Ogni anno, dal 2008, l’ultimo giorno di febbraio è dedicato a ricordare chi, come questo mese un po’ più breve e ‘irregolare’, ha qualcosa di speciale. Il World Rare Disease Day, la Giornata internazionale delle Malattie Rare, porta all’attenzione di chi è sano che la vita, per chi nasce con alcune patologie, non è affatto facile, ma può essere migliore. E, se il coronavirus spegne qualche manifestazione, la voglia di aiutare resta accesa.
Le disposizioni per la prevenzione sanitaria delle istituzioni regionali hanno reso necessario cancellare uno degli eventi italiani per celebrare il Rare Disease Day – la manifestazione Raro e prezioso è Donna in Città della Scienza a Napoli, coordinata dalla federazione Eurordis, rete europea di 800 associazioni per le malattie rare –; ma la campagna di informazione non conosce ostacoli. Lo confermano Viviana Rosati (presidente di ELA Italia) e Valentina Fasano (presidente dell’AIALD, Associazione Italiana adrenoleucodistrofia): “Il nostro impegno a favore dei malati rari, delle famiglie e dei caregivers resta forte e coeso. La nostra campagna di sensibilizzazione non si arresta, anzi trova rinnovato vigore per tutelare coloro che in questo momento della vita del Paese restano i più fragili”. Non sono pochi: secondo Orphanet Italia, da noi i malati rari sono circa 2 milioni, nel 70% dei casi in età pediatrica.
La maggioranza dei caregivers è donna, come molte sono le scienziate che lottano ogni giorno contro le malattie rare: l’evento Raro e prezioso è Donna è nato proprio per sottolineare l’importanza del ruolo femminile nella scienza, nella ricerca e nell’universo familiare e sociale che ruota intorno a chi soffre di una malattia non comune. Continueranno dunque con rinnovata passione a cercare cure per le patologie rare le scienziate che già hanno prodotto avanzamenti nel campo della medicina, come ricorda Marina Melone, direttrice del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate e Centro Interuniversitario di Ricerca in Neuroscienze dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e membro del Coordinamento Napoletano Donne della Scienza: Nettie, Rosalind, Gerty, Martha, Barbara, Henrietta, Hilde, Rita, Jennifer, Emmanuelle e tante altre hanno contribuito al progresso della Medicina e della Biologia e allo sviluppo di terapie avanzate per le malattie rare, attraverso scoperte importanti nei settori della genetica e della citogenetica.
Tappa fondamentale per la prevenzione delle patologie è lo screening neonatale esteso: un percorso integrato e multidisciplinare, introdotto con la legge 167/2016, che in Italia consente di individuare precocemente 40 malattie metaboliche (record europeo: in Francia sono sottoposte a screening solo 5 malattie, in altri Paesi ancor meno). “Lo screening neonatale”, dice Domenica Taruscio, direttrice del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, “mette in sicurezza anche il Servizio Sanitario Nazionale. Abbiamo 9 laboratori attivi a livello regionale e 6 interregionali, con 29 centri clinici.” Tra le strutture di riferimento, il Centro Unico Regionale Screening Neonatale LAB (presso il Centro di Biotecnologie avanzate CEINGE dell’Università “Federico II” di Napoli), di cui è responsabile Margherita Ruoppolo; nel 2020 organizzerà corsi di formazione sulle modalità di raccolta dello spot ematico, per i centri clinici, e seminari per i pediatri di famiglia.
Per le malattie rare, lo screening è importantissimo: l’adrenoleucodistrofia, ad esempio, “conta più di 900 mutazioni del gene ABCD1, senza correlazione genotipo-fenotipo, con grande eterogeneità nell’espressione clinica e differenti età di esordio della sintomatologia”, spiega Valentina Fasano. La diagnosi precoce permette di agire nella finestra pre-sintomatica, prima che il sistema nervoso centrale riporti danni irreversibili. In Campania, per adrenoleucodistrofia e adrenomieloneuropatia è partito nel 2007 il progetto pilota Mission-Mem – ideato, realizzato e coordinato da Marina Melone – con lo scopo di delineare un percorso completo ed efficace di assistenza long life, basato su formazione, screening e prevenzione. Il Centro Interuniversitario di Ricerca in Neuroscienze segue infatti già dagli anni ‘80 alcune famiglie affette dalla mutazione genetica che causa la malattia.
Determinante anche il ruolo dei pediatri, come sottolinea Maria Giuliano, presidente per la Campania della Società Italiana Medici Pediatri: “La SIMPe sta profondendo un grande impegno per promuovere la formazione e l’informazione dei pediatri e le attività di ricerca clinica, in collaborazione multidisciplinare. Una diagnosi precoce è uno strumento di equità e rispetto per chi, grazie a una conoscenza tempestiva della sua patologia, può vedere tutelato il suo diritto alla vita e alla cura”. In molti casi purtroppo, nonostante gli sforzi fatti dalla ricerca, le malattie rare – già di per sé croniche, gravi e invalidanti – sono infatti letali: i tassi di mortalità vanno dal 5% al 30%.
“Dopo la diagnosi ha inizio un vero e proprio viaggio di scoperta da intraprendere insieme”, aggiunge Chiara Maggadino, formatrice di Famiglie SMA, l’associazione per l’atrofia muscolare spinale. “I genitori devono comprendere e accettare i bisogni specifici del figlio, così come l’inevitabile cambio nello stile di vita. È necessario essere consapevoli che il proprio figlio avrà necessità di un’assistenza complessa, con importanti differenze da soggetto a soggetto, una complessità che occorre elaborare per poter affrontare la malattia”.
Tocca proprio alle donne, da sempre in grado di “curare” e di “prendersi cura”, gestire la maggior parte del carico fisico, psicologico, emotivo e familiare in questi difficili percorsi. “Alle donne viene chiesto di essere forti, dinamiche, risolutive”, dice Tina Grassini, counselor, operatrice dei centri antiviolenza e presidente dell’Associazione Parla con me. “Non sembrerebbe esserci spazio per la legittima fragilità, per fermarsi, per essere ammalate. Perché se sei ammalata non sei più sufficientemente forte, adeguata, capace e quindi utile. Se poi ti viene attribuita la responsabilità di aver provocato la malattia di tuo figlio (quel figlio che in realtà ogni donna vorrebbe proteggere e salvare), perché sei tu la portatrice della mutazione genetica, allora sei anche colpevole.”
Importantissimi dunque la solidarietà e il sostegno, verso i pazienti ma anche verso le famiglie e le madri, che spesso, come ricorda Marina Melone, “senza riposo, senza tregua e senza alcun riconoscimento diventano invisibili al mondo”. Oggi, le associazioni per le malattie rare chiedono compatte che si dia attenzione alle problematiche dei malati, perché non finiscano appunto nell’invisibilità, e che si sostenga la ricerca. “Scoprire tempestivamente una patologia, indirizzando a una terapia, vuol dire dare a un bambino la possibilità di avere una vita sana e felice, indica una sanità valida e consentirebbe un SSN sempre più sostenibile e universale”, conclude la senatrice Paola Taverna, promotrice della legge 167/2016 sullo screening.
Fotografie: per gentile concessione delle parti interessate