“Gli Stati generali delle Donne” sono andati a riempire uno spazio in cui la politica si è dimostrata carente
La questione “femminile”, semplificando, non è mai stata affrontata dalla politica e dai settori collaterali, se non quando essa non ne ha messo in discussione la loro capacità di rappresentare un contesto sociale formato per l’appunto da due generi.
Dentro la questione ve ne sono molte altre di specifiche. Diciamo che l’argomento e le sue problematiche trasversali sono riconducibili alla realtà di un Paese e non possono costituire settori d’interesse marginale e separato della politica.
Ciononostante, nel presente (pur straordinario) come nel passato, c’è voluta sempre la costanza e l’energia delle protagoniste per metterlo in evidenza.
Se volessimo, avremmo di che riempire pagine e social raccontando il loro ardore ideologico e la loro partecipazione attiva.
Andiamo invece alla concretezza e parliamo di come le donne hanno navigato fra le forti correnti che le respingevano verso gli scogli.
Non sempre azzeccate, non sempre conseguenti, non sempre rappresentative le loro azioni riempono la storia di oltre un trentennio. Purtroppo le poche, pur significative vittorie, non sono andate a compensare la sconfitta più generica che caratterizza ancora la “questione di genere”.
Parte di quell’ardore è andato scemando nel tempo e, ciò che è rimasto, si è frastagliato, slembato fino a divenire inessenziale all’abito che ci eravamo cucite addosso.
Riuscire a dare corpo alle idee, a trasformare le ideologie in azione concreta è sicuramente una delle cose più difficili.
Non sono riuscite in questa impresa le donne dei partiti politici, non quelle delle associazioni, non le elette, non quelle nei sindacati dei lavoratori né nelle associazioni datoriali, fino a quelle poche che sono andate a ricoprire posti di potere o comunque di prestigio. In Italia, come in Europa e nel resto del mondo.
Senza mettere in atto un’autoflagellazione, che sarebbe ingiusta ed inutile, dobbiamo ammettere che in tempi di nomine in qualsiasi ambito, ad una domanda che spesso e provocatoriamente viene sollevata “quali sarebbero le donne idonee a ricoprire questi incarichi?”, si balbetta un elenco di nomi, fatti, rifatti e consumati, perché a nuove figure (non come dato anagrafico ma esperienziale) non è dato spazio per emergere.
Sostenendo convintamente che ogni esperienza vada utilizzata nella pratica e conservata nella memoria, non possono però essere chiamate sempre le stesse persone, riuscite magari a sopravvivere mettendo in atto una metodologia salvifica quanto escludente.
Ciò che è stato messo in moto dal “grande” e storicamente “indimenticabile” movimento femminile-femminista degli anni ’70, tutto quello che è avvenuto dopo nel decennio 80/90, non ha raggiunto i traguardi sperati.
Esaurita la lunga onda “rivoluzionaria” le donne di quello stesso movimento sono andate ad infrangersi verso sponde diverse e mai più accessibili.
Frantumato il movimento, distribuitesi le altre in modo dispersivo verso altri lidi, sono rimasti (ad ancora lo sono) gruppi autoreferenziali, dove l’analisi, la ricerca, la memoria non raggiungono nessun obiettivo concreto.
Non è un caso che si svolgano moltissimi convegni e dibattiti, dove poche persone vi fanno riferimento, dove i relatori, i testimoni ed il pubblico rappresentano protagonismi frammentari e di parte.
In questo quadro la presenza e la crescita del movimento degli “Stati Generali delle Donne” appare come un’ apertura e una speranza da cogliere.
Nato nel 2014, esso ha ripreso quanto di buono era stato prodotto in passato ridando fiato a tutto quello che è ancora valido, cercando le alleanze dal basso, le competenze necessarie, la forza per agire nell’attualità.
In questa direzione e a 20 anni dalla Conferenza Mondiale delle Donne di Pechino, che terminò con una piattaforma di proposte condivisa, questo movimento ha indetto infatti una nuova conferenza, svoltasi all’Expo di Milano, a cui parteciparono circa 1000 donne di molti paesi. Dopo tre giorni di riflessione fu redatta la “Carta delle Donne nel Mondo” in cui si delinearono proposte e prospettive verso la realizzazione di una società paritaria, l’ attuazione d’ interventi legislativi ed economici con alla base valori etici verso un’economia sociale e finanziaria sostenibile e solidale.
Da allora il movimento degli SGD non ha cessato di essere presente nei diversi territori del Paese ma anche fuori confine.
Iniziato quasi in punta di piedi ma con grandi ambizioni, il movimento ha portato avanti ogni scadenza prevista mantenendola nel tempo senza mai deludere.
La guida della fondatrice e coordinatrice nazionale Isa Maggi, è stata fondamentale. La tenacia, la professionalità, la capacità di dialogo con e fra tutte e tutti, ha reso possibile questo lavoro fino ad oggi (https://www.statigeneralidelledonne.com/).
Andando a riempire uno spazio in cui la politica si è dimostrata carente, questo Movimento ha saputo divenire interlocutore delle istituzioni, scuole e università, enti locali, luoghi di lavoro, media ecc. Una struttura semplice e interscambiabile, un Comitato scientifico, gruppi di lavoro e riferimenti in tutte le regioni; meeting, congressi, riunioni internazionali, incontri e pubblicazioni aperti a tutti gli interlocutori. La costruzione di un movimento basato su un rapporto fiduciario, salvo verifiche, che è diventato oggi soggetto politico a tutti gli effetti.
Mai sprovvisto del senso di realismo, anche in questo lungo e difficile momento, il movimento-SGD ha realizzato on line una straordinaria maratona che giornalmente e puntualmente ha affrontato e affronta sempre nuovi argomenti con esperti della materia e non rivolti a sole donne. Molte e importanti le adesioni e le partecipazioni dei relatori.
Infine, la vera novità degli SGD, è la capacità di dare concretezza, giorno dopo giorno, anno dopo anno, allo slogan che li definisce.
Distinguendosi da altri slogan che, gridati in piazze affollate producendo un forte impatto mediatico, sono rimasti simboli storici di un percorso che non ha portato a nessun cambiamento effettivo.
La domanda “Se non ora quando?” non ha ancora avuto le risposte temporali che meritava, né tanto meno lo slogan “Non una di meno” ha ridotto il fenomeno della violenza contro le donne. Il richiamo insito negli “Stati Generali delle Donne” richiama, al contrario, ad un’unione di forze attive che non pongono domande ma propongono soluzioni concrete e solidali.
Fino ad ora, la politica non è riuscita a ben comprendere e rispondere a queste istanze, giocando di volta in volta su piccole e inadeguate concessioni facendo si che, mutando il palcoscenico ma non cambiando la scenografia, la rappresentazione riparte sempre dall’inizio.
Nel silenzio-assenso dei tempi morti intercorsi fra uno slogan ed un altro gli SGD rappresentano dunque un soggetto nuovo e diverso.
Non ancora “potente”, con pochi strumenti di sostegno per i costi organizzativi, non ancora “sponsorizzato”dalla politica, sufficientemente “libero” di rappresentare interessi generali e di non dovere subire “legami” ristretti di appartenenza, essi rappresentano la vera novità della “nuova azione di genere”, solo che la “old politcs” volesse scomodarsi di riconoscerlo.
Altresì, questo movimento-SGD, salvo doverne constatare limiti o inadeguatezze, offre una possibilità di confronto a tutte le altre componenti della politica femminile, nel rispetto reciproco, di riconoscersi all’interno di un progetto unico e sostenibile. Né d’altra parte s’intravedono differenze sostanziali.
Questo passaggio rappresenterebbe la novità metodologica necessaria per affrontare il cambiamento di cui questo momento specifico non è che l’inizio.
Dopo il femminismo, il post femminismo, il riformismo degli anni successivi, la politica dell’assenso e del silenzio, non ci saranno altre possibilità di soluzione e per le donne potrebbe verificarsi l’ ulteriore sconfitta di democrazia rappresentativa, dei loro valori e dei loro diritti.
Il dopo resta un’incognita.