Rula Yebreal giornalista e scrittrice israeliana con cittadinanza israeliana naturalizzata italiana al festival di San Remo? Pro e contro.
Per chi avesse pensato che la Befana avrebbe portato via con tutte le feste, anche i problemi del nostro Paese ha peccato di ottimismo e di ingenuità.
Perché avrà pure fatto il suo dovere ma ci ha lasciato una calza piena di carbone nero per la politica.
Dal 7 gennaio infatti, vivremo un mese bollente e in un clima a dir poco instabile. Dalla prescrizione-durata dei processi al doppio appuntamento elettorale regionale in Emilia Romagna e in Calabria, dalle crisi Alitalia e Ilva, decreto sul salvataggio della Banca popolare di Bari e quello Milleproroghe fino al referendum sulla legge elettorale, tutte grane su cui il governo si giocherà il futuro.
Ma se pensavate che non avessimo abbastanza questioni da seguire con una certa ansia futuro, ne arriva una fresca, fresca: Rula Yebreal parteciperà o no alla serata inaugurale di questa edizione del Festival di Sanremo?
Colti da un’ansia disumana, da ignoranza (chi è?), dai social schierati pro o contro, dai commenti dei soliti noti del mondo del gossip, dello spettacolo, di chi vorrebbe rappresentare la “cultura” popolare ci prendiamo la briga d’indagare prima di emettere un orientamento (proprio come si dovrebbe fare con la politica).
La persona in questione si scopre che, come cita sinteticamente la fonte di tutte le informazioni Wikipedia è “una giornalista e scrittrice israeliana con cittadinanza israeliana naturalizzata italiana”. Non si offenda la signora ma che c’azzecca con il Festival della canzone italiana?
Siamo stati informati che avrebbe dovuto tenere un monologo sulla violenza alle donne e che è stata contatta dall’organizzazione festivaliera in cerca evidentemente di fare dimenticare definitivamente i profumi e i colori dei fiori della nostra meravigliosa costa ligure.
Nel merito di questa oziosa discussione e da osservatori, il fatto che la signora sia donna e di colore, come lei stessa sottolinea, non obbliga a schierarsi per forza in favore della sua partecipazione come, per gli stessi motivi, non vi sono elementi per essere a sfavore.
Le questioni sono a volte più semplici di quanto non si pongano.
Che il Festival sia una vetrina nazionale e internazionale della musica del nostro Paese ma anche per molti ospiti stranieri si sa. Che nel tempo esso si sia dovuto adeguare ai cambiamenti culturali-musicali-estetici anche. Che su di esso la Rai c’investa una barca di oneri economici da giustificare con la resa del pubblico, che i business attorno a questo palco sono di difficile quantificazione.
Per quanto riguarda la qualità musicale per giovani e meno giovani ci si affida ad una selezione di competenza anche se molte sono le polemiche in questa direzione. Cambiato è lo stile della presentazione.
Il problema semmai è che ormai per stupire si va sempre più alla ricerca dello scoop che aumenti l’interesse e la presenza attorno a questo “circo”. I numeri del dopo festival sono il miele che aiuta la dirigenza Rai a continuare.
E per chi portare sul palco la fantasia non pone limiti.
Michelle Obama? Oprah Winfrey? (cachet da capogiro!). Ci sono però tante soluzioni intermedie.
Intanto una donna, deve esser una donna, perché questo “valore della differenza (in senso di bellezza-corpo-stile)” è imprescindibile. Meglio se ragiona o sappia parlare.
E Rula Yebreal deve essere sembrata adatta a svolgere questo ruolo.
Bella, intelligente, colta, impegnata, avranno pensato quelli di viale Mazzini, alla quale avrebbero affidato un “monologo” che avrebbe dovuto “leggere o recitare” su quel palco. Lei stessa ha raccontato che avrebbe parlato di “L oujain Althathloul, stuprata perché rivendicava il suo diritto di voto e di guidare l’automobile. E poi della mia amica yazida Nadia Murad , premio Nobel, coinvolta insieme a me dal presidente francese Macron in un Comitato per l’uguaglianza. Abbiamo progettato di coinvolgere Michelle Obama o in alternativa Ophrah Winfrey per parlare di questi temi”.
Sulla sua presenza ci sono stati però contrasti che hanno spinto la Rai a non fare niente di questo progetto. Sulle scelte e le motivazioni dell’ente inutle obiettare ma la giornalista pare non l’abbia proprio digerita e tutta la visibilità mediatica che avrebbe potuto darle la Rai a Sanremo se l’è presa con le dichiarazioni che ha reso alla stampa, innestando polemiche oltre il necessario.
Alcune delle sue dichiarazioni:
“Sarebbe interessante sapere da dove gli è arrivata la notizia, con timing perfetto. Spiegherebbe tutto quel che è successo dopo. Gli attacchi, le insinuazioni, l’accusa di essere niente meno che una persona che odia e denigra il paese di cui sono cittadina”
“Sabato scorso mi hanno telefonato pregandomi di fare io il passo, di rinunciare spontaneamente. Mi sono rifiutata. Gli ho mandato un messaggio scritto: se volete censurarmi dovete essere voi ad assumervene la responsabilità”.
“Qualcuno si è spaventato che venisse offerta una ribalta a italiani nuovi, a persone diverse come me che appartengono a un’Italia inclusiva, tollerante, aperta al mondo, impegnata in missioni di dialogo e di pace”.
“Trasmettono un’immagine chiusa, vecchia dell’Italia. Cosa vuol dire essere italiani? Avere tutti la pelle dello stesso colore e le stesse idee? L’Italia che noi sogniamo per i nostri figli è un paese collegato al resto del mondo. È un’Italia in cui c’è posto per Salvini ma anche per Liliana Segre e, se permettete, per Rula Jebreal“.
“Sarebbe stata un’occasione ideale di apertura al mondo su tematiche che non sono né di destra né di sinistra“.
“Sono grata all’Italia, e dopo quel che è successo intensificherò le mie presenze qui, non solo per venire a trovare mia figlia. Impegnarsi contro la xenofobia e la violenza sulle donne non deve essere né di destra né di sinistra. Se qualcosa devo rimproverarmi, è di non avere spiegato meglio quel che stavo facendo all’estero anche per onorare la mia cittadinanza italiana”.
Avrà anche delle ragioni per essere seccata di avere perso un bel cachet e tanta pubblicità ma queste esternazioni appaiono esagerate e dettate da poca lucidità.
Che il nostro Paese abbia bisogno della sua presenza su un palco di spettacolo per imparare cosa vuol dire essere italiani, antirazzisti, aperti al mondo, pacifisti ha sicuramente un eccesso di autoreferenzialità che non le fa onore. Non è accettabile ricevere tante lezioni contro la xenofobia e la violenza alle donne sui quali tutti/e siamo impegnati nel politico come nel sociale. Se, la giornalista, fosse così legata all’Italia come dice, saprebbe o si sarebbe informata su quanto le donne italiane stanno facendo sul tema della violenza e non possono accettare lezioni da nessuna.
Inoltre se la Yebral è tanto impegnata su questo fronte, se grazie al suo mestiere può essere una voce a livello internazionale meglio sarebbe farsi conoscere, anche da noi. Per ciò che fa e non solo per ciò che dichiara.
Infine non è che essere donna debba vedere per forza schierate dalla propria parte tutte le donne, è una strumentalizzazione che non ci piace.
Ma, se salirà su quel palco, avremo si modo di esprimerci imparzialmente sul valore di questa presenza.
1 commento
di Marisa Ayroldi
[21:29, 8/1/2020] Marisa Ayroldi: Testo: “Concordo sul fatto che tutto questo clamore sulla presenza o mancata presenza di Rula Jebreal al Festival di Sanremo strida con gli accadimenti geopolitici del momento. Assodato che, con i pasticciacci che ci riescono naturalmente (mi viene in mente l’episodio della cittadinanza onoraria negata dal Comune di Biella a Liliana Segre, posizione poi rimangiata) attualmente la presenza sembra confermata come ospite per una serata, mi sembra fuorviante riportare frasi stralciate da dichiarazioni più ampie. Il festival di Sanremo ha l’ambizione di un respiro Internazionale e dunque anche gli ospiti, non solo cantanti, dovrebbero avere un allure di internazionalita’. Quanto alla autoreferenzialita’, siamo dei campioni. Basta ascoltare le dichiarazioni dei nostri “politici” in un telegiornale. Io la chiamerei autorevolezza di una giovane donna sicura di sé. Vorrei chiudere ricordando che la nostra bravissima Paola Cortellesi, nel 2018, ha aperto la cerimonia dei David di Donatello con un apprezzatissimo monologo sulla violenza alle donne. Nessuno si è sognato di commentare che volesse insegnare alcunché a nessuno, né che non fosse informata su quello che già si fa, in Italia, per contrastare questo problema.”