Il nostro spazio vitale si è assottigliato e la prossemica ne deve tener conto, dal mondo siamo passati in esclusiva alla casa come rifugio contro il male.
Il male come malattia. La nostra casa assume così ancor di più l’emblema del contenitore protettivo, la casa ci rappresenta e allo stesso tempo ci avvolge difendendoci dal pericolo mentre le altre persone diventano sempre più distanti e possibili portatrici di contagio. Contagiare è un verbo usato anche per dire il bene, quella persona mi contagia con la sua allegria, mentre ora la stessa parola dice solo la malattia che tanto ci fa paura.
Ma cosa facciamo tutto il giorno dentro la nostra casa? C’è chi ci lavora da sempre, c’è chi per la prima volta ha potuto farlo da casa, c’è chi finalmente vive con pienezza le quattro mura e sperimenta la gradevolezza della tranquillità domestica. Purtroppo quella che stiamo vivendo è una situazione forzata e ciò rende il tutto meno piacevole: non siamo più liberi di avventurarci nel mondo quando e per quanto tempo lo desideriamo e ciò ci pesa. Dobbiamo però uscire da questo percorso stereotipato e liberare le nostre risorse. Come? Comprendendo che la “prigione” in cui siamo, oltre a difenderci dalla pandemia, ci dà la possibilità di incontrare quel luogo vitale di noi che è sempre in evoluzione: il nostro Io, quello che la psicoanalisi dalle sue origini ha definito “istanza della consapevolezza”. L’Io non è padrone in casa sua, ci ha insegnato Freud, vive sballottato tra le pulsioni potenti dell’Inconscio e le richieste pressanti del Super Io: vorrebbe vivere appieno le passioni ma non può perché il “censore” glielo impedisce con le sue regole assillanti. Le pulsioni ci fanno desiderare anche ciò che non ci fa bene mentre il Super Io le iene a freno senza pietà. Povero Io, quanto soffre da sempre! Forse solo adesso lo capiamo veramente, ora che fisicamente siamo obbligati alla quarantena perché il Super Io istituzionale (le regole dello Stato) ci impone uno stile di vita che non ci va a genio.
L’Io però è sempre sopravvissuto alle sciagure e, anche senza rifugiarsi in luoghi difficili come la nevrosi o addirittura patologici come la psicosi, sa trovare il proprio equilibrio; le cicatrici rimangono ma la vita continua, è più forte di tutte le tragedie. Il nostro Io infatti si sta abituando alla quarantena e a vivere a più a stretto contatto con sé stesso. Cosa ne uscirà? Una rinascita, ne sono certa. L’Io ha bisogno di solitudine per recuperare la propria individualità e per liberarsi un po’ dalle eccessive influenze del gruppo. Per dirla come Aristotele, l’uomo è un animale sociale, ma vive bene il gruppo se in mezzo agli altri, aggiungo io, porta un individuo consapevole di ciò che è veramente.
Lo so che il blocco della socialità ci sta impoverendo e molte persone patiscono la mancanza dei beni indispensabili, ma almeno chi ha la fortuna di poter attendere con una discreta dose di tranquillità economica la ripresa del lavoro, in questi giorni ha la grande occasione per incontrare o ri-incontrare sé stesso. Non lasciamoci sfuggir l’occasione!
Lo so, vi chiederete come mai alcune persone, troppe, cercano di infrangere le regole e vanno a passeggio ugualmente. Evidentemente hanno un censore indebolito da un’educazione permissiva ed irrispettosa delle regole, un punto su cui riflettere molto seriamente.