Lettera alla giovane egiziana suicidatasi in Canada
Lo so, ti sento. Sei su di me, sei mia; ho visto la tua immagine solo due giorni fa, ma mi eri sorella da sempre. Non ti ho scoperta, ti ho ritrovata.
Conosco il fremito dell’erba nell’aria azzurra. Il piacere tutto fisico di appropriarsene. E quel che segue, sogni, invenzioni, paure, corse, ferite, baci. Quel sorriso diretto, le sopracciglia argute, il taglio dei capelli, corto e lucido; così esposto; così, ecco, inerme; mai sazio di vita, febbrile di scoperte. L’ho visto tante volte; ogni volta che mi specchiavo. Eri me, ero te, eravamo le mille e più donne di Qabbani: tutte noi. Ribelli loro malgrado, ribelli perché siamo.
Non hai mai smesso di correre, carissima Sarah. La prima volta, quando nel tuo entusiasmo – il tuo allarmante, magnifico entusiasmo – hai sventolato un bandierone arcobaleno più grande di te. Stavi a un concerto, “quel” concerto, Mashrou Leila, musica e libertà. Spericolata e ingenua come tutti i giovani, pensavi davvero che l’arte poteva fermare la violenza o, forse, intenerire il violento. Convincerlo che non esiste un amore senza diritto di cittadinanza. La fiducia nell’intima bontà dell’uomo (A. Frank): è stato questo, non l’omosessualità, il tuo vero “coming out”.
Hai continuato a credere a quella bellissima illusione anche quando ti hanno arrestata, picchiata, torturata, anche quando decine di uomini ti sono passati sopra come rulli, brutali e indifferenti, in nome del Decoro, dell’Onore, della Morale. E, soprattutto, di Dio.
Ma “nemmeno Dio è dalla tua parte!”. Nemmeno lui! – esclama la prostituta Aicha al suo migliore amico, l’omosessuale Jamal, nel romanzo di Bahaa Trabelsi “Une vie à trois”. Al che egli replica: “Il mio Dio è misericordioso. Io mi fido di lui”. Ancora la fiducia, sempre la fiducia!
E la misericordia, che tutti invocano, meccanicamente, sciattamente. Senza crederci sul serio, anzi diffidandone, anzi respingendola. “Nel nome di Dio il misericordioso il clementissimo”. Sì. Ma andiamoci piano. La misericordia gioca brutti scherzi. Vola dove vuole. È mistica e scivolosa. Meglio il castigo – non significa, in fondo, “rendere puri”? –, la giustizia retributiva. Specialmente con determinati peccati, così manifesti, così logicamente innaturali!
E così hai ripreso a correre, a correre malgrado te, fuori di te. Lontana da certi dedali di vie che, però, ti scoppiavano dentro, da certe persiane abbassate, dai profumi a volte aridi, a volte lussureggianti, ma tuoi, incisi nella carne, nel respiro. Fuori, altrove, c’era libertà. Ma quale libertà! Quale felicità per il corpo, se l’anima restava prigioniera, cancellata da un mondo che pur sentiva suo?
Già, il mondo. “Sei stato davvero crudele, ma io perdono”; “Il cielo è più dolce della terra! E io voglio il cielo, non la terra”. Questo il messaggio che ci hai lasciato. Sono blasfema se, a me cristiana, quella frase, quel verbo “perdono”, ricordano le ultime parole di Cristo in croce? Se quell’invocazione, quella pretesa di cielo, mi sembra già paradiso? Ti hanno dato dell’atea, non sanno nemmeno dove e se ti seppelliranno, e tu ti sei già fatta sacrificio. Ti sei sentita fragile, sconfitta, quando sono altri ad averti stremata, quelli che hanno confinato Dio nei loro perimetri umani, legiferando in nome suo, credendosi lui.
Adesso, Sarah, la corsa è finita. Adesso hai trovato quella misericordia che il tuo gesto, tremendo e vertiginoso, ha anticipato. Sei stata nostra sorella perché ogni donna, in Oriente o in Occidente, a Sud come a Nord, cristiana o laica, musulmana o buddista, eterosessuale o lesbica, è vasta; contiene moltitudini; e c’è sempre qualcun altro pronto a tarparle il volo, bestemmiando, egli sì, il frutto della creazione, quella sua originale diversità, l’imprevisto ridente: noi.
© Daniela Tuscano
PER APPROFONDIRE:
https://www.internazionale.it/opinione/chiara-comito/2015/02/12/concerto-mashrou-leila-torino