Inutile nasconderci dietro un dito.
Questo 8 marzo non sarà come gli altri che lo hanno preceduto e i motivi sono più di uno e non è certo colpa del Coronavirus che mette a rischio tante manifestazioni pubbliche. E l’8 marzo le donne scenderanno in piazza ancora una volta.
Questa ricorrenza, alla quale tenacemente le donne rimangono aggrappate, ci rimanda ad un lungo conto alla rovescia nel tempo, fino alla seconda metà del ‘900 e in particolare alla rivoluzione femminista degli anni ’70 che tanto ha contribuito a modificare le relazioni e gli stili di vita e che si è dimostrata altresì un periodo ricco di conquiste.
In particolare le riflessioni e gli approfondimenti sviluppatisi in quel dibattito, in quel periodo storico, diedero vita ad una presa di coscienza femminile basata nell’analizzare, individuare e recuperare la propria storia e cultura alla ricerca di una propria identità.
Una presa di coscienza allargata alla complessità generale e rivisitata attraverso i propri saperi, il proprio punto di vista.
E’ dovere dell’informazione e della storia ricordare alcune di queste tappe fondamentali e non obsolete:
“Tra il ‘68 e il ’69 la Corte Costituzionale abolisce la distinzione tra i sessi facendo cadere il reato di adulterio per le donne e di concubinaggio per gli uomini; nel 1970 è approvata le legge sul divorzio, confermata all’esito del referendum abrogativo del 1974. Del ’71 è l’introduzione degli asili nido statali, del ’75 dei consultori. L’importante riforma del diritto di famiglia del 1975 segna il passaggio a una famiglia basata sul consenso reciproco e la collaborazione. Nel ‘77 è la volta della normativa sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro che riconosce alla donna la possibilità di svolgere, a parità di salario, qualsiasi lavoro” ecc.
In successione, tra gli anni 80/90, la presenza di un femminismo “evoluto” si è manifestata e diffusa in modo più capillare. Forte di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo, sostenuta da strumenti riconoscibili anche a livello europeo, ha potuto agire con maggiore determinatezza nei luoghi della politica istituzionale (Comitati, Commissioni, Ministero per la Parità ecc.).
Da quel periodo, da quel coraggio, da quella capacità di progetto comune, di rivoluzione culturale, questo movimento è passato poi in un lungo periodo di apparente normalità. Eppure, il dato che alcune conquiste ottenute nel corso di quegli ani non si debbano rimettere in discussione, non ha rassicurato, né rassicura, il “sentimento femminista” che serpeggia ancora fra le donne e le rende vigili.
Uno dei motivi per cui l’8 marzo rimane una “bandiera” da non abbassare.
Un’occasione per scuotere il disimpegno giovanile, una sorta di “ignavia-ignoranza” generazionale, che si adagia sul dare per acquisito e scontato ciò che ha ricevuto e poco o nulla fa per difenderlo.
La strada della completa parità si presenta ancora in salita e il tempo della sua realizzazione lontano. La valorizzazione della differenza piuttosto della sua declinazione, non ha ancora trovato il suo sbocco definitivo. L’acquisizione dell’identità, pur avendo sviluppato connotati comuni e maggiore consapevolezza non è riuscita a imporre le differenze di genere che restano scarsamente valorizzate né a irrompere nella cultura sociale prevalente.
Il valore del tempo nella storia è relativo. Le distanze in esso si accorciano, quasi a scomparire nell’interdipendenza degli accadimenti.
Le tematiche sviluppate, che a molti e a torto appaiono superate, sono ancora presenti e su di esse si attarda ancora oggi il dibattito di genere . Vince la modernità del pensiero e la ricerca per ottenerne ragione.
Un comune denominatore, un’attualità e un apporto necessario che rende la ‘cultura delle donne’ indispensabile e fondamentale opportunità di trasformazione e di rinnovamento per il futuro globale.
Profondamente radicata ma arricchita in una discussione che, come già detto, dura da decenni essa tuttavia non si è mai imposta, contrariamente a quella degli uomini. Riconosciuta, grazie alle sue protagoniste, essa non è stata “totalmente”accolta nei luoghi della partecipazione, della cultura sociale né dalla trasmissione dei saperi.
Eppure, negli anni 80/90, le donne pensavano di essere arrivate ad un punto terminale della loro elaborazione e di avere seminato la consapevolezza collettiva che i generi avessero acquisito diritti di persone, di cittadinanza e di protagonismo condiviso nello sviluppo e nelle trasformazione a cui il mondo le chiamava. Premesse e obiettivi di equità sociale e di rafforzamento democratico giustizia, solidarietà, cultura, rappresentanza, formazione, informazione, istruzione, economia, lavoro. Una complessità in cui l’apporto delle donne, né unico né frammentario, ne completasse il significato e l’attuazione.
Dunque, in questo 8 marzo 2020 cosa c’è da manifestare o piuttosto da proporre? Quando parliamo di femminismo di cosa si sta ancora parlando?
Quali sono i temi che oggi lo caratterizzano e lo differenziano da ieri?
Ha senso dare continuità al dibattito? In un quadro fatto di luci e di ombre, possiamo definire compiuta questa lunga marcia? Infine cosa abbiamo da festeggiare l’8 marzo?
La scenario futuro non può che partire da una nuova visione di economia che si fondi su uno sviluppo economico-sociale inclusivo, rispondente ad esigenze di uguaglianza e contemporaneamente di innovazione. Un futuro che contempli per le donne non solo un lavoro di cura ma di competenze e professionalità in cui hanno dimostrato di eccellere, valorizzandone differenze e talenti.
Un’ economia creativa, ambientale, tecnologica che si avvalga e si avvantaggi della loro forza per fare imprese, operi sviluppo e cittadinanza in tutte le fasce d’età, una diversa organizzazione del lavoro e del territorio che consideri bisogni e opportunità.
Guardiamo il nostro tempo dunque. In questa società, che viaggia verso traguardi impensabili nei decenni passati, non è prevista una “quarta” ondata del femminismo.