Nell’arte, come in tante professioni, le donne non riescono a emergere, non sono visibili. La storia delle artiste donne è rimasta a lungo silente per la difficoltà che hanno incontrato nella produzione e diffusione delle loro opere.
L’ultima moglie di Max Ernst, Dorothea Tanning, smise di dipingere, delusa, perché come donna incontrava troppe difficoltà e la sua carriera era adombrata dalla fama del marito.
Eppure era brava, intelligente, aveva talento ed era aperta a ogni sperimentazione che potesse dare vita ai fantasmi del suo inconscio.
Nell’arte, come in tante professioni, le donne non riescono a emergere, non sono visibili; la storia delle artiste donne è rimasta a lungo silente per la difficoltà che hanno incontrato nella produzione e diffusione delle loro opere.
E come storica dell’arte con una lunga esperienza didattica, posso affermare che le artiste citate nei manuali scolastici sono una sparuta minoranza: la storia dell’arte che noi studiamo è distorta e parziale. Il dato riguarda anche le autrici esposte in musei e gallerie che, secondo una recente stima, sono mediamente appena il 18%; mentre la figura femminile, come soggetto dell’opera d’arte, specie nei nudi, è presente nell’80% delle opere esposte. Tanto che qualche tempo fa un gruppo di artiste femministe americane, che si definivano guerrilla girls, denunciò che le donne entrano nei musei solo nude!
Nel mondo dell’arte hanno agito per lo più personaggi maschili; non solo gli artisti, ma anche i committenti, i mecenati, i collezionisti sono stati rappresentanti del sesso “forte”, mentre la presenza femminile comincia a farsi notare solo dal ‘400, ‘500 in poi. La prima scrittrice europea di professione che si conosca, copista e miniaturista, antesignana del femminismo, Christine de Pizan, nel suo libro più conosciuto (1405), La Città delle Dame, fa esclamare alla sua protagonista: « Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere…». Eppure, un secolo e mezzo dopo, qualche dubbio cominciava a comparire, se Giorgio Vasari può affermare: «Poiché le donne sanno benissimo dare alla luce gli uomini, non c’è da meravigliarsi che vogliano poter anche creare, con la stessa facilità degli uomini a partire dalla pittura». Ancora nel 1880 Marie Bashkirtseff lamenta che le donne sono escluse dall’École des beaux-arts di Parigi come da quasi ogni altra istituzione. «Quello di cui abbiamo bisogno è la possibilità di lavorare come gli uomini, senza dovere compiere degli sforzi immani per ottenere ciò che semplicemente hanno gli uomini».
Bisogna attendere il 1900 perché le donne possano essere ammesse all’École, il 1903 perché siano eleggibili al Prix de Rome, apice della formazione artistica. Ma ormai l’École insegnava solo arte accademica, la vera arte si faceva altrove. Le poche donne la cui memoria ci è arrivata dal passato evocano nei nomi quelli dei loro padri, fratelli, mariti o amanti, alla cui bottega avevano accesso, magari in abiti maschili, ma a loro erano riservati generi secondari, come ritratti e nature morte, non la grande pittura storica o i soggetti biblici. Così come non avevano accesso all’istruzione, non potevano viaggiare, e quindi studiare le opere di grandi artisti né tanto meno i nudi dal vero; solo nel chiuso dei conventi, strano a dirsi, potevano dedicarsi liberamente alla loro attività preferita. Per lo più erano costrette a scegliere la miniatura, il disegno, l’acquerello e il pastello, tecniche a lungo considerate delle arti minori per artisti minori, sulla base del pregiudizio secondo cui leggerezza, finezza, dolcezza, delicatezza e sensibilità sarebbero prerogativa delle mani femminili. E solo le donne geniali riuscivano a trovare un posto in un settore in cui a loro nulla era dovuto e la partita tra maschi e femmine non era giocata ad armi pari. Dal ‘700 in poi, invece, il numero delle donne artiste è più visibile e aumenta considerevolmente, così come aumentano le letterate, le filosofe, in quanto vengono meno tanti divieti; ma è solo dagli anni Sessanta, Settanta del Novecento che le donne consapevolmente hanno rivendicato il loro posto accanto a quello degli uomini e sono entrate in massa nel mondo dell’arte, non solo come artiste, ma anche come critiche e collezioniste. Contemporaneamente tante ricercatrici universitarie cominciarono a sviluppare quelli che oggi chiamiamo “studi di genere”, e nel 1987 Wallace e Wilhelmina Holladay aprirono a Washington Il Museo Nazionale delle Donne nelle Arti (NMWA), il primo museo dedicato esclusivamente alla celebrazione delle conquiste delle donne nelle arti visive. I coniugi Holladay erano collezionisti di opere d’arte: nelle loro ricerche si trovarono di fronte al problema della scarsità di informazioni riguardo alle artiste donne. Decisero allora di dedicare loro un museo che, attraverso la collaborazione con le scuole, offriva nuove opportunità. Oggi non si può più parlare di marginalità per l’arte realizzata dalle donne e, come in altri campi, anche in quello dell’arte le donne hanno ormai raggiunto un pieno riconoscimento. Ma, ancora per essere conosciute, devono lavorare più dei loro colleghi maschi e creare opere sensazionali, ancora fanno più fatica a farsi conoscere, ancora c’è chi si sente dire come complimento che dipinge “come un uomo”.