Dopo le proteste seguite all’assassinio di George Floyd si è creata negli Stati Uniti e in Europa una forte ondata iconoclasta di cui hanno fatto le spese i monumenti a Cristoforo Colombo (divelto in quanto schiavista), Churchill, Baden-Powell e molti altri
Via col Vento: un film “vietato”?
di © Daniela Tuscano
Dopo le proteste seguite all’assassinio di George Floyd si è creata negli Stati Uniti e in Europa una forte ondata iconoclasta di cui hanno fatto le spese i monumenti a Cristoforo Colombo (divelto in quanto schiavista), Churchill, Baden-Powell e molti altri. Si vocifera pure d’un “oscuramento” di Gauguin, pessimo marito e padre nonché, anch’egli, sfruttatore d’indigeni (indigene) mentre il celeberrimo film Via col Vento, ritirato dalla piattaforma Hbo Max per aver veicolato messaggi razzisti, è stato poi reso nuovamente disponibile, con cappello introduttivo da parte d’un esperto di studi afroamericani. Sulla scorta delle piazze americane, i Sentinelli di Milano chiedono a gran voce la rimozione della statua di Indro Montanelli, “fascista e pedofilo” per aver abusato d’una ragazzina eritrea ai tempi della guerra d’Abissinia.
Di quest’ultimo episodio, come delle dichiarazioni del sindaco di Londra Khan che promette di eliminare le statue “non più in linea con i valori di Londra” mi occuperò in un secondo tempo. Ora preferisco soffermarmi su Via col vento perché la polemica, in realtà, è antica, e risale esattamente a cinque anni fa, quando un neonazista fece irruzione in una chiesa di Charleston, simbolo dei diritti civili, trucidando nove persone, tutte afroamericane. L’efferato delitto suscitò una forte ondata emotiva e aprì una serie di dibattiti. Di uno fui informata da un articolo di Vittorio Zucconi, apparso su “Repubblica” e intitolato Se anche Via col Vento è un simbolo razzista. In realtà, del romanzo di Margaret Mitchell si accennava solo in uno scarno trafiletto. Questo: secondo il “New York Post” il classico della scrittrice georgiana (e premio Pulitzer) dovrebbe esser censurato “per la sua antica ma non troppo velata vena razzista”.
“Non troppo velata”?
Forse Zucconi amava le litoti, forse la reverenza per quel “comunque classico” l’aveva obbligato a felpate definizioni; ma che Via col Vento fosse razzista, e non troppo velatamente, ma in modo conclamato, persino rivendicato, non dovrebbe essere un mistero. A parte i dialoghi dei “negri” coi verbi costantemente all’infinito – almeno nella traduzione italiana – come giudicare altrimenti simili passaggi: “[Durante un tentativo di rapina, o di stupro] il negro le era addosso, quasi che [Rossella] ne sentiva il fetore, fu pervasa da un ribrezzo inimmaginabile… ”; “la preghiera con i padroni bianchi era uno degli avvenimenti della giornata. Le immagini orientali scandite dalle litanie di Elena [madre della protagonista e, forse, il personaggio più bieco della vicenda] non avevano significato per loro, ma la dolce voce della padrona gli infondeva una incomprensibile commozione…” (se ne desume che la Mitchell ignorasse del tutto l’esistenza dei gospel e della loro spiritualità liberatoria, segno che i “negri” quelle immagini le capivano benissimo e certo di più di chi strumentalizzava la religione come arma di potere); “era troppo complicato spiegare a quel bestione [nero] in lacrime cosa fosse un convento”; “zio Pietro piangeva, e lei ne provava pena. Come se qualcuno fosse stato brutale verso un bimbo”; “- Ho visto negri scappar via con donne bianche. Il risultato è che avremo dei bambini gialli, e non credo che la razza migliorerà -”; “Melania [la buona e dolce Melly del romanzo, rivale di Rossella] esclamò: – Mio figlio non andrà mai in una scuola frequentata da piccoli negri! -”; e la peggiore, forse la più odiosa: “ – No… miss Rossella, non piacere questa libertà. Al Nord mi chiamavano mist’ O’Hara ma mi trattare male, non come voi che sapere i miei bisogni. Io non volere questa libertà! -”? Mi si perdonerà qualche imprecisione, ho citato a memoria.
E ho volutamente tralasciato le scombiccherate “analisi” socio-politico-culturali (non mancava una frecciata invidiosissima a La capanna dello Zio Tom) non richieste a una scrittrice cui erano decisamente più congeniali i cuori infranti e i sospiri vagabondi. Analisi per giunta noiosissime, penso non le ricordi nessuno, e tutte a supporto d’un’unica tesi: meglio lo schiavismo, dato che i “negri”, quando andava bene, erano per natura semideficienti incapaci di risolvere i loro “bisogni”, e meno male che i padroni bianchi li accudivano premurosi, come secoli di storia hanno ampiamente dimostrato. Perla finale, una piena giustificazione dell’allora nascente Ku Klux Klan, cui aderisce convinto anche l’eroe “positivo” Ashley e che tutti approvano, compresa la tenera Melly, fervente “confederata”. Persino la meretrice Bella Watling è di buon cuore, nel senso che dona tutto alla causa, e la causa sarebbero i sudisti, non occorre specificarlo.
“Non troppo velata” vena razzista? Vena? Alla faccia! Che cosa doveva scrivere ancora, l’ineffabile Maggie?
Se poi vogliamo spingerci più in là e analizzare la figura femminile, cascano le braccia. L’eroina Rossella, splendidamente interpretata nel celebre kolossal da Vivien Leigh, è un’arrivista cinica e amorale, priva di solidarietà, di religione e anche d’amor patrio. Ama la sua terra, questo sì, ama Tara, d’un amore viscerale, esclusivo, sospettoso e geloso, animalesco ed egoista. Per Tara è disposta a tutto, fino a prostituirsi, sia pure secondo le regole: cambiando cioè una serie ininterrotta di mariti, i quali invero fanno un po’ pena, irresoluti e ingenui come sono (tranne l’unico vero maschio, Rhett-Gable, lei se ne accorge solo alla fine, ma si sa, domani è un altro giorno). Dei figli non le importa nulla. Al tempo stesso condivide tutte le civetterie e le frivolezze delle femmine peggiori, non è solidale con le congeneri, ha un appetito sessuale non indifferente.
Tutto da buttare, quindi? Per nulla, e disdoro su chi lo esige. Via col Vento è un romanzone ben scritto, dalla trama avvincente, ricco di colpi di scena, che ha fatto sognare milioni di lettori e soprattutto di lettrici. Persino mia madre, notoriamente poco incline al sentimentalismo, si era immedesimata in Rossella. Questa donna ferina e petulante qualche carica sovversiva la trasmetteva; lavorava, irrideva la tronfia sicumera maschile cui opponeva una spregiudicata praticità; e, alla fine del romanzo, giungeva a elaborare una primitiva intesa fra donne, proprio con quella Melania da sempre detestata. E poi, chi non s’è persa dietro il sogno irraggiungibile del principe azzurro? Quel lato infantile, anche capriccioso, di Rossella, non era forse il desiderio di prolungare un po’ il nostro tempo migliore, il tempo del gioco, che presto, troppo presto, alle donne viene negato?
Non è certo una femminista Rossella, non so cosa fosse Margaret Mitchell, ma questo dialogo fra i tanti è illuminante (e anche qui mi scuso in anticipo, se mi faglia la memoria):
“Rhett disse: – Il lutto imposto alle vedove mi sembra ancora peggiore del sutti indiano. -Il sutti? – In India, quando il marito muore, la vedova si arrampica sulla sua pira e brucia con lui. – Che cosa orribile! E il governo non lo vieta? – No davvero. Mia cara, qui siete costrette a fare le morte viventi, a negarvi ogni gioia e divertimento per non perdere la reputazione, e allora il sutti mi sembra un metodo molto più misericordioso dell’ipocrisia cui vi obbligano da queste parti -”. E segue una tirata sugli abiti severi cui deve attenersi la vedova perbene, la quale non può sorridere se non mestamente, e sempre ricordando il caro estinto, piangere perdutamente, languire. Naturalmente Rossella si ribella a tutto ciò, creando enorme scandalo nell’ipocrita e perbenista società del tempo, tranne in Melania che le sta sempre vicina. Se vi par poco…
Non fosse che per queste contraddizioni patenti (e irrisolte) fra emancipazione e tradizione, il romanzo meriterebbe la lettura. Per tacer delle vicende rocambolesche seguite alla realizzazione del film: dalla tragica scomparsa in guerra di Ashley-Leslie Howard al premio Oscar assegnato per la prima volta a un’attrice di colore (primo paradosso), l’indimenticata Mamy-Hattie McDaniel che però venne fatta sedere a parte durante la cerimonia (secondo paradosso), e a cui non si volle negare il riconoscimento pur essendo non solo “negra” ma anche omosessuale (terzo paradosso).
E l’innegabile razzismo? Un tempo, fin dalle elementari, ci insegnavano a storicizzare e a contestualizzare le opere. A individuarne gli aspetti di modernità e quelli ormai inaccettabili o incomprensibili. A distinguere tra valori eterni e altri tramontati. Non è censurando un libro, a maggior ragione un romanzo, che si prevengono guai peggiori. Non è mai un libro a esser “galeotto” (chi pronuncia questa sentenza, infatti, si trova all’inferno), ma solo l’impreparazione e malafede intellettuale di chi lo affronta; è notizia ancor recente la censura, ben più grave di quella della Mitchell, delle Metamorfosi di Ovidio alla Columbia University; Secondo l’illuminato parere dei turiferari del politicamente corretto, il volume sconvolgerebbe le menti delle studentesse a causa delle immagini di stupro (ma non risulta la fiorentissima industria della pornografia e della pedofilia sia mai stata colpita da provvedimenti tanto severi). Mesi fa i dotti oxfordiani – non sfugga la provenienza geografica di questi novelli Catoni – giudicarono “razziste” pure l’Iliade e l’Odissea. Dante è da tempo sotto accusa per la condanna dei “sodomiti” o del profeta Maometto, così il Decameron o gli stessi testi sacri (la Bibbia sicuramente, ma non s’illudano certi musulmani irrequieti, il Corano seguirà a breve…). E invero è questo il fine ultimo dell’imperante nichilismo: non il rispetto delle singole identità ma la scarnificazione dell’umanità profonda, il vuoto dell’eterna immanenza. Individui senza baricentro né relazioni, chiusi nell’incomunicabilità: tali ci vogliono. Si è veramente persone se si sviluppa la capacità d’empatia, la comprensione che è anche compassione: patire-con, entrare nell’altro, pur quando non ci piace; solo conoscendo le sue dinamiche psicologiche si evita la coazione a ripeterle. Un libro non è mai pericoloso, argomentava Pasolini; ma noi aggiungiamo che può esserlo molto, per la sua capacità di scardinare il castello delle labili certezze. Insomma, la morbida Inquisizione delle società liquide giunge a essere molto più spietata di quelle, evidenti, dei regimi totalitari.
E non occorrerebbero litoti. La verità tornerebbe a esser proclamata sui tetti. Via col Vento è razzista? Sì, lo è! Ma noi non lo temiamo, lo studiamo. Possiamo detestarlo, non ignorarlo; nell’Eden non si rientra; la realtà va affrontata, non fuggita; è il solo mezzo per superarla e trascenderla.
© Daniela Tuscano