“Donne in dialogo affronta il tema della paura nella fase due”,
di Cosimo Lerario
Riflessioni a piede libero di un (unico) maschietto in video.
C’era una volta un Generale. Tanto tempo fa.
Cosa c’entra, vi chiederete. Nulla. Anzi no, qualcosina. Vado avanti e tenterò di spiegarmi meglio.
Dunque, tanto tempo fa c’era un Generale. Un Alpino “tutto d’un pezzo”. Costui quando gli si prospettava la necessità di effettuare una azione militare un po’ “sporca”, cioè non proprio tranquilla, assai impegnativa e con qualche rischio di troppo, che prevedesse essere eseguita da un ufficiale medico, rispondeva sempre allo stesso modo: “Mandiamoci Lerario.” E così accadeva.
Lerario ero io. Anzi, lo sono ancora.
Ed il motivo per cui sceglievano me non aveva nulla a che fare con mie competenze e abilità. Semplicemente sapevano che non mi negavo. Acconsentivo pressoché senza riserve, per assoluta incoscienza. Accettavo l’incarico, portavo a termine quel che andava fatto, quindi rientravo nei ranghi. Sino alla volta successiva. Andava così.
Da un bel po’ di tempo avevo rimosso il fatto di aver esercitato questa mia imprudente attitudine. Non foss’altro per evitare di cadere nella sindrome del vecchio reduce rimminchionito che si nutre di ricordi e rimpianti.
Ci sono riuscito per anni, sino ad un paio di giorni fa. Sino a quando, cioè, Caterina Della Torre mi ha invitato a partecipare alla video riunione di cui stiamo trattando, precisandomi che sarei stato probabilmente l’unico soggetto di sesso maschile in un contesto decisamente muliebre.
Un flash ha attraversato la mia mente illuminandone a giorno le stanze più buie, quelle in cui ho accatastato i ricordi più impolverati. Ci risiamo, mi sono detto. Eccone un’altra di missione “tosta”. Come ai vecchi tempi.
Ho quindi tirato fuori da ancestrali bauli l’equipaggiamento più idoneo, mi ci sono bardato e all’orario prescritto ho acceso la webcam.
E mi sono ritrovato da …quell’altra parte: nell’ignoto mondo della altra metà della mela.
Smarrito. Preoccupato. Inadeguato.
Praticamente mi sentivo come davanti ad un plotone di esecuzione. Così come accade a qualunque maschietto medio quando si ritrovi al cospetto di un gruppo di esponenti di quella categoria impunemente ed erroneamente da sempre indicata come “sesso debole”.
Mi sono venute in mente immagini terrificanti: dal coniuge della mantide religiosa digerito dalla appagata consorte a Nicolas Cage nell’ultima scena del film “Il Prescelto”.
E, ormai rassegnato, da impavido eroe di “genere” ho offerto il petto alle frecce di ogni Artemide che mi scrutava dalle finestre multiple dello schermo della piattaforma Zoom.
Ho, quindi, invocato in mio ausilio l’intervento sovrannaturale delle protagoniste dei miei libri, che ho sempre tratteggiato con rispetto e adorante sussiego. Figena, Ilona; ma soprattutto Julienne, antica madre ancestrale.
Quindi, ho fatto ricorso a qualcosa che tutti noi umani bipedi di sesso maschile ci ritroviamo addosso; e che, stoltamente, non usiamo praticamente mai. Il cromosoma X; quel piccolo ma determinante frammento di genomica femminilità che volenti o nolenti teniamo dentro.
Di cui ignoriamo o, comunque, scordiamo l’esistenza. Ma che fa parte del corredo di ogni nostra cellula, come testimone silente non solo e non tanto delle nostre origini, quanto di quel non dovremmo mai dimenticare di essere.
L’ho pubblicamente rivendicato, nel corso del mio primo intervento. Non di certo per arruffianarmi le incombenti presenze; ma per rimarcare quel che è impossibile eludere. Cioè, che la distinzione dell’essere umano in differenti identità sessuali è funzionale solo alla generazione del più straordinario prodotto che si possa immaginare: la Vita. Null’altro.
E, da quel momento, tutto si è colorato di necessaria e stupefacente straordinarietà.
Sono scesi in campo i nostri cervelli, non le nostre genitali prerogative. Così che in un fluente unicum, stimolante e produttivo, abbiamo affrontato con approccio sereno e costruttivo persino spettri come Coronavirus, Paura, Disagio infantile, Delazione, Asocialità, Solipsismo. Ed altri, più o meno altrettanto terrificanti.
Ed assieme abbiamo generato idee, proposte, intendimenti. Vita, per l’appunto.
Ed assieme abbiamo esorcizzato il Distanziamento.
No, non quello che di recente si invoca a più voci come artifizio profilattico; ma quello che ci portiamo dentro da millenni. Quello che ebbe inizio quando l’ominide che tornava dalle battute di caccia nella sua caverna ritrovandoci l’altra metà di se stesso, prese a non riconoscerla più in quanto tale.
Quando, cioè, dimenticò che Sole e Luna condividono il medesimo cielo.
L’evento si è chiuso sulla necessità di raccogliere le nostre energie e fare delle proposte condivisibili.