MARISA COPPIANO – ARCHITETTA E ARTISTA che con un team “tutto al femminile” di architette e graphic designer, affronta avvincenti sfide nel mondo dell’architettura, dell’interior design, degli eventi e della comunicazione visiva alla ricerca di soluzioni estetiche e progettuali innovative verso obiettivi di eccellenza sempre nuovi.
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Da quanto tempo sei in casa ?
Vivo a Torino, sono definitivamente in casa da una quindicina di giorni: prima del decreto dello scorso 22 marzo che ha stabilito la chiusura dei parchi, pur restando in casa o in studio (ho casa e studio nello stesso stabile su piani diversi) mi riservavo di camminare una decina di chilometri ogni giorno lungo il Po, che è a due passi da casa mia. La vicinanza alla Natura che in questo momento è in piena esplosione primaverile mi manca e ritengo sia stata una misura di controllo sociale assolutamente poco utile, tenuto conto che il sole, il camminare e lo stare all’aria aperta aumenta le difese immunitarie, come accertato da approfondite ricerche scientifiche, oltre a migliorare l’umore.
Come hai distribuito le tue giornate? Telelavori? Cosa hai privilegiato di fare nel tempo che ti resta libero? Leggere, cucinare, studiare, ascoltare musica, vedere film … o altro?
I primi giorni – quando ancora potevo andare a camminare – sono stati piuttosto destabilizzanti. Paradossalmente io sono costantemente alla ricerca di quel Tempo che improvvisamente si è palesato di fronte a me in tutta la sua prepotenza …. ma, ahimè, anche in tutta il suo essere un Tempo malato, insano, rumoroso, perché denso di bla bla dei giornalisti che come sanguisughe si sono attaccati a questo nuovo giocattolo: non pare vero di avere a disposizione una preda tanto appetitosa infischiandosene dell’effetto che procurano le notizie porte in un certo modo!!
Allora ho tentato di privilegiare il Silenzio ma anche il silenzio di queste giornate è molto rumoroso perché irreale per chi, come me vive in un centro cittadino improvvisamente immobile, dove il rumore del silenzio è rotto esclusivamente dagli altoparlanti della polizia che invitano a restare in casa: non più l’arrotino di ben nota memoria per chi come me ha vissuto una infanzia di paese, non più il ‘verduraro’ che chiamava a raccolta le massaie ma la polizia – e dico la polizia – che mi invita, o meglio mi intima, di restare in casa.
Sfido chiunque a restare indifferente a tutto questo!!
Poi ci si abitua, ebbene sì, ci si abitua a tutto: del resto mai come in queste ore mi sono tornati alla mente i racconti di mio padre che giovanissimo, in tempo di guerra, stette nascosto sottoterra con un drappello di amici per più di due mesi, riemergendo solo in tarda notte, grazie alla protezione di una donna loro amica. E le sue parole non sottendevano mai atti di eroismo, né particolari drammi ma un dato di fatto narrato con il sorriso sulle labbra.
Col trascorrere dei giorni hanno cominciato ad affacciarsi le regole, una sorta di disciplina che ho tentato di adottare in tempo di coronavirus; questo tempo sospeso è un straordinario ed eccezionale esercizio. Sveglia presto – ma non troppo presto – un pò di notizie e social (fb, instagram e poco twitter), due ore di lettura (sto leggendo l’Architettrice, splendido romanzo di Melania Mazzucco ma ho ripreso anche Una stanza tutta per sé della Virginia Woolf e altri volumi di studio); a giorni alterni esco a fare la spesa al mercato per una mezz’ora e dalle 14 lavoro (qualche call conference, qualche abbozzo di progetto) oppure mi rifugio nei miei collage o nello sviluppo di altri miei progetti artistici che dovrebbero vedere la luce entro l’anno in corso. Tengo un diario figurato e ogni giorno compongo una o più pagine.
Alle 19 l’agognato aperitivo cui segue una cena accurata.
E poi lettura o TV, cui negli ultimi giorni si è sovrapposta qualche call di lavoro fatta in orario serale per comodità di chi ha figli piccoli alle calcagna.
Vivi da sola?
Ho la fortuna di non vivere sola ma di condividere la casa con mia sorella. E al piano inferiore vive la nostra adorata mamma che richiede comunque la nostra attenzione quotidiana.
E ho ancor più la fortuna di vivere in spazi ampi, dove ciascuno di noi può inseguire desideri, esigenze, bisogni senza invadere con inquinamento acustico e fisico la privacy altrui.
Altro aspetto assolutamente rilevante è l’esposizione della casa, costantemente invasa da luce e sole alla presenza di tante piante e tanti fiori che in queste ore mostrano impietose lo scoppio della primavera, che segue com’è naturale, il suo ritmo, il suo tempo.
Spazi in cui il colore avvolge, abbraccia dentro morbide atmosfere pervase da un grande senso di pace e di armonia. Questa infausta circostanza impone una seria riflessione sull’importanza del proprio comfort e sul valore della Bellezza.
La solitudine ti stressa? Come riesci a superarla? Cosa ti manca di più in questa situazione emergenza e restrizione di spostamento?
Non è la solitudine a stressarmi, anche perché non sono sola e sono sempre stata una accanita “coltivatrice” di solitudine!!!! Mi affligge la limitazione della libertà, tanto più perché non pienamente condivisa nelle scelte adottate dal governo. Inguaribile ribelle quale sono e sono sempre stata, tendo a trasgredire qualsiasi imposizione se non condivisa fino in fondo: questo è il vero stress!
Non sono nostalgica, no. Certo, mentre rifletto, chiusa dentro casa, seduta al mio tavolo, in quest’ambiente che mi fa sentire al sicuro come nessun altro posto al mondo, penso che mi mancheranno delle cose: ogni giorno con noi stessi senza distrazione di sorta. A fare i conti con la noia, la paura e la solitudine.
Alterno momenti di ottimismo – tratto distintivo del mio carattere – ad attimi di pessimismo cosmico; una preoccupazione profonda per l’economia del paese ma anche per le mie finanze inevitabilmente compromesse dalla perdita di una serie di commesse venute meno nelle settimane successive allo scoppio della pandemia si sovrappone ad una sorta di perversa curiosità sullo scenario post Covid-19.
Anche la paura, quella vera che non avevo mai provato prima, è venuta a trovarmi un giorno; dapprima mi sono coperta il volto ma dopo il primo smarrimento l’ho guardata in faccia, perché so che la paura uccide la mente, che la paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Oggi mi sento una piccola donna immersa dentro una condizione di monachesimo intercontinentale, una condizione che ha travalicato i confini determinando la fine della città così come è stata concepita ed è evoluta nel XX secolo e l’esperienza traumatica che ne deriva impone una seria riformulazione dell’ecologia, ovvero è la NATURA l’habitat che ci ospita e oggi ci sentiamo non più padroni deterministi di ciò che è buono e ciò che è molesto per la configurazione dello spazio così come lo volevamo noi ma i molesti – quell’erba infestante che abbiamo sradicato dai nostri parchi decidendone arbitrariamente la natura molesta – siamo noi.
E allora sento ora più che mai l’esigenza di studiare, studiare e ancora studiare, approfittando di quel religioso e forzato silenzio e isolamento. Vorrei fare tesoro delle mie riflessioni traducendo in materia i miei pensieri, elaborando nuovi progetti artistici, ma anche nuove strategie per un futuro più adeguato …. sembra una frase fatta ma è proprio così!
Le mascherine di danno la sensazione di proteggere te o gli altri?
No e non le uso fino a quando non diverranno obbligatorie e verranno fornite con prezzi adeguati e calmierati.
Qual è la prima cosa che farai appena finita l’emergenza?
Sono certa che rimpiangerò il Tempo perduto, quel tempo che non avrò sicuramente saputo sfruttare in tutta la sua potenza; ed imparerò a convivere con il futuro appena cominciato.