Dalle prime reazioni all’emergenza Coronavirus, inquadrabili in un continuum che va dalla negazione al panico, all’analisi degli effetti psicologici e sociali della quarantena, fino all’inquadramento sistemico delle sfide personali e collettive di fronte a cui ci colloca questa pandemia.
di Alexia Di Filippo, psicoterapeuta
In queste ore in cui tutto sembra naufragare, come ha detto il Santo Padre nella benedizione urbi et orbi dedicata all’emergenza Coronavirus, mi sono tornate alla mente le immagini del film Titanic durante l’affondamento del transatlantico provocato dal violento urto con l’iceberg.
Gli ufficiali che cominciano a riempire le scialuppe in quantità insufficiente per ospitare i passeggeri che si destreggiano tra quanti lasciano il proprio posto a donne e bambini e chi vi sale furbescamente trascinandosi dietro un piccolo altrui.
Il ricco gentiluomo vestito di tutto punto, munito di giubbotto salvagente, che nel sontuoso salone delle feste, con l’acqua ormai alle ginocchia, si siede aspettando non si sa bene cosa.
La mamma in terza classe condannata assieme a tanti non abbienti come lei che si stende nel letto con i figlioletti leggendogli la fiaba della buonanotte mentre l’acqua già invade la cabina.
L’insurrezione della gente sul ponte, che costringe un membro dell’equipaggio, spaventato, a sparare sulla folla.
E infine gli orchestrali che, con l’enorme corpo della nave quasi completamente inghiottito dalle fauci del mare, continuano a suonare come se si trovassero ad una serata di gala.
Similmente, in quel lungo continuum che va dalla negazione al panico, già dalle prime ore dell’emergenza Coronavirus in cui ero mobilitata nel fornire alle persone informazioni corrette prevenendo il contagio emotivo, assistevo alle reazioni più disparate ed inattese.
Dalla condivisione entusiastica dell’immancabile post del guru di turno in dialogo con entità sovrannaturali che contemporaneamente sottostima la pericolosità del virus e assimila alla angosciante connotazione di morbo la inevitabile misura del distanziamento sociale, alle scioccanti immagini dell’aggressione di un ragazzo orientale in un supermercato accusato di essere cinese e portatore del virus mentre il poveretto, dolente e disperato, dichiara la propria nazionalità filippina.
Dalla surreale lettura dei dati epidemiologici da parte del privato cittadino che derubrica il Coronavirus a comune influenza ed incentiva la popolazione ad uscire di casa, alla beata indifferenza di aggregazioni di matrice ecologista che incredibilmente calmierano col contagocce le notizie sull’epidemia e sugli strumenti atti a contenere il panico della popolazione dichiarando che i loro iscritti, poiché dediti ad attività all’aperto, non sono interessati a questi argomenti. Questo la dice lunga sul senso di appartenenza al genere umano, su quello di responsabilità dell’altro, sulla comprensione della gravità della situazione ma anche, incredibilmente, della genesi “ecologica” del Coronavirus che avrebbe dovuto essere motivo di approfondimento prioritario per chi si dichiara contro la deforestazione e lo sfruttamento del pianeta.
Dalle feste danzanti organizzate quasi per esorcizzare la presenza dei focolai al nord, alla fuga di massa dalle zone rosse verso il sud con tutto quello che ciò sta comportando in termini di diffusione del contagio.
Dagli aperitivi in piazza fino al giorno prima dell’isolamento forzato, agli appelli corali dei personaggi dello spettacolo a restare a casa.
E sono giunti la Quarantena, i Decreti, i dati della Protezione Civile, le città deserte, l’autocertificazione, i cori dai balconi, le dirette Facebook, lo smart working…e ora, dopo 15 giorni di isolamento che si avviano a diventarne 30, su di noi è calato lui. Il silenzio. Assoluto, assordante e attonito. Negli Ospedali si combatte sul campo il virus, la scarsità di mezzi, la carenza dei posti, il pericolo del contagio. Nei quartieri è svanito quel chiassoso senso di comunità, sui social è sempre più rara l’ironia, nelle case serpeggia un disagio, soprattutto emotivo che assume le forme più varie, da quelle meno gravi insorte proprio a causa della situazione in essere, a quelle più severe che consistono nel peggioramento di disturbi preesistenti e nell’esplosione di dinamiche già molto complesse da trattare prima della pandemia, quando si poteva ricorrere ad aiuti esterni e che ora rischiano di precipitare complice l’isolamento nelle quattro mura di casa.
E’ fondamentale che ci si prenda cura di questa sofferenza perché, come sottolinea l’Organizzazione Mondiale della Sanità “Non vi è salute se non c’è salute mentale”.
Con il trascorrere del tempo la necessità più stringente sarà quella di preservare la salute psichica che verrà messa a dura prova dalla quarantena; lo sostiene anche uno studio di Harvard sull’Italia in cui viene detto chiaramente che nel nostro Paese si passerà da una emergenza sanitaria ad una psicologica.
Il cambiamento radicale dello stile di vita, il grave timore per il proprio o altrui stato di salute, il senso di imponente incertezza correlato per molti alla perdita della fonte di sostentamento ed in generale alle difficoltà economiche della Nazione in rapporto a quelle mondiali, certo favoriranno l’insorgere di crisi di ansia e angoscia che possono sconfinare nel panico, di vissuti depressivi e di incomprensioni familiari come in Cina del resto, dove a seguito dell’epidemia, si è assistito ad un incremento dei divorzi pari al 30 per cento.
La rivista scientifica The Lancet ha pubblicato uno studio britannico che ha passato in rassegna gli effetti delle quarantene stabilite per arginare il contagio da Sars, Ebola, virus H1N1 e ha verificato che lunghi periodi di isolamento possono far sviluppare nella popolazione sintomi psicologici come stress, disturbi emotivi, disturbi dell’umore, disturbi del sonno nonchè segnali di Disturbo post traumatico da stress.
In particolare da ciò che sto professionalmente riscontrando in questi giorni è prevedibile un incremento significativo del Disturbo da sintomi somatici e del Disturbo da ansia di malattia (ipocondria), delle patofobie da contagio, nonché una esacerbazione dei sintomi del Disturbo ossessivo compulsivo e di quelli della nutrizione e dell’alimentazione.
Per venire incontro al disagio crescente della popolazione, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi e l’Ordine degli Psicologi del Lazio hanno organizzato delle reti di Professionisti che forniscono aiuto con strumenti a distanza, alle quali consiglio di rivolgersi se il disagio che si prova sembra eccessivo e/o si hanno difficoltà a gestire i propri stati d’animo.
Particolarmente delicate le situazioni di quanti sono affetti da patologie come l’Alzheimer e l’Autismo e delle loro famiglie che ristrette in casa con i congiunti si trovano in difficoltà nel gestirne la destabilizzazione anche perché non ricevono l’assistenza dei servizi a loro dedicati sul territorio. Solo da qualche giorno e in alcune regioni sono state autorizzate delle uscite in cui queste persone già sofferenti, con i loro familiari non meno provati, possano almeno prendere aria e praticare del movimento fisico.
Stesso problema per le donne vittima di maltrattamenti che si ritrovano a tu per tu senza soluzione di continuità col proprio aguzzino correndo grossi rischi; per questo è stata appena messa a punto una app con la quale chiedere aiuto al 1522 direttamente dal cellulare che geolocalizza la chiamata bypassando qualunque intervento del persecutore.
Parliamo di fragilità: molti pensano che ciò non li riguardi, ma quello che ci sta insegnando il Coronavirus è quanto siamo tutti legati, parti di un organismo nel quale il problema di uno diventa di tutti.
Forse è stata questa superficialità, il tentativo di salvare il salvabile o il salvarsi da soli, che si è finito col trovare normale che la maggior parte dei cittadini al di sotto dei sessant’anni viva con lavori precari, difficili da trovare, con nessuna tutela in momenti emergenziali ed impossibili ora da mantenere. Ciò sta comportando il fatto che dopo 15 giorni di quarantena molti non sappiano cosa mettere in tavola ai loro figli e nipoti.
Ed ecco uno dei tasti più cari e dolorosi: i bambini, che sono il nostro bene più prezioso, il nostro futuro. Dopo le carenze nei bisogni primari che si spera vengano scongiurate efficacemente, andrà tenuto conto del fatto che i piccoli soffrono in modo particolare l’isolamento. Il non poter stare all’aria aperta, correre e giocare liberamente; l’essere privati del contatto con gli amichetti lascerà degli strascichi che dovranno essere correttamente valutati e riconosciuti, prevedendo misure educative e strumenti adeguati a supporto dei genitori.
E alla fine, per comprendere quanto proprio tutto sia collegato, sarebbe il caso di ricordare che prima della pandemia da Coronavirus eravamo alle prese con altre tre pandemie, il cambiamento climatico, l’obesità e la denutrizione che interagivano tra loro a formare quella che è stata denominata la sfida del ventunesimo secolo: la sindemia globale (studio pubblicato su The Lancet).
In poche parole, per produrre i cibi supercalorici ed elaborati richiesti nei Paesi ricchi si è deforestato (la deforestazione in particolare ha determinato il passaggio di virus come l’Ebola e la Sars dai pipistrelli al maiale e alla scimmia e dopo ancora a noi) ed inquinato provocando cambiamenti climatici che hanno danneggiato le colture, facendo innalzare così il costo dei prodotti agricoli inasprendo le condizioni di povertà e denutrizione dei Paesi più poveri.
Sviluppare una consapevolezza di questo, far conoscere la situazione agli altri e contrastarla nel proprio piccolo consumando prodotti di stagione, se possibile a chilometro zero, può costituire il primo passo in direzione di un cambiamento necessario e salvifico.
In questa Primavera raggelata tutti noi speriamo che si trovi soluzione all’emergenza sanitaria che ci opprime ed insieme, aggiungo io, che vengano sconfitti, assieme a quello denominato Corona, i virus non meno letali dell’indifferenza, dell’affarismo e dell’ingiustizia sociale. Leonard Cohen diceva che non vi è rimedio all’amore ma che l’amore è l’unica medicina per tutti i mali. La cura.
di Dr. ssa Alexia Di Filippo – Psicologa, Psicoterapeuta, Psicologa dello Sviluppo ed Educazione dal 1997 (laurea con lode) , Psicoterapeuta specialista in Self Analisi Bioenergetica e Psicologia Clinica Strategica. Conduttrice diplomata di classi di esercizi bioenergetici,. Consulente per la Asl RM D in Progetti di Promozione della Salute e Prevenzione del disagio Psichico che hanno interessato centinaia di adolescenti delle Scuole superiori del Distretto.Coordinatrice di Progetti di Prevenzione del rischio ambientale che hanno coinvolto migliaia di bambini, ragazzi e personale docente di scuole elementari e medie del Comune di Roma
Ricercatrice nell’ambito di una vasta indagine epidemiologica sugli incidenti avvenuti in tutti gli ambienti di vita della ex VI Circoscrizione del Comune di Roma
Docente in corsi sul controllo dei rischi ambientali rivolti ad educatori di asili nido
Docente di Educazione stradale in corsi per alunni di scuola superiore.
Autrice di articoli per la Rivista della Protezione Civile DPC informa.
Consulente di équipe bariatrica per la valutazione ed il trattamento dei disturbi alimentari
Ideatrice e Docente dei metodi registrati Bioenergetidanza e Bioenergetitango scelto dalla giornata dello stile di vita 2019. Autrice degli Articoli inerenti i due metodi sulla Rivista Psicoclinica.
Organizzatrice di Eventi benefici per la promozione del benessere psicocorporeo
La sua professionalità viene spesso richiesta per approfondimenti in trasmissioni radiofoniche.
Svolge la libera Professione di Psicoterapeuta.
1 commento
.”…e ora, dopo 15 giorni di isolamento che si avviano a diventarne 30, su di noi è calato lui. Il silenzio. Assoluto, assordante e attonito.” questo mi preoccupa molto in senso collettivo anche se, personalmente amo il silenzio per tutto ciò che mi offre…..
Cara dott.ssa Alexia Di Filippo ancora una volta leggo un suo articolo con emozione, le sue parole mi danno spunti di aiuto e di riflessione. Grande l’dea di trasportare l’immaginario collettivo dalle scene del Titanic ad oggi. Grazie ancora per la sua analisi, per la sua creatività, per il suo impegno.