Uno sguardo di genere. Si è tenuto a Palermo l’ 8° convegno nazionale di Toponomastica femminile. L’idea del convegno è nata dal concetto molto attuale e vivo che Palermo sia ”accoglienza, incroci di culture, possibilità di convivenza e integrazione.”
di Vera Parisi – versione integrale su https://vitaminevaganti.com/
Infatti la Sicilia così vicina all’Africa e parte sostanziale dell’ Europa non potrebbe non esserlo.
Palermo è incontri di persone, è voci di donne da ascoltare, di linguaggi per esprimere i loro bisogni, per narrare le loro storie da incidere nella memoria, per invitare a nuovi sguardi e modelli.
Raccontare di sé e delle altre, comunicare vite e individuare nuovi percorsi per accogliere oggi e ricordare le storie delle donne di ieri è stato l’oggetto delle tre giornate (28 novembre-1° dicembre) dell’8° Convegno di Toponomastica femminile, tenutosi presso l’ex convento San Mattia ai Crociferi, a Palermo.
Regista eccezionale dell’incontro è stata la scrittrice Ester Rizzo che molti hanno conosciuto su queste pagine per i suoi libri ed articoli ivi scritti.
L’assessore alla toponomastica di Palermo Darawsha Adham vive a Palermo ormai da 22 anni. E conosce bene la nostalgia che lui e quelle e quelli sentono perchè sono persone con le radici lontane e le ali qua. Con radici forti e ali potenti si vola alto.
L’assessora alla parità di genere Giovanna Marano pensa che il nostro paese fatica più degli altri per superare l’impronta patriarcale delle nostre realtà sociali e avviarsi verso una parità reale. Purtroppo l’inviolabilità del corpo femminile non è percepibile e nei paesi del Mediterraneo la cultura machista e l’assenza dei diritti delle donne è ancora più forte. Eppure le vie dell’accoglienza sono le vie che hanno permesso in questa città il coesistere di tante culture, in una società babelica, accogliente e donna.
Valentina Chinnici, presidente CIDI di Palermo, ha sottolineato l’attenzione alla didattica di Toponomastica femminile come strumento principe perché finalmente le donne ci siano nel nostro immaginario e siano consapevoli.
Come ci ricorda la presidente Maria Pia Ercolini la damnatio memoriae è anche nel linguaggio.
“L’accoglienza nell’inchiostro”, tema guidato da Loretta Junck, ha visto contributi importanti.
Gisella Modica (Sentirsi invisibili) ha raccontato invece che le lotte delle donne, sconfitte nello spazio pubblico, ma fedeli a se stesse, hanno modellato in modo nuovo le loro famiglie, trasmettendo altri modelli a figlie e figli. Perché povere sono le donne senza reddito, che si percepiscono invisibili, come fa la necro politica che attacca i corpi disprezzando la vita umana.
Il corpo diventa l’unico strumento all’assoggettamento e le testimonianze lo dimostrano. Invisibili non sono solo i migranti ma tutte le donne che vengono violentate La condizione di invisibilità e vergogna di avere un corpo per le donne di questa parte del mondo è forte, non è un caso che la primavera araba nasca da una donna, la tunisina Amina Sboui, e dal suo “Il mio corpo mi appartiene, non è di nessuno”.
Giusi Sammartino, direttrice editoriale di vitaMINEvaganti, parla di ponti, di sorellanza, di aprire, e non chiudere, al tempo dei muri. L’importanza di lavorare sulle parole e sulla lingua, che è riconoscimento, perché il passaggio dall’invisibilità alla visibilità non è frutto di integrazione quanto di interazione.
Le 38 camicette bianche italiane, identificate da Ester Rizzo, queste donne dimenticate, hanno avuto intitolazioni, finalmente sono tornate visibili nelle loro case e nella memoria di tutte/i.
Viviana Conti ha moderato la sezione “Palermo. Quale genere di accoglienza? Voci della città”.
Osas Egbon, la presidente dell’associazione Donne di Benin City, racconta l’esperienza della prima casa dedicata alle donne nigeriane vittime di tratta. Dopo anni di duro lavoro, finalmente avere uno spazio domestico consente di pensare al proprio futuro e a quello dei figli e delle figlie, perché “cambiare si può!”.
Mariangela Di Gangi, e il laboratorio Zen, quotidianamente accorcia le distanze, perché Palermo è una città accogliente, ma deve diventare inclusiva e per raggiungere questo obiettivo è necessario contrastare marginalità, stereotipi, ma soprattutto la povertà educativa, perché l’unica cosa che si è stabilizzata, in questo mondo totalmente instabile, è proprio la povertà. Non bisogna dare il pesce alle persone, quanto insegnare loro a pescare. Ecco perché costruire una biblioteca. Le parole sono fondamentali contro la povertà culturale. Questa è una grande responsabilità: dare le parole per raccontare.
Nadege Candeh vive a Palermo dal 1982, è una mediatrice culturale. La sua storia, si sente italiana e straniera, l’ha resa un’ascoltatrice d’eccezione per chi arriva, traumatizzato, ferito dalle immani sofferenze che porta con sé nel nostro mondo.
Un lavoro collettivo ”Cibo dell’accoglienza: pane e dolci delle donne di Sicilia”. Un racconto a più voci che attraverso il pane, archetipo simbolico, immagine solare per forma e colore, figlio del dio Sole e della dea Terra, moltiplicazione, salvezza, prosperità, narra storie di vita, storie di donne. E dal pane dell’accoglienza ai dolci, invenzioni delle monache, con la loro dimensione simbolica. Per finire con una storia semplice, il pane della solidarietà, quello dei trenini della felicità, storia bella di donne solidali verso altre donne. Il tutto condito dalla Gastronomastica siciliana, pani cunzatu, biscotti e dolci, sapori accoglienti, inclusivi, frutto di interazione tra culture e genti di Sicilia e del mondo.
Alla fine la giornata formativa per giornaliste e giornalisti, diretta da dove Silvana Polizzi ha sottolineato la centralità del linguaggio.
Maria Pia Ercolini, in modo efficace e incisivo, ha invece fatto vedere come il linguaggio delle strade, dei segnali stradali, delle immagini circolanti negli spazi fisici, continui a riproporre stereotipi linguistici e dell’immaginario che escludono le donne e il loro agire.
Graziella Priulla, con “le parole che sono fatti”, ci ha detto che il gentese che va di moda, è diventata la lingua ufficiale. Parole che lasciano inalterati i muri, i ghetti. Come affermava Umberto Eco, l’obiettivo è “costruire il nemico” per costruire il consenso. Scatenare la paura del diverso, dell’incomprensibile, è trasformare la differenza in diseguaglianza, è l’odio dilagante per cui “i sommersi” sono vittime e “i salvati” sono clandestini, il contrario di “buonista” non è “cattivista” ma “lealista”. È necessario istituire la giornata della “Gentilezza” per costruire narrazioni alternative.
Maria Pia Farinella ci ha raccontato la storia delle giornaliste di Palermo dalla nascita del programma da lei diretto Mediterraneo, fino al tentativo attuale di fare una rivoluzione, perché ciò che non si racconta non esiste e l’aria semantica influenza e determina la realtà: è necessario dire perché “lo stereotipo è più difficile da disintegrare dell’atomo” (A. Einstein).
Bellissime e coinvolgenti le storie e le testimonianze.
Jamil Awan di Synergasia ci ha comunicato con passione la sua ricchissima esperienza di lavoro e di vita e ci ha fatto vedere la complessità del mondo della migrazione.
Mari D’Agostino, prof dell’Università di Palermo, attraverso l’esperienza di ItaStra, la scuola di lingua italiana, ci ha raccontato gli intrecci di voci nei quali sono evidenti le trasformazioni dei flussi migratori. Il 30% di chi arriva oggi è analfabeta e soprattutto le donne sono a bassissima scolarizzazione, hanno subito violenze inenarrabili che le segna per tutta la vita e non c’è comunicazione con le generazioni di migranti che le precedono. Ecco perché è necessario costruire ponti tra le/gli stesse/i migranti. Chi ha messo in gioco la propria vita ha diritto di restare, ma è difficile trovare luoghi dove ci sia la possibilità di scambiare le esperienze. Bello e interessante sapere che nell’esperienza di ItaStra la parola vincente sia stata “Gentilezza”, perché la gentilezza è un atto politico di resistenza.
Katiuscia Carnà ci ha parlato di “Identità e trasmissione delle donne bangladesi in diaspora”, donne che arrivano da noi perlopiù per ricongiungimento e che negli ultimi anni, attraverso l’associazionismo, stanno migliorando la loro condizione. Soprattutto le donne delle nuove generazioni hanno uno sguardo nuovo, molto critico verso le loro madri e la comunità di appartenenza.
Sara Rossetti con “Accolte altrove” ci ha raccontato la vita quotidiana delle donne emigrate in Francia tra le due guerre mondiali, è qui che micro e macrostoria si incontrano perfettamente. La lingua ha avuto una funzione determinante per questa comunità italiana in Francia, è stata collante oltre i dialetti. Per i francesi erano “invasori”, un’integrazione difficile. Le donne erano antifasciste, domestiche, sarte, lavandaie, si muovevano da sole. Donne indipendenti che hanno lottato per un futuro migliore dei loro figli e delle loro figlie.
E poi ci sono stati i laboratori di Toponomastica femminile.
Carmen Sulis ha condiviso l’esperienza della Tombolomastica e insieme ad Agnese Onnis e Maria Pia Ercolini ci ha coinvolte nella costruzione e progetto didattico del Memory Street International.
Gloria Calì ci ha invitate all’ascolto attivo delle città attraverso l’educazione all’abitanza e alla cittadinanza.
Paola Malacarne ha aperto nuovi orizzonti e modalità operative che attraverso il teatro e il cinema superano il silenzio storico delle donne, e permettono letture simboliche e processi di incarnazione e identificazione liberatori.
E ancora le esperienze di Milano (Maria Rosa del Buono), di Lodi (Alice Vergnaghi, Danila Baldo e Daniela Fusari), di Melegnano (Sara Marsico), di Noto (Vera Parisi).
Un grande grazie a Chiara Utro, storica dell’arte e nostra guida per le vie di Panormos, questa città accogliente che abbiamo conosciuto, apprezzato e goduto con occhi nuovi. Non dimenticheremo la vecchia dell’aceto Giovanna Bonanno, messa in scena con divertente ironia da Enza Mortillaro, liberatrice delle donne da mariti violenti e tiranni.