Il mio incontro con Nicoletta o, per la precisione, con la nico, è avvenuto in primis su Instagram attraverso le sue storie e i suoi post, efficace sintesi della sua quotidianità professionale ma anche della sua instancabile esplorazione, frutto della indomabile curiosità che la attraversa.
Solo più recentemente ci siamo ritrovate al tavolo di un caffè del nostro quartiere – entrambe viviamo e abbiamo lo studio in San Salvario – e ci siamo letteralmente raccontate. Il suo studio – FattoreQ – raccoglie contributi multidisciplinari che vanno dall’architettura all’interior design, dalla grafica al digital, una vera e propria fabbrica, come Nicoletta ama definirla.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Non provengo da una famiglia di architetti, l’unico legame che posso trovare tra la mia famiglia e la mia professione è il mio nonno materno, che di mestiere faceva il muratore. Fin da piccola ho sempre stretto tra le mani matite e colori e quello che era solamente un gioco si è trasformato in un’idea di futuro: la mia famiglia ha ascoltato il mio desiderio di intraprendere questa strada, sostenendomi.
Architetto o architetta?
Le parole per me hanno importanza, ma fino ad un certo punto. Apprezzo chi si batte per la parità anche in termini linguistici, ma personalmente mi interessa di più la parità sul campo e il riconoscimento quotidiano della mia professionalità. C’è ancora molto da fare in merito.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
Significa leggere con attenzione una richiesta e interpretarla con altrettanta attenzione, tentando di cucire addosso al cliente un progetto personalizzato in termini creativi ed economici.
A chi ti ispiri?
Di solito è il contesto nel quale lavoro ad ispirarmi. Amo ovviamente l’architettura con la A maiuscola, ma mi lascio sedurre dalle ispirazioni più sottili legate alle persone e ai luoghi nei quali mi trovo a lavorare.
E cos’è per te la bellezza?
La bellezza per me è l’incontro tra imperfezione ed equilibrio. Al mondo non c’è nulla di assolutamente perfetto, neanche noi lo siamo. Anzi, le nostre imperfezioni e peculiarità ci rendono unici agli occhi degli altri. Lo stesso vale in architettura. L’equilibrio invece è necessario per l’incontro e lo scambio tra mondi e pensieri diversi: in questo senso la bellezza è sempre arricchimento.
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Credo che la sensibilità non sia una questione di genere, ma una questione di indole: credo che la mia sensibilità risieda soprattutto nell’ascolto delle esigenze di un cliente e nell’empatia con le persone che incontro sul lavoro.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?
Credo che le donne debbano sempre faticare un po’ di più. Per fortuna qualcosa sta cambiando ed iniziano ad esserci segnali positivi, non solo in ambito architettonico.
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Temo di sì. In contesti diversi dalla libera professione a parità di titoli e d’età, ma con competenze superiori, non sedevo mai ai tavoli che contavano ed ero caricata di una notevole mole di lavoro. Come interpretare la situazione se non in questo modo?
Qual è il progetto architettonico che ti è rimasto nel cuore?
Il Teatro Regio di Torino progettato da Carlo Mollino. In quel progetto, follia ed equilibrio dialogano costantemente, restituendo un’architettura fortemente evocativa e poetica.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Le studentesse di Architettura, in Italia sono tante quanti i colleghi uomini. Le architette titolari di studi o società di architettura molte meno. Questo dato mi fa riflettere sul fatto che dopo la laurea e l’abilitazione spesso si genera un corto circuito, in parte culturale, in parte sociale, che impedisce l’avviamento di una carriera autonoma o costringe le donne ad occupare solo i gradini più bassi del mondo accademico e della professione. È sul quel corto circuito che si dovrebbe intervenire. Che mi piacerebbe intervenire!
Che rapporto hai, nel tuo lavoro di architetto e nel quotidiano, con la tecnologia?
Ho un ottimo rapporto con la tecnologia, sul lavoro, come nel quotidiano. Tuttavia tendo ancora ad accostarla a mezzi e comportamenti più analogici. Credo che essere equamente digitali ed analogici rappresenti un modo per essere equilibrati.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Seguo personalmente il progetto e il lavoro sul campo. Amo profondamente il cantiere e non ci rinuncerei mai. Quando c’è la possibilità, dopo averlo impostato, delego parte del lavoro d’ufficio, attraverso preziose collaborazioni.
Quale è stato il tuo approccio nella guida del tuo studio?
Amo dire che il mio studio è la mia fabbrica. Come in una fabbrica bisogna seguire tutta la filiera dalla materia prima (le idee) al prodotto finito (i risultati). Controllare ogni fase del processo è fondamentale.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura?
Il percorso di studio della facoltà di architettura è un’esperienza che secondo me dovrebbe fare chiunque. Può sembrare esagerato, ma è un percorso che, prima ancora di formarti come architetto, ti insegna a lavorare in team, a confrontarti con gli altri, a essere presente e a rispettare uno scadenziario. Insomma ti prepara al lavoro.
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata
Senza dubbio il lampadario vintage di Gaetano Sciolari che ho nel mio bagno e la Moschea Blu di Istanbul.
Come riesci a conciliare la tua attività di design blogger con l’impegno professionale?
Non so se ci riesco del tutto ma ci provo. Spesso non c’è abbastanza tempo per riflettere e scrivere di ciò che ho affrontato, imparato e capito. Ma quando il tempo c’è, è una cosa che amo fare. Scrivere aiuta a fissare le idee: è uno strumento di crescita personale.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai….
Il caffè, le matite, i colori. Disegno ancora tanto a mano libera quando mi approccio ad un progetto nuovo. Il computer, se pur indispensabile, viene solo dopo aver messo a fuoco i pensieri sulla carta.
Una buona regola che ti sei data?
Salvaguardare di più il tempo da dedicare al mio privato. In passato non me ne curavo a sufficienza, invece è fondamentale per essere felici.
Il tuo working dress?
Scarpe comode ma belle, spesso in nero e spesso a pois.
Città o campagna?
Città. Dopo un’infanzia in un piccolo paese della provincia di Taranto, la vita è cambiata scegliendo Torino come nuova casa. La sua energia per me è essenziale.
Qual è il tuo rifugio?
Ne ho diversi: il mio compagno, mia sorella gemella, il mio divano e una gatta che mi viene a trovare ogni tanto.
Ultimo viaggio fatto?
Qualche mese fa sono stata a New York per la prima volta nella mia vita. Il cielo non era mai stato così lontano fino a quel momento.
Il tuo difetto maggiore?
Sono testarda.
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
Sono testarda.
Un tuo rimpianto?
Non aver potuto mostrare a mio padre la casa in cui vivo oggi.
Work in progress….?
Ogni progetto in arrivo è sempre quello più bello. Sembra una frase fatta ma è la verità.