Uomini e donne, improvvisamente catapultati nella categoria dei deboli, soggetti a rischio nell’equazione dell’inutilità.
Costretti a confrontarsi con la privazione delle relazioni e degli affetti in quella fase ultima di vita che richiederebbe rispetto, apprezzamento, amicizia piuttosto che indifferenza, insofferenza, assistenza.
Noi che la vita tanto abbiamo amato dall’ infanzia alla giovinezza, fino alla maturità.
Noi che abbiamo giocato e studiato. Che abbiamo scoperto il mondo un po’ per volta. Che ci siamo cimentati nello studio e nella ricerca. Nelle speranze e nelle certezze. Negli amori e nei dolori. Noi che abbiamo fatto la nostra parte riproducendo la specie umana. Noi che abbiamo patito dolori e perdite. Noi che non si siamo sottratti al dovere di cittadini. Noi di allora e gli stessi di oggi, che abbiamo più ricordi che progetti.
Che in molti ci ritroviamo davanti le scuole a prendere in consegna i nipoti.
Noi che dividiamo i nostri averi, case o pensioni, con chi ne avesse bisogno. Che accorriamo ad alleviare le paure, timori o necessità di giovani spaventati.
Ancora noi, che coltiviamo storia e saggezza, percorsi sperimentati di trasformazione delle cose e degli umani.
Presenti, attivi, generosi.
E molti altri, che restano saldi in posti di grande responsabilità nei luoghi delle decisioni politiche ed economiche, solidi di un’esperienza difficilmente sostituibile. Che coltivano e garantiscono conoscenza, competenza, forza e caparbietà, utili a dirigere ancora il timone, ad indicare la via.
Ed alcuni altri, ultimi in ordine cronologico, che un virus addita come il “problema” principale per la salvezza di altri. Soffermandosi implacabilmente sulla possibile e progressiva debilitazione fisica che essi rappresentano.
Uomini e donne, improvvisamente catapultati nella categoria dei deboli, soggetti a rischio nell’equazione dell’inutilità.
Costretti a confrontarsi con la privazione delle relazioni e degli affetti in quella fase ultima di vita che richiederebbe rispetto, apprezzamento, amicizia piuttosto che indifferenza, insofferenza, assistenza.
I tutti, ai quali andrebbe concessa una buona “vecchiaia” come ringraziamento dell’impegno, dell’esperienza, della saggezza e dello scambio che hanno riservato nel loro variare di anni. Un tempo soggettivo variabile tra i 60 e i 120anni.
“Tuttavia nell’infanzia si spera di giungere all’adolescenza; nell’adolescenza alla giovinezza; nella giovinezza all’età adulta; nell’età adulta all’età matura; nell’età matura alla vecchiaia. Non si è sicuri di giungervi, ma si spera. La vecchiaia, al contrario, non ha davanti a sé alcun altro periodo da poter sperare; la sua stessa durata è incerta.]» (Sant’Agostino).
Una vita che tanto abbiamo amato e che dispiace abbandonare e che ci abbandoni. Essa, dono di nascita, amata o maledetta, che se sottratta, e perciò, irripetibile è più desiderata.
Dunque “soggetti” in preda alla malinconia, alla nostalgia della persa gioventù, alla ricerca di un equilibrio nuovo che metta insieme il passato e il presente e ne dia il senso. Consideri il valore dell’esistenza e non si soffermi solo sull’aspetto del suo deterioramento.
Ci si trova in buona sostanza a fronteggiare un’ emergenza sanitaria, che altri preferiscono paragonare e definirla una guerra in cui è necessario conteggiare i morti e fare i conti con chi può sopravvivere.
Una considerazione a cui non avremmo mai immaginato di arrivare.
Abituati da molti decenni a vivere in una società globalmente più propensa a sfruttare i vantaggi delle scoperte, della scienza, dell’economia, del benessere e del bello, rispetto al buono, al giusto, al necessario, questa pandemia, pone il valore dell’etica.
Ipotizzare scelte sull’accesso alla cura, alle risorse presenti, all’accesso a terapie intensive che si basino sulla speranza di vita di un paziente rispetto ad un altro indica già una scelta ed una selezione ingiusta e innaturale.
La valutazione dell’età, basata sui soli dati anagrafici, non corrisponde più alla reale manifestazione delle capacità umane e non tutti gli anziani che si ammalano sono inabili o inutili.
La controprova sono i giovani scriteriati che vanno in giro senza protezione, quelli che si spostano, che non rispettano le regole, semplicemente umani privi di cervello e in quanto tali di sicuro poco utili.
La scelta di lasciare il proprio posto, prima di quanto natura abbia stabilito per fare largo al prossimo futuro forse si potrebbe rivolgere ai diretti interessati, miti o disperati individui, considerati più o meno “anziani”.
Quelli che forse, a domanda se la loro vita possa salvare i giovani e il futuro, sarebbero presumibilmente disposti a tirarsi da parte, a donarsi, a sacrificarsi generosamente.
1 commento
Molto ben scritto, riflette il pensiero di tanti di noi. Grazie