Non dobbiamo avere paura della paura ma solo del non saperla sfruttare come risorsa imprescindibile, come capacità non solo di fuggire i pericoli ma di riconoscerli per prendere precauzioni.
La questione Corona virus ha messo in primo piano la fragilità delle persone, si parla di paura, ansia e panico, termini che hanno significati precisi e, seppur possono apparire sinonimi, in realtà indicano diversi stati interiori.
La paura è un’emozione primaria presente negli uomini ma anche negli animali ed è utile per affrontare con equilibrio la vita, la paura infatti ci avverte quando siamo in prossimità dei pericoli. Stiamo parlando di un supporto fondamentale che ci giunge dalla notte dei tempi e che conserviamo nella parte più arcaica di noi. Altra cosa è il panico, una reazione individuale o collettiva di fronte ad una paura, reale o presunta, capace di fa agire comportamenti e atti inconsulti, in questo caso al di là della concretezza della nostra paura, il panico non è un avvertimento ma una modalità di azione capace di far perdere la razionalità e di far quindi agire non per difenderci, ma per farci del male. Il panico infatti è pericoloso ancor più quando con il contagio emotivo diventa di massa. L’ansia, altro termine che abbiamo udito spesso in questo periodo, ha essenzialmente due nature, una di origine esogena e l’altra di origine endogena. La prima è una conseguenza della paura per un fatto che di cui non si conosce e non si prevede l’esito, essa provoca uno stato di inquietudine costante che non permette alla persona di rilassarsi producendo malesseri curabili spesso con i farmaci quando il livello di ansia è tale da provocare ad esempio tachicardia o altri sintomi molto fastidiosi. La causa endogena è invece da ricercarsi nel nostro vissuto infantile dove possono sopravvivere conflitti irrisolti.
Se quindi in questi giorni di allarme epidemico abbiamo provato paura significa che siamo nella giusta direzione, che le nostre reazioni sono dell’uomo consapevole dei pericoli, dell’uomo che mantenendo dentro di sé gli “insegnamenti utili del primitivo”, sa usare la ragione e gli strumenti dell’homo civilis: da homo natura è diventato homo cultura perché ha saputo trasformare la paura in azione finalizzata allo scopo. Non dobbiamo avere paura della paura ma solo del non saperla sfruttare come risorsa imprescindibile, come capacità non solo di fuggire i pericoli ma di riconoscerli per prendere precauzioni.
Il panico collettivo di questi giorni, ben rappresentato dalla corsa agli acquisti esasperata per fare scorte quale ci fosse una guerra atomica incombente, è la prova che la nostra società iper-conessa sta diventando iper-eccitabile e influenzabile dalle notizie. La paura del contagio, lecita e plausibile, in certi casi si è trasformata in atteggiamento irrazionale e ne conosciamo la causa. Le notizie hanno bombardato tutti noi con costante ricorrenza ripetendo sempre le stesse cose, aggiornando in modo quasi maniacale il numero dei contagiati e delle vittime: una simile abbondanza di stimoli negativi è difficile da gestire. L’homo cultura si è fatto sopraffare dell’homo natura delle origini che mai avrebbe tollerato di essere tartassato in questo modo, c’è da chiedersi come mai. L’homo natura nella sua evoluzione verso la cultura ha perso qualcosa? Sì, la capacità di affrontare i pericoli e combatterli, dipendente come è dai media digitali è iper-informato ma non iper-protetto interiormente e per questa ragione non sa difendersi a sufficienza; l’essere umano ricorre troppo frequentemente alle benzodiazepine per stare calmo e non è capace di razionalizzare. Usa il paleocervello e a volte dimentica la corteccia evoluta.
Per fortuna una certa ironia con battute di spirito veicolata nei social e tra le persone nella vita reale sta raffreddando la situazione, ciò non significa essere superficiali o sottovalutare la malattia e neppure essere insensibili nei confronti dei malati gravi o dei morti, ma vuol dire semplicemente voglio vivere, non voglio ammalarmi, voglio vedere il mio domani. Ogni giorno nel mondo ci sono morti, malati, feriti e nonostante ciò cerchiamo di vivere sorridendo alle avversità: ognuno di noi deve pensare al proprio ben-essere ed è giusto così. Tutto questo discorso non si limita a dare suggerimenti sul nuovo virus, ma vuole mostrare come affrontare le situazioni critiche per non diventarne precocemente o inutilmente vittime sacrificali.
Prima di morire Socrate disse: “O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!” Asclepio era il dio della medicina e a queste ultime parole gli studiosi dettero varie interpretazioni. Il noto filosofo Michel Foucault morto negli anni ’80 del ‘900 ritenne di dare questa versione: Critone e Socrate devono il gallo ad Asclepio perché, grazie a un provvidenziale sogno, sono guariti da un delirio della mente che suggeriva a Critone di far fuggire Socrate dal carcere sottraendosi alle Leggi. Portato alla contemporaneità mi piace pensare che questa frase socratica ci possa dire di ringraziare la Medicina, unica Arte capace di salvarci dai virus. Senza sopprimere alcun gallo, possiamo dire un grazie attraverso atteggiamenti solidali, senza spargere semi di discordia, amando noi stessi e quindi gli altri, uscendo nuovamente di casa consapevoli di dover seguire le norme igieniche del caso.