Dobbiamo ammettere che la fase che stiamo vivendo, sta facendo esplodere tutte le contraddizioni del sistema, o i sistemi, a cui abbiamo fatto riferimento fin’oggi e che ha scandito le nostre vite.
Più o meno fiduciosi delle deleghe affidate, dei meriti acquisiti, delle certezze scientifiche, ci siamo incamminati in questo millennio (che ancora appare nuovo) con la presunzione e l’arroganza che avremmo potuto affrontare-vincere ogni sfida.
Messi in riga e riposizionati nel nostro ruolo di esseri umani, abbiamo cercato in tutti i modi di tenere botta all’assalto del “virus bastardo”, COVID19, che ci ha aggredito e di cui ancora non conosciamo l’esatta provenienza.
Stiamo facendo i conti in sostanza con ciò che siamo e ci eravamo dimenticati di essere.
In questa “vecchia-nuova” visione della nostra condizione umana, siamo alla ricerca di riposizionare ciascuno di noi, gruppi, società, luoghi geografici ecc. in spazi riconoscibili sia pure nella loro indeterminatezza.
Le categorie cui siamo abituati ad appoggiarci nel definire i nostri simili e i fatti che li riguardano, sembrano sempre più inesatti o confusi.
In un mondo globalizzato, i confini, le lingue, le religioni, le culture e le tradizioni tendono ad essere sempre più mischiati e rimestati.
Permangono il separatismo per classi, generi, età e, nel caso di questa pandemia, essi si sono anzi manifestati con maggiore recrudescenza.
La metodologia democratica con cui il “virus”si è manifestato è solo apparente ed è rivolta senza distinzione unicamente al “sapore” umano, oggi come nei tempi antichi e, democraticamente appunto, non guarda in faccia nessuno.
Quello che ne determina la differenza sono i comportamenti degli aggrediti, la ricerca, la praticabilità e l’attuazione dei sistemi di difesa da mettere in atto e che possono variare per classi, generi ed età.
Come ha dimostrato il caso drammatico della ricca e avanzata Lombardia, i luoghi di cura pubblici si sono dimostrati insufficienti o inadeguati. La scarsità di strumenti per le terapie intensive, o più semplicemente di guanti e mascherine per gli addetti alle cure, sono stati il segnale massimo della impreparazione alla prevenzione.
Sembra impossibile parlare di robotica, di tecnologie avanzate e ritrovarsi privi di questi elementi essenziali per una politica di sanità pubblica.
Nel privato, dove la differenza la fa l’economia individuale, l’accesso alle cure protette, ai materiali alternativi di prevenzione e soccorso hanno parametri diversi e naturalmente difficilmente riscontrabili e analizzabili.
Si è rilevato inoltre che le donne abbiano subito minori attacchi, anche se è un dato ancora in fase di verifica prima di stabilire se ciò sia vero in modo sistemico. Che le donne abbiano un sistema immunitario diverso per alcune patologie, e viceversa, è assodato che la medicina debba affrontare questa questione con maggiore approfondimenti. Peccato che a queste differenze di genere ci si ponga più con curiosità scientifica piuttosto che con responsabilità politica.
Questa circostanza mette in evidenza, se ancora ce ne fosse bisogno, che la differenza tra generi va oltre il sintomo e la cura.
L’isolamento, il contenimento della libera circolazione consigliata da scelte contro l’attuale pandemia ha portato inevitabilmente ad una chiusura degli individui fra le mura domestiche con la conseguenza di scaricare ancora di più il peso della struttura famigliare sulle donne.
Gli uomini hanno continuato per lo più a fare gli uomini, leggere il giornale, guardare la televisione, sottrarsi ai lavori di cura, e le donne a prendersi in carico figli, anziani non autosufficienti e lavori domestici. Le file ai mercati e supermercati hanno evidenziato che la presenza delle donne era molto più numerosa di quella degli uomini. La chiusura delle scuole ha comportato un peso maggiore nei rapporti con i minori e adolescenti.
Inoltre risulta marcatamente negativo ed evidente un calo di denunce di donne maltrattate che dimostra la loro impossibilità di difendersi e chiedere aiuto.
Infine, non ultimo per importanza, il grande numero di donne che continua a lavorare in smart-working con un cumulo di ore di lavoro non quantificabile.
In questo quadro già di per sé drammatico, la questione delle fasce d’età, come vengono considerate per un futuro reinserimento nella vita normale, si orienta a considerare quella degli anziani quella maggiormente esposta al rischio complicazione da contagio.
Una considerazione che potrebbe apparire di affettuosa attenzione.
In verità, la questione è emersa con la conta dei morti anziani, inevitabile, nelle case di riposo avvenuta nel Nord Italia.
Sembrerebbe ovvio che persone che necessitino di appoggiarsi a strutture di questa natura abbiano avuto problemi fisici che ne indicavano la debolezza ma altresì che non tutti gli anziani lo siano.
La loro “colpa” è stata quella di intasare i luoghi di cura a scapito di altri con maggiori aspettative di vita. Colpevoli- incolpevoli, gli anziani sono diventati un problema medico, mediatico e collettivo. La costruzione di una sorta di confinamento tout court viene proposta come la soluzione più facile da perseguire, quella meno onerosa e meno suscettibile di rivoluzioni, fisiche o culturali.
E’ necessario rideterminare le categorie.
Esistono giovani malati con bisogno di cure, altri che non si dimostrano all’altezza della convivenza civile, così come esistono tantissimi anziani che al contrario contribuiscono alla vita sociale ed economica del Paese. Autonomi economicamente e in salute fisica e psichica, ancora in grado di contribuire con la loro esperienza lavorativa ed il loro reddito, rappresentando fonte di ricchezza e sostegno verso il futuro a cui essi stessi hanno e avranno contribuito.
Tutta la società, la politica, la scienza, la medicina, l’industria ecc. è guidata da uomini e donne che, nell’ottica precedente, non sono da considerarsi “giovani”.
Hanno superato la settantina i molti Senatori della Repubblica: la presidente del Senato, Maria Alberti Casellati, 73 anni; Ema Bonino, 72; Valeria Fedeli, 70; Pietro Grasso, 75;Mario Monti, 77; Renzo Piano, 82; Carlo Rubbia, 86; Liliana Segre, 89; Luigi Zanda, 77.
Molti i deputati viaggiano oltre i sessanta e molti altri che pure sono ancora referenti attivi e rispettabili della nostra politica come Mario Draghi, 72 anni; Romano Prodi, 72 e tantissimi altri non più giovani grandi imprenditori che guidano la nostra economia.
Presenti dai 60 fino ai 78 anni, in dissonanza dunque per fare proposte verso una “nuova” società, personalità nei comitati appena nominati per dare un contributo (si spera) di riflessione alle soluzioni praticabili.
Agli anziani, come ai “rincitrulliti”, ci si è rivolti inoltre con un fare paternalistico che esula dalle soluzioni politiche.
Alla presunzione di una possibile limitazione di circolazione fino a Natale, gentilmente espressa dalla Presidente della Commissione Europea, nei giorni scorsi si sono aggiunte alcune dichiarazioni del sottosegretario alla Salute Sandra Zampa:
“Quando incontrano il nipotino, per il momento non ci si lascia abbracciare. La mascherina può essere utile. Igiene delle mani e distanziamento sono indispensabili. Ma non dubito che i nostri anziani abbiano capito. Se c’è una cosa da lodare, è il senso di responsabilità degli italiani. I giovani, per dire, sono stati fantastici. E non era detto” (i giovani!).
Gli anziani non hanno capito? Hanno capito e capiscono benissimo:
“ Siamo ben consapevoli che una persona anziana ha bisogno di uscire, di camminare, di respirare a pieni polmoni. Dopo 40 giorni di fermo ne va del tono muscolare, dell’umore, della salute generale” (gli anziani!).
Per ora non gli toglieranno il diritto di voto perché alle prossime elezioni potrebbero anche votarli, magari con mascherina, guanti e badanti al seguito, se prima non saranno morti o magari troppo rincitrulliti.
fonte: https://moondo.info/anziani-forse-rincitrulliti-no/