A Napoli, nella Sala del Capitolo del complesso conventuale di San Domenico Maggiore, l’Associazione Festival della Filosofia in Magna Grecia riporta in vita, nella nuova edizione dei Dialoghi filosofici: Tre domenicani a confronto, tre pensatori ‘rivoluzionari’: Tommaso d’Aquino, Tommaso Campanella e Giordano Bruno. Per dimostrarci, attraverso le loro teorie sempre attuali, che la filosofia non è mai ‘fuori tempo’, perché le idee coraggiose del passato ci hanno reso uomini più liberi nel presente, e gli interrogativi di ieri sono quelli che ci dovremmo porre, oggi, per raggiungere una vita più felice.
Tommaso d’Aquino entra in scena lentamente, coinvolgendo sin da subito il pubblico in quello che diventerà il suo dibattito sul buon governo: è meglio la monarchia, potere che si accentra in uno solo, l’oligarchia dei migliori o la democrazia, in cui tra tante voci in coro si rischia però di non distinguerne nessuna? È sereno il Tommaso interpretato da Riccardo Marotta: non è più un ‘fuggitivo’: dopo aver lasciato la famiglia, che lo ha riportato a casa per convincerlo ad assumersi i suoi doveri di abate di Montecassino, ha insistito nel seguire la sua vocazione e ora è a Napoli, nel convento di San Domenico Maggiore, dove può dedicarsi alla lettura nella biblioteca, alla scrittura delle sue opere e all’insegnamento. “I sensi sono stati concessi all’uomo non solo per procacciarsi il necessario alla vita, come gli altri animali, ma altresì per conoscere”, scrive nella Summa Theologica, ed è con i cinque sensi che d’Aquino/ Marotta invita gli spettatori a ‘saggiare’ la realtà.
Tre secoli dopo, ma sono pochi minuti, il Tommaso Campanella di Danilo Piscopo ci illumina di speranza: sarà possibile, anche per noi, crearci un mondo migliore; un domani in cui, “ripartendosi le attività a tutti e le arti e fatiche, non tocca faticare che quattro ore il giorno per uno; così ben tutto il resto è imparare giocando, disputando, leggendo, insegnando, camminando, e sempre con gaudio”? È realtà, per il momento, soltanto nell’utopia de La città del Sole, ma potrebbe essere un futuro non lontano in cui l’automazione ci renderà padroni del nostro tempo. E dunque più felici: perché, se l’uomo del 1500, attraverso il visionario Campanella, insegue il sogno di un luogo incontaminato in cui realizzare l’εὐδαιµονία, quell’ideale di felicità, prosperità e benessere non è forse ciò che desideriamo tutti, ogni giorno?
Entra ammantato di nero Giordano Bruno, scuro come la notte della Napoli cinquecentesca che descrive a tinte forti ne Il candelaio: oscurità dionisiaca in cui, se si scampa a “furbi e mariuoli”, ci si perde tra “oziosi principii, debili orditure, vani pensieri, frivole speranze, scoppiamenti di petto, falsi presupposti, alienazioni di mente, poetici furori, offuscamento di sensi, turbazion di fantasia, smarrito peregrinaggio d’intelletto […] e gloriosi frutti di pazzia”: E, a conferma che “chi più di tutti crede, più si inganna”, sotto gli abiti del frate domenicano ci sono le fattezze femminili di Noemi Perfetto. Resterà coerente fino alla fine Giordano Bruno, senza mai ritrattare le sue idee, a costo della vita; girerà l’Europa cercando sempre la verità, criticando i dogmi in nome del libero pensiero, e al suo processo per eresia dirà: “Ho parlato sempre da filosofo”.
“Proprio per questo il suo è un discorso ‘scomodo’”, spiega Salvatore Ferrara, docente di filosofia e direttore scientifico del Festival della Filosofia in Magna Grecia. “Per Bruno, la filosofia non si può rinchiudere nelle aule ma deve parlare al popolo; non deve farsi convincere dall’autorità, ma deve avere un compito peculiare: diventare messaggio per tutti. Ecco la sua modernità.” È attuale anche Campanella, che, ne La città del Sole, “descrive la città concreta e spiega come, secondo lui, si possono risolvere le questioni sociali”, dice Annalisa Di Nuzzo, docente di filosofia e storia, antropologa culturale e responsabile dell’area didattica del Festival. “Pur nell’utopia, però, non dimentica la concretezza della realtà: descrive tutto ciò che non va nella città, sogna un’organizzazione politica concreta che possa soddisfare i bisogni di tutti”. È, in fondo, ciò che cerca di fare Tommaso d’Aquino, quando mette in discussione la società proponendo soluzioni politico-sociali. “Il re e il Papa lo investono di un grande compito: definire con chiarezza cosa la politica possa fare”, continua Di Nuzzo. Ma scegliere un governo volto al bene comune, anche oggi, non è cosa facile.
“Come gli uomini del nostro tempo, i tre filosofi vivono in un periodo di grandi trasformazioni”, dice Ferrara al pubblico che assiste ai Dialoghi: studenti e docenti del Liceo “Serao” di Pomigliano d’Arco (che già segue un percorso di alternanza scuola-lavoro con il FFMG), del Liceo Scientifico di Trentola Ducenta e del Liceo Italiano in diretta in streaming da Atene. “Oggi viviamo nell’infosfera, lo spazio globale delle informazioni; nell’epoca di Netflix, che propone/ impone cosa vedere, dov’è la libertà?” A conferma, le considerazioni del liceale Francesco: “Personalmente non credo nel libero arbitrio, ma ritengo che siamo profondamente influenzati dall’ambiente”.
La sessione invernale delle lezioni-spettacolo – precedute da un tour guidato della Napoli angioina, introdotte dalla Presidente del Festival Giuseppina Russo, condotte dai mediatori culturali del Festival della Filosofia in Magna Grecia e accompagnate dalle musiche originali di Mario Di Bonito – in febbraio si conclude, in attesa che i Dialoghi Filosofici a San Domenico Maggiore riprendano in maggio, come sempre in accordo con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli. Nel frattempo, si può riflettere sulle sfide lanciate dai tre domenicani, perché la filosofia, come ha detto Salvatore Ferrara, “non è solo un modo di pensare, ma anche di essere e di vivere”.
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