Sì, lo sappiamo: l’8 marzo noi donne non dovremmo ‘festeggiare’. Se anche si è dimostrato un falso storico l’incendio del 1908 nella fabbrica Cotton di New York – che pare fosse invece quello del 25 marzo 1911 nella Triangle Shirtwaist Company, in cui di operaie ne morirono di più – resta il fatto che in molti luoghi, ambienti e situazioni la parità si è conquistata solo in teoria. L’8 marzo, però, è dal 1977 la Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e la pace internazionale, in ricordo di quell’8 marzo 1917 in cui, a San Pietroburgo, le donne scesero in piazza per chiedere la fine della guerra.
Celebriamo, allora, questa data: non soltanto regalando mimose, ma anche riflettendo su come si potrebbe raggiungere, finalmente, un po’ più di equità nella distribuzione dei compiti quotidiani tra uomini e donne (e negli stipendi: il soffitto di cristallo non è stato ancora rotto, solo scheggiato); su come rendere possibile, alle donne, conciliare impegni familiari e lavorativi senza dover fare, come oggi accade, i salti mortali.
Se un tralcio di mimosa dura il breve spazio di un giorno, ci sono Mimose che non appassiranno mai: quelle che il pittore veronese Gianni Perazzoli ha dipinto per Italia Adozioni, il portale dedicato alle tematiche legate all’inserimento dei bambini adottati nelle famiglie e nella scuola. “Mimose vuol essere un omaggio alla figura della donna, genitore di particolare sensibilità nella cura dei figli e nell’adozione di bambini”, spiega Perazzoli, che ha donato il quadro affinché sia messo all’asta su eBay, per un periodo limitato, per raccogliere fondi per i progetti scolastici di Italia Adozioni.
Non solo fiori, però, l’8 marzo: Vogliamo anche le rose, titolava il celebre documentario di Alina Marazzi sul movimento femminista, e in quell’“anche” c’era tutto. Alle donne mancano ancora molte opportunità. Come la facilità di conciliare l’accudimento dei figli con il lavoro: tra il 2011 e il 2017, in Italia, quasi 170.000 donne hanno lasciato il proprio impiego, segnala l’Ispettorato nazionale del lavoro, soprattutto per la difficoltà nel coordinare impegni lavorativi e familiari. Se poi gli eventi legati alla globalizzazione, come un clima sempre più inclemente con le conseguenti allerte meteo, o le pandemie virali, costringono le scuole alla chiusura, il problema è ancor più evidente. C’è chi risolve rivolgendosi ai servizi di baby-sitting: il giorno dopo il DPCM del 4 marzo 2020 che sospendeva le attività didattiche per l’emergenza coronavirus, la piattaforma italiana del servizio internazionale Sitly ha visto un picco di visitatori (15.000 nel solo 5 marzo), e di iscrizioni di genitori (+200) e baby-sitter (+1000), rispettivamente +20% e +50% rispetto alla settimana precedente.
La soluzione, dunque, non è fare meno figli (i dati Istat parlano di 116.000 nati in meno in Italia, nel 2019), ma affidarsi ai servizi esterni – sperabilmente non solo privati – potenziando nel contempo lo smart working, facilitato oggi dal DPCM del 1 marzo 2020 sul “lavoro agile”. Per il Governo italiano, poter lavorare per fasi e obiettivi, senza vincoli di tempo né di luogo, potrebbe aiutare i dipendenti a conciliare le esigenze di vita e di lavoro, e favorire la crescita della produttività. Sembrerebbe pensarla così l’80% delle mamme intervistate dal portale Sitly, per le quali un orario di lavoro flessibile riuscirebbe a far diminuire lo stress lavoro-correlato (per l’Accordo quadro europeo del 2004), recepito da noi con l’Accordo interconfederale del 2008, evitarlo è una priorità). Qualcosa si muove: nel 2018, secondo una ricerca Eurostat, nell’Unione Europea ha lavorato da casa il 5,2% degli occupati tra i 15 e i 64 anni, con medie diseguali: in Olanda e Finlandia il 14%, in Italia il 3,6%. Non a caso Sitly, nato in Olanda, impiega quasi totalmente mamme, in modalità di smart working.
Photo credits
Quadro Mimose per gentile concessione di Italia Adozioni
Altre foto: licenza Pixabay (ecoplay1 | Free-Photos)