Dal contatto al distacco.
Mentre prendo il caffè penso alla mia vita trascorsa
Alle elementari, Scuola Balilla, Bari, il fiore all’ occhiello di quei tempi, mia madre mi metteva in tasca del grembiulino un fazzoletto di cotone con gocce di lisoform e mi diceva ” non ti avvicinare a tutti, guarda prima di toccare le cose se sono pulite o no… e ogni tanto pulisci le mani.. ” eravamo nel dopoguerra e c’ erano in giro tanti contagi, senza troppi mezzi per contrastarli, non c’ erano gli antibiotici, solo la penicillina in polvere se cadevi e sotto la crosta sul ginocchio si formava quasi sempre del pus. E ddt in polvere per i pidocchi e lavaggi con aceto. E una pomata allo zolfo con carta oliata per le malattie della pelle …un disastro.
La distanza da possibili infezioni era l’ unico modo, comunque, per non contagiarsi. Devo a queste imposizioni inculcate con le buone e le cattive, penso, il fatto che ancor oggi molti pensano che io sia schiva perché se posso, evito contatti fisici, anche con persone amiche o di famiglia, pur amandole più di me stessa.
Nel corso degli anni la musica cambia… il contatto è doveroso, auspicabile, necessario, in crescendo…la storia sarebbe lunga, basterebbe confrontare un film degli anni 50 60 con uno attuale…
E poi, quando quasi mi ero colpevolizzata dei miei comportamenti e convinta a suon di critiche della bontà di baci, abbracci e strette di mano, aleeeeee … si cambia tutto, non solo si riabilitano le distanze, ma si mettono anche mascherine e sanzioni… ” Contessa cosa è mai la vita…è l’ ombra di un sogno fuggente…” ecc ecc. Non ce la faccio, non ce la faccio…