Elena Ferrante Storia della bambina perduta.
Il quarto volume de “L’amica geniale” mi ha piacevolmente esasperato, così non ne sentirò il languore nostalgico e potrò dedicarmi alla prossima lettura, un altro titolo attualissimo, della signora Agatha Christie.
Finalmente si consuma tutto, la trama si incurva come le schiene anziane di Lila e Lenu’ e si possono chiudere gli occhi nella rassegnazione stanca di qualcosa che durava da troppo tempo ed è finita per sfinimento. La vita di Lenu’ ricomincia in modo rocambolesco, di quel selvaggio che il contegno letterario, e non, le ha sempre impedito di esercitare.
Dopo le prime 50 pagine in cui la prosa è di una mano quasi anonima finalmente esplode di nuovo la Ferrante che, con sprezzo per il gergo ordinario, si scatena con il suo invidiabile possesso delle parole piene, particolari e introvabili. E la trama segue quella spettacolarità: nonostante si tratti di un monologo diaristico di quasi 500 pagine, le vicende sono serrate, violentissime, irruenti perché, è noto, con l’età matura ci si vuole spogliare di ogni falsità prima di coricarsi in eterno e allora grandissimo e aggressivo spazio nel raccontare un rapporto che non aveva nulla di autentico, nulla di amichevole, nulla di amorevole.
In questo scoperchiarsi di identità e posizioni Lenu’ ammette con dolore incontenibile come tutti i rapporti siano frutto della ricerca continua e affannosa di un appoggio: non siamo nessuno senza amore, senza amicizia e senza una madre, ma, con grandissima sofferenza, sappiamo anche, lì in fondo al cuore, ci fa comodo pensare a questa triade come autentica. Insomma, la quadrilogia si conclude in maniera ultraumana per spunti di riflessione e lucidità: ci possiamo vedere la metafora del non essere, la ricerca di una dimensione spaziale, l’assoluta solitudine, la storia di Napoli, l’essenza femmina, uno studio dogmatico sul linguaggio, sulle proiezioni di sé, sull’invidia che comanda tutte le relazioni, sugli spazi corporei e paesaggistici, sui silenzi antipatici e i dialoghi stentati e acidi, sui sospetti, su tutto ciò che su frantuma come terra irpina. Ferrante sa raccontare tutto, ti sballotta, ti tira, ti trita, ti sbatte, ti sgonfia e poi ti anestetizza.
Voto 9.