COME POSSIAMO REAGIRE AI DATI INFORMATIVI SUL COVID-19, SENZA DISPERARCI?
di Cristian Pagliariccio
Rispondere sinteticamente a questa domanda è un compito tutt’altro che semplice. Poiché lo scopo dell’articolo è darti un aiuto concreto, è utile che tu abbia almeno le informazioni minime per provare a reagire in modo autonomo. Per fare questo, ho dovuto scrivere un buon numero di parole, provando comunque ad essere sintetico. Dovrei fare anche centinaia di premesse e considerazioni che, per la natura dell’articolo, non andrebbero bene. Proverò quindi a scegliere tre premesse indispensabili per comprenderci. Se lo riterrai opportuno, potrai leggere questo articolo anche un paragrafo alla volta, con i tuoi ritmi ed il tuo tempo.
La prima premessa fa riferimento alle persone alle quali mi rivolgo: questo non è un articolo adatto a tutte le persone. È pensato per chi si trova in una situazione piuttosto favorita, con una salute fisica accettabile e senza una situazione prossima di lutto né un lutto già in atto. Andando avanti capirai meglio perché. Per ora, ti anticipo che l’argomento è delicato e non può essere banalizzato. L’argomento non può essere affrontato nemmeno facendoti false promesse perché, come ogni professionista, ho un’etica. Ciononostante, spero che l’articolo possa esserti utile e darti la forza anche per essere di aiuto ad altre persone.
La seconda premessa è una raccomandazione: ricorda che se stai vivendo una situazione molto dolorosa puoi rivolgerti ad una psicologa o uno psicologo, per prenderti cura di te nel migliore dei modi. Puoi fare questa scelta anche per prevenire le situazioni che possono logorarti. Prevenire è sempre meglio che curare, evitando di correre ai ripari quando si è in crisi e si vive una situazione insopportabile.
L’ultima premessa, invece, riguarda il possibile indottrinamento emotivo di questo periodo. Potresti aver incrociato persone, attraverso scritti o video, che hanno usato un tono moralizzatore o sarcastico, portandoti a darti spiegazioni fuorvianti sulle tue emozioni o, addirittura, sentirti in colpa. Se qualcuno ha fatto questo, ad esempio spiegandoti che ciò che ti accade dipende dai draghi che hai dentro (o cose simili), se puoi, metti da parte queste informazioni. Noi esseri umani, a un certo punto della nostra storia, siamo diventati cacciatori coordinati. Prima di essere stanziali, ci spostavamo di territorio in territorio, uomini e donne insieme. Gli unici draghi che abbiamo dentro, quindi, sono quelli che abbiamo divorato alle origini dei nostri tempi e ci hanno consentito di sopravvivere. Il discorso, come intuirai andando avanti, è colmo di amore per i nostri simili e non dipende da tue ipotetiche mancanze.
Fatte queste premesse minime, veniamo alla nostra domanda: come possiamo reagire ai dati informativi sul covid-19, senza disperarsi?
La risposta sintetica è semplice: fai quello che hai sempre fatto ogni volta che sembrava che la vita ti mettesse con le spalle al muro: reagisci. Anche in un periodo come questo, puoi trovare una o più soluzioni per prenderti cura di te. Se non sai farlo, anche aiutandoti con questo articolo, puoi imparare a consolarti quando la comunicazione sui dati del COVID-19 ti mette in allarme e ti fa soffrire.
Tutte le persone hanno risorse per gestire la comunicazione, anche tu.
Al tempo del COVID-19, tuttavia, incontriamo almeno 3 problemi consequenziali che potrebbero metterti in difficoltà: la natura dei dati; il ruolo della compassione; il bisogno della speranza. Senza fare un trattato, proviamo prima a conoscere rapidamente questi problemi, per orientarci e capire cosa molte persone come noi stanno vivendo a livello emotivo. Successivamente, proviamo a trovare alcuni stimoli per provare a risolvere al meglio questi tre problemi.
LA NATURA DEI DATI
Il primo problema che incontriamo si lega alla natura dei dati.
I dati sono simboli che ci aiutano a rappresentare in modo sintetico la realtà. Non sono né oggetti né esperienze. Spesso ci disorientano, perché assumono diversi significati che usiamo per immaginare infinite possibilità.
In questo periodo, alcune di queste possibilità riguardano la paura e la sofferenza di chi sta male e si aggrava. I dati, in questo caso, rappresentano il rischio di morte per chi passa dal contagio alla terapia intensiva.
Altri dati si collegano al dolore, allo strazio emotivo e all’angoscia, poiché rappresentano la morte e il lutto.
In alcuni casi, tuttavia, i dati alimentano una speranza alla quale aggrapparsi con le unghie e con i denti, quando rappresentano coloro che ce l’hanno fatta, guarendo dalla malattia.
I dati, quindi, non rappresentano sempre la stessa realtà e questo complica le cose, alimentando anche possibili contraddizioni. Si pensi, ad esempio, ad una situazione ipotetica in cui il numero giornaliero dei guariti e dei deceduti dovesse essere superiore a mille. Da un punto di vista emotivo, sarebbe difficile considerarli in modo univoco.
Noi, inoltre, abbiamo relazioni differenti con i dati e il loro significato.
Chi è in buona salute e non conosce persone malate o decedute, infatti, ha un approccio teorico al dato.
Chi conosce persone decedute, si trova in terapia intensiva o ha una persona amata in questa situazione, invece, ha un rapporto molto concreto con i dati.
Poi, ci sono un’infinità di situazioni intermedie, dove le persone hanno un’infinità di tipi diversi di rapporti con i dati.
Un discorso generale che vada bene per tutti, dunque, è sicuramente inappropriato.
Una prima cosa che possiamo fare per reagire all’ansia, alla disperazione, al dolore e all’angoscia dei dati, quindi, è chiarire il tipo di rapporto che abbiamo con questi simboli. Se abbiamo un rapporto teorico, possiamo comprendere che non siamo in una situazione critica e provare a rilassarci. Se riusciamo a rilassarci, possiamo renderci conto che ciò che proviamo non è solo paura. Alla base di tutto, infatti, c’è qualcos’altro che attiva la nostra paura: la compassione per il dolore altrui, che sentiamo come il nostro.
IL RUOLO DELLA COMPASSIONE
Poiché non abbiamo a che fare con una minaccia fisica e concreta, quello che proviamo emotivamente non è semplice paura. In questa fase storica di relazione con i dati, quindi, non ci dobbiamo chiedere “come affrontiamo la paura?” ma “come reagiamo quando proviamo compassione?”.
Quando tiriamo in ballo l’empatia, stiamo parlando proprio di quello che stiamo vivendo in questo periodo: la capacità di sentire la sofferenza altrui, assumendola come nostra, per prendercene cura e anche per proteggerci. Attraverso l’empatia, diventiamo responsabili degli altri e delle altre, senza ovviamente diventare martiri. È come un gioco di equilibrio.
Al tempo del COVID-19, dunque, può capitare di sentirci catapultare in un ruolo particolare, molto simile a quello delle persone che accudiscono chi si sta avvicinando alla morte.
Come ha fatto chiunque abbia dovuto accudire una persona che sta vivendo i suoi ultimi giorni, istintivamente, proviamo a fare almeno tre cose.
Gestire il nostro rapporto con la morte, per arrivare a riconoscere che non siamo noi al posto del malato. Questo avviene perché nella nostra mente è inevitabile non chiedersi “come starei io al suo posto?”. I neuroni specchio, che ogni persona ha, ci fanno pensare a questo in maniera automatica, anche se non ne abbiamo consapevolezza.
Tranquillizzarci, per non agire in modo affrettato in una situazione che richiede calma.
Occuparci di chi si sta preparando alla morte o di chi, allontanandosene, deve recuperare.
Queste sono tre azioni concatenate, che acquistano un senso nel momento in cui, effettivamente, ci possiamo prendere cura degli altri. Il COVID-19, purtroppo, spezza apparentemente questo meccanismo, perché l’impressione è che solo chi opera negli ospedali abbia l’onere e l’onore di poter “accompagnare” chi sta morendo o sta male.
Pensando di non poter agire, fosse anche solo per tenere una mano o esserci, rischiamo di sentirci impotenti e inutili ed abbiamo bisogno di consolarci.
Se in questo periodo provi forti livelli di paura, rabbia e sconforto, dunque, c’è un motivo profondo. Non sei una persona sbagliata. Tuttavia, devi trovare un modo per superare questi stati d’animo, fosse anche per poco tempo, per recuperare le forze e fare in modo che non ti logorino.
La speranza può essere una buona soluzione ma, ancora una volta, rischia di aprire un altro problema.
IL BISOGNO DELLA SPERANZA
Anche il terzo problema è comune e richiede di rispondere a una domanda: se non posso aiutare in modo diretto, cosa posso fare?
Nel trovare una risposta è facile influenzarsi a vicenda perché, da animali sociali, ci regoliamo insieme agli altri. Solitamente prevale la soluzione di gruppo che, nell’immediato, funziona meglio per la maggioranza. Queste soluzioni danno sollievo o, addirittura, euforia.
Il comportamento di massa, nel nostro caso, ha favorito due azioni grossolane, volte ad alimentare una timida speranza, della quale abbiamo avuto enormemente bisogno.
La prima azione è stata quella di adottare comportamenti gioiosi e festaioli, per contrastare la paura e il dolore nate dalla compassione. Essendo prevalentemente istintiva, questa azione non ha tenuto conto di quanto i comportamenti stridessero emotivamente con quanto stava avvenendo. Lo stridio emotivo è stato capito più tardi, quando il numero quotidiano dei morti è iniziato a salire. Inoltre, questa azione non ha tenuto conto della portata dell’evento, che richiede tuttora di prepararsi per affrontare uno sforzo prolungato. Se dovessimo considerare un atteggiamento più utile, facendo riferimento a metafore sportive, sarebbe saggio preferire azioni che ci preparano per affrontare una gara di cento chilometri, anziché una corsa di riscaldamento di un paio di chilometri o, peggio, di pochi metri.
La seconda azione, invece, è stata quella di aggrapparsi alla parte più positiva del dato. Alcuni hanno pensato che mostrando i dati positivi, tipo il numero di guariti in aumento, il numero delle nascite, il numero di decessi in diminuzione, ecc. lo stato emotiva della popolazione sarebbe migliorata. Anche questo ha generato inizialmente una grande euforia, seguita da una altrettanto grande confusione emotiva. Questa azione ha inizialmente amplificato la speranza, senza darle fondamento. Di conseguenza, anche la delusione è stata più forte, ogni volta che le previsioni positive venivano smentite dalla realtà.
La variabilità dei dati che miglioravano e peggioravano in maniera imprevedibile, ha stimolato delle altalene emotive. Molte persone, dunque, sono passate dall’euforia alla disperazione, consumando rapidamente le proprie forze emotive. Ciò ha favorito uno stato di impotenza che ha lasciato e lascia una forte ansia, con la sensazione di non poter reagire. Il risultato emotivo ottenuto, dunque, è stato simile a ciò che accade a un fil di ferro piegato più volte in su e in giù. Poiché ogni persona ha una resistenza diversa, emotivamente parlando, con queste continue flessioni emotive molte persone si sono sentite come spezzare o comunque hanno sentito una sorta di surriscaldamento emotivo che fa male.
COME REAGIRE?
Ogni emozione ha la sua funzione e richiede risposte coerenti con tale funzione.
Il dolore, in particolare, serve per allontanarsi dagli stimoli minacciosi, come quando tocchi il fuoco e rapidamente ti proteggi ritraendo la mano. In questo caso, il fuoco è generato dal dato e da tutto ciò che rappresenta in termini terrificanti, attivando il dolore e la paura della sofferenza e della morte.
Per gestire al meglio la situazione, quindi, è utile far riferimento ad una strategia che ti aiuti ad avere un rapporto equilibrato con i dati, distanziandoti dalle fonti di dolore, pur conservando la tua umanità. Per ragioni di sintesi, questa strategia verrà indicata per punti.
Innanzitutto, ricorda che reagire significa imparare a riprendersi da uno stato emotivo, evitando di diventarne vittima. Reagire, dunque, non significa evitare di sentire la paura, la rabbia, lo sconforto o altro. Sei una persona ed è naturale che una comunicazione dura come quella che si realizza in questo periodo non ti lasci indifferente. Sarebbe preoccupante il contrario! È naturale provare sofferenza per il dolore altrui. Tuttavia, è utile fare in modo che questo stato di sofferenza non ti pervada, impossessandosi delle tue emozioni e dei tuoi pensieri, facendoti provare uno stato emotivo logorante che non è necessario. Se puoi, dunque, prova a mostrare benevolenza nei tuoi confronti e pazienza. Del resto, punirti o giudicarti male, perché non reagisci secondo ciò che gli altri si aspettano o ciò che tu ti aspetteresti in una condizione ideale, non ti aiuterà.
Prova a distanziarti dalle fonti nocive di informazioni, riducendo il carico emotivo altrui (voluto o non voluto che sia). Il carico emotivo, in genere, è dato prevalentemente dalla voce e dalla mimica di chi parla, unita a una narrazione romanzata. Oppure, se si fa riferimento ad articoli, il carico emotivo può nascere da immagini dolorose e linguaggi romanzati associati alle parole usate. Prova, quindi, a reperire i dati da letture che non abbiamo riferimenti romanzati, anziché da altre fonti. Se non ti è chiaro il perché, poniti una domanda: cosa cambia nel significato del dato se lo ascolto da qualcuno o lo leggo in modo sintetico, ad esempio sul sito della protezione civile?
Nulla.
Tuttavia, cambia il carico emotivo.
Attraverso l’audio, il video o comunicazioni romanzate, la tua emotività sarà unita all’emotività di chi ti racconta i dati. Leggendo comunicazioni sintetiche, invece, avrai a che fare maggiormente con le tue emozioni, in una situazione che sicuramente è più gestibile. Se possibile, quindi, allontanati da tutto ciò che è progettato per alimentare una curiosità morbosa ed iperdettagliata. Questo tipo di comunicazioni hanno lo scopo di alimentare le tue preoccupazioni, per fare in modo che tu possa continuare ad essere una persona consumatrice di informazioni. Questo tipo di comunicazioni ti fanno male per manipolarti, non per aiutarti o informarti correttamente.
Se oltre al dolore provi paura e non riesci a staccarti dalla fonte di informazione, impara a prenderti meglio cura di te, educandoti al rilassamento, partendo dal corpo, in modo da consolarti. Anche se non sei una persona allenata nel fare questo, puoi imparare. Per rilassarti va bene qualsiasi cosa che sia sotto il tuo controllo, come la musica, bere una tisana calda, contattare una persona della quale ti fidi per sentirne la voce, fare una doccia gradevolmente calda quando fa freddo, ecc. È utile anche imparare esercizi di rilassamento, da usare nel corso della giornata. Il più semplice esercizio che puoi fare è questo: tre secondi prendi l’aria e tre secondi la butti fuori. Per un minuto, mantieni questo ritmo e respira con costanza e in modo diaframmatico (con la pancia). Fatto ciò, stirati, e fai almeno un minuto di camminata lenta a casa. Come una pausa caffè, sarebbe utile attivare questa piccola e semplice routine di rilassamento una volta all’ora o una volta ogni due ore, in modo da mitigare il livello di tensione ed arrivare a fine sera con un minor livello di agitazione e spossatezza.
Distaccati anche dai dati ricevuti in momenti non opportuni, oltre che dalla fonte di informazione, per vederli nella giusta prospettiva. Se resti troppo incollata ai dati ti comporti come chi, in inverno, si avvicina troppo ad una finestra, appannandola con il respiro. Con un vetro appannato, la visione che ne risulterebbe sarebbe sicuramente deformata. In questo periodo, invece, è utile educarsi a leggere i dati nei momenti più opportuni. Per questo, è utile ricordarsi del fatto che la sera, soprattutto prima di coricarsi, non è il momento migliore per aggiornarsi sui dati. Di sera, il tempo a disposizione per elaborare una risposta emotiva è troppo poco e si rischia di andare a dormire con un forte carico di angoscia, penalizzando uno degli aspetti necessari per il recupero: il sonno. In che modo leggere (o ascoltare, vedere, commentare) un dato la sera ti può aiutare a modificare la realtà?
In nessuno.
In aggiunta, leggere (o ascoltare, vedere, commentare) un dato la sera peggiora le tue capacità di gestire l’unico elemento che può gestire al meglio: te.
Se riesci, quindi, educati in modo da leggere i dati al mattino, per avere più forza emotiva. La sera, evita di partecipare a discussioni, soprattutto sui social o di seguire aggiornamenti. La sera, fai qualcosa che possa rilassarti. Le informazioni sui dati non sono necessarie per la tua sopravvivenza immediata e, di conseguenza, se le vedrai qualche ora più tardi non ti danneggeranno (anzi). Diverso, invece, era per i bollettini di guerra, dove le informazioni e gli allarmi servivano per correre ai ripari dai bombardamenti. Ma noi, non siamo in guerra e, per questo, non devi correre da nessuna parte.
Distanziati anche dall’interpretazione del dato. Meglio non interpretare questo tipo di dati e mettere da parte chi ti propone le interpretazioni e il loro significato. Sappiamo bene di non essere macchine costanti, come i robot. Questo significa che i contagi virali e i suoi effetti seguono andamenti variabili, ondulatori e incoerenti, che non sono perfettamente prevedibili. Se oggi il numero dei guariti aumenta, non possiamo affermare con certezza che anche domani sarà così. Lo stesso discorso vale per gli altri tipi di dati.
Se vuoi leggere i dati per essere una persona informata, dunque, usali per sapere ciò che è successo, non per tirare ad indovinare ciò che accadrà. A meno che tu non disponga di un database complesso e di competenze statistiche adeguate, ogni previsione illusoria potrà essere un boomerang che ti si può ritorcere contro, facendoti soffrire nel momento in cui sarà smentita.
Consolida la speranza con azioni capaci di sostenere benefici concreti.
A riguardo, è fondamentale recuperare la speranza nella sua forma più solida e profonda.
Ricorda, dunque, che la speranza ha caratteristiche diverse dal semplice ottimismo. La speranza, infatti, richiede di essere operosi seguendo un obiettivo e desiderando che tutto vada nel miglior modo possibile, mettendo in conto anche il dolore. Cantare, ballare, o fare altro è più legato a una speranza di base, di tipo ottimistico.
In questo periodo, serve una speranza operosa. Per generarla, è essenziale rendersi conto che la speranza non si può prendere in prestito quando bisogna affrontare eventi come questa pandemia. Nella situazione che stiamo vivendo, la speranza va costruita, soprattutto quando ci sentiamo o siamo più soli. Questo aspetto si intuisce bene con una bella frase di Stanley Kubrick che recita grosso modo così: per quanto sia vasta l’oscurità, dobbiamo procurarci da soli la nostra luce.
In termini pratici, questo si può fare dando senso al nostro tempo, concentrandoci su ciò che possiamo fare ora e per il dopo, anche se il nostro ruolo non è quello di chi si occupa di biologia, medicina, infermieristica, ricerca farmacologica o altro.
Usa le tue risorse creative e stabilisci un tempo quotidiano per provare a riattivarle o a metterle in pratica, fissando un appuntamento con una persona importante: te.
Se ti va di cantare o ballare o dipingere, dunque, fallo per esprimere bellezza, poiché “la bellezza salverà il mondo”. Non farlo per spiegare agli altri come dovrebbero sentirsi.
Puoi fare anche qualcosa di positivo e concreto che si leghi ai bisogni di base degli altri, offrendo nutrimento, protezione, vicinanza emotiva (ascoltare solamente, senza controbattere né dare soluzioni non richieste a problemi, comunicando che tu ci sei).
Puoi anche fare piani per aiutare te e gli altri quando tutto ciò sarà passato. Quindi: preparati e progetta la ripresa. In questi piani rientra anche il prenderti cura di te, del tuo funzionamento fisico, provando a mantenere il tuo corpo il più possibile in forma, anche se dovessi trovarti in una cella di isolamento come Mandela, facendo un’ora di corsa sul posto o flessioni di braccia appoggiandoti ai braccioli della carrozzina, se vivi una situazione di disabilità.
Educati, quindi, per uscire da uno stato che ti fa sentire come se stessi sotto i bombardamenti, aspettando nell’incertezza e nel timore che la tragedia colpisca, disperandoti nel momento in cui viene dato il bollettino delle vittime.
Non siamo in guerra e anche questo aspetto deve esserti chiaro. Le libertà individuali hanno margini più ristretti ma non sono annullate. Concentrati sulle possibilità delle quali disponi, preparati e reagisci!
Ti auguro di cuore, nonostante tutto ciò che ci circonda, di usare al meglio questo tempo per fare buone cose.
Cristian Pagliariccio -Psicologo libero professionista dal 2005, iscritto all’Ordine degli Psicologi del Lazio (n° 12494), con curriculum di studi in Psicologia dell’Educazione. Si occupa di inclusione e realizza interventi psicosociali, di promozione della salute e prevenzione delle condotte a rischio, rivolti a singoli, famiglie, gruppi e scuole, prevalentemente nel Lazio.