Un’ispirazione per affrontare la fase due, anzi due bis? A volte un film è proprio quello che ci vuole.
La donna elettrica (2018) del regista, sceneggiatore e attore islandese Benedikt Erlingsson (1969), sullo sfondo dei paesaggi mozzafiato e dei geyser di quella terra selvaggia, non fatevelo scappare, perché definisce un vero e proprio programma per la ripresa, dedicato in particolare alle donne, ma non solo: ripensarsi come madri, madri di tutto, dell’intero nostro pianeta. Come madri amorevoli prendersi cura di tutti gli esseri viventi che condividono il nostro spazio vitale con immensa compassione, combattività, dedizione. Che in un film campeggi un’eroina femminile a tutto tondo non è ancora, purtroppo, così diffuso e questa storia di donne farà bene sia alle più giovani, che desiderino identificarsi con una figura dotata di coraggio, spirito indipendente, e strenue volontà di agire, sia alle donne più mature, che vogliano deliziarsi con una meravigliosa storia di sorellanza e con un esempio di maternità come scelta consapevole.
Un programma di vita per un futuro veramente brillante, a tinte fortemente e autorevolmente femministe. Una donna che lotta da sola per le cose in cui crede con audacia e volontà di sfida, con astuzia e abilità davvero da batticuore, e una esperienza di maternità assimilata a un percorso spirituale, profondo, in cui essere madri è vera solidarietà e devozione. E la musica è molto più di una presenza: è una straniante sfida alle convenzioni. Di storie così ce ne vorrebbero davvero tante.
Auguro a me stessa e a voi lettrici di vivere questa ripresa, da oggi in poi, con uno spirito altrettanto combattivo. Perché anche una prigione, come accade al personaggio di Ása, anche una quarantena, un faticoso lockdown e un’altrettanto difficile ripresa possano davvero trasformarsi, attraverso le nostre scelte, in storie di vittoria e percorsi verso l’affermazione di una femminilità altrettanto autorevole, piena di passione e tenerezza.