nelle menti, nelle storie di ciascuna.
Non possiamo fermarci, non possiamo adottare delle lenti superficiali per guardare i fatti, i fenomeni, i vissuti. Dobbiamo compenetrarci empaticamente nelle vite di queste donne e sgombrare il campo da strutture culturali nocive. Questo mi auguro. Per le prossime generazioni e soprattutto per coloro che da professionisti incontreranno e dovranno aiutare le donne. Purtroppo, è tuttora molto più facile e comune pensare alle donne come manipolatrici e non demorde l’argomentazione delle ‘false accuse strumentali’. Se solo pensaste al pesante iter e alle difficoltà a cui vanno incontro le donne che decidono di denunciare e di cercare di uscire da relazioni violente, forse tutti questi castelli mentali crollerebbero e non potreste più tanto superficialmente etichettare come ‘bugiarde croniche’ le donne. Ne ho abbastanza: o si cambia oggi, oppure domani saremo o allo stesso punto o peggio.
Vi invito a guardare queste immagini, che hanno composto la mostra “L’invisibilità non è un super potere” che è stata esposta all’ospedale San Carlo Borromeo di Milano. È nata dall’esperienza della chirurga del P.S. Maria Grazia Vantadori, e da REAMA – Rete per l’Empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto, di Fondazione Pangea. Accanto alle radiografie eseguite alle donne che negli anni hanno fatto accesso alle cure del P.S. dell’ospedale San Carlo, sono stati esposti gli scatti della fotografa Marzia Bianchi, che ha tratto ispirazione dalle storie delle donne con cui ha parlato e dal lavoro di Reama. Le storie si intrecciano, si susseguono ciascuna nella propria unicità e specificità, ma la trama di fondo compone un medesimo schema, in cui la violenza maschile sulle donne viene esercitata all’interno delle relazioni e segue un ciclo e dinamiche che si ripetono e che ben conosciamo.
Osservate e leggete le storie in silenzio, per pensare, per non rimuovere ciò che la violenza causa ogni giorno a tante donne. Attraverso i corpi, le parole delle donne riusciremo a comprendere che è nostro compito contribuire personalmente ad abbattere il muro di indifferenza o diffidenza nei confronti di chi decide di uscire dalla violenza. Troppo forte è ancora oggi l’abitudine a prendere le parti del soggetto socialmente detentore del potere e di uno status privilegiato. Troppe persone ancora fanno fatica a credere alle donne. Da ciò la difficoltà a strutturare interventi di supporto e di protezione adeguati, che siano poi anche in grado di mettere in campo progetti di autonomia e di liberazione completa delle donne che hanno vissuto situazioni di violenza, restituendo loro la fiducia in sé e per consentire loro di costruire un futuro differente.
Dall’iniziativa/mostra “L’invisibilità non è un super potere”, esposta all’ospedale San Carlo Borromeo di Milano, da giovedì 21 novembre a domenica 8 dicembre. E’ possibile vedere le fotografie cliccando sull’immagine sottostante, si avvierà in automatico la galleria fotografica: