L’organo più importante come sempre è il cervello.
È lui a concertare la nostra sessualità. Raccoglie gli stimoli che arrivano da tutto il corpo, li codifica e risponde poi in maniera adeguata
Per questo è bene (per la nostra sessualità, appunto) che le sue vie di comunicazione (il sistema endocrino, quello neuromuscolare e l’apparato vascolare) siano integre e funzionanti. Ma non basta: è chiaro che debba esserci anche il benessere e la disponibilità mentale, sempre. Solo così si può presumere un rapporto sessuale soddisfacente.
Quando qualcosa interrompe quella naturale successione degli eventi che in sé determina la risposta sessuale, allora possiamo parlare di incompetenza sessuale.
E non è da molto che possiamo parlarne, ci tengo a dire: riguardo a noi donne, fino a poco tempo fa non si prestava attenzione alla componente biologica della funzione sessuale. Quando era un uomo a lamentare un disturbo del genere, allora sì, era un’altra faccenda: veniva subito sottoposto a una serie completa di indagini (endocrinologiche, metaboliche, vascolari e neurologiche) per una diagnosi precisa, adeguata. Ma se era una donna a farlo, per lo più la si spediva dallo psicologo. Le veniva di fatto negato il diritto a una diagnosi personale e a una terapia pertinente, medica oltre che psicologica.
Il fiorire degli studi sulla sessuologia medica femminile è stata in un certo senso una specie di rivoluzione. Oggi si sa (e si accetta) che la sessualità femminile e la sua cura non possono prescindere dalla conoscenza dei fattori biologici e psichici che la regolano.
Vediamo allora di che cosa possiamo oggi parlare, se vogliamo affrontare l’argomento incompetenza sessuale.
Innanzitutto, perché questo termine: perché parliamo di incompetenza. Bè, si usa questa definizione, incompetenza anziché patologia, perché è molto difficile distinguere il normale dal patologico, quando parliamo di sesso. Dove vada tracciata questa linea distintiva poi, è sempre opinabile, è una volta fatto, una volta cioè che la persona diventa paziente, la sua inadeguatezza una malattia vera e propria, allora è facile che questa persona/paziente si demoralizzi (più di quanto già non lo sia, per altro) innescando una ulteriore empasse psicologica che rende ancora più difficile una possibile terapia. Perciò si preferisce evitare termini come malattia, o patologia appunto: è molto importante rassicurare le persone che soffrono di (e per) questi problemi. Rassicurarli sulla loro normalità, voglio dire.
Nel 2000, una conferenza internazionale di esperti (sì, lo so, sorvoliamo per un attimo su quella naturale diffidenza, quel senso di fastidio che al solo nominarla questa parola, esperti, ci fa venire voglia di tapparci le orecchie e non ascoltare, tanto più quando i sedicenti esperti sono esperti del sesso), ebbene, in questa conferenza si è provato a ragionare sull’incompetenza sessuale in genere e lo si è fatto distinguendo i disturbi più comuni, a seconda delle varie fasi della risposta sessuale.
Cioè a dire: disturbi del desiderio, disturbi dell’eccitamento, disturbi dell’orgasmo e disturbi dolorosi.
A seguire poi, a ognuno di questi quattro tipi di disturbo sono state riconosciute delle variabili: sempre presente o acquisito nel tempo; biologico o psicologico; generalizzato (non limitato a un solo partner, per capirci) o correlato ad una specifica situazione; stressante per sé; stressante per la relazione.
Certo, non è vangelo. In tanti, anzi, hanno criticato questo tipo di classificazione: accomuna arbitrariamente i disturbi femminili e quelli maschili, secondo alcuni; secondo altri è limitata e tiene a mente solo i rapporti eterosessuali. Tuttavia la si può tenere presente, d’aiuto per barcamenasi un po’ meglio in quel territorio delicato, le cui innumerevoli sfumature psicologiche, che variano da caso a ne caso, ne rendono impossibile il disegno preciso. Vediamo, allora.
I disturbi (della fase) del desiderio sono i più frequenti. Cioè quelli più raccontati dalle donne, in consultazione. E’ difficile definirli, e misurarli soprattutto (in relazione a quel variabile concetto di normalità cui ho accennato prima). Variano da donna a donna e sono condizionati in gran parte da fattori socio-culturali. Parliamo di desiderio ipoattivo quando la donna non ha pensieri o fantasie sessuali, non pensa ai rapporti e non sente desiderio di averli. Nel confronto con il partner (che invece questi desideri ce li ha), questa sua mancanza viene a pesare, l’incapacità di rispondere agli stimoli ci fa sentire menomate, sbagliate: in breve si creano situazioni di stress individuale e di coppia. Le cause della mancanza di desiderio possono essere fisiche e psicologiche, e il più delle volte sono correlate. Ad esempio, un disturbo alimentare (di origine prettamente psicologica) reca conseguenze metaboliche gravi (e chiaramente fisiche), come l’amenorrea prolungata, cioè la mancanza cronica del ciclo, che il più delle volte si accompagna alla perdita del desiderio, all’inappetenza sessuale. Ci sono anche ragioni solo psicologiche, certo, come i blocchi mentali dovuti a traumi infantili e non (violenze o semplici delusioni amorose), come ci sono quelle solo fisiche: dopo la maternità, ad esempio, l’allattamento prolungato (per azione della prolattina) inibisce chimicamente il desiderio, chimica che gioca la sua parte anche in menopausa e in particolare nelle donne cui hanno asportato le ovaie, cui mancano estrogeni, ma pure gli androgeni essenziali al desiderio. Ci sono poi alcune particolari conseguenze di interventi chirurgici, di trattamenti farmacologici, e di uso e abuso di droghe.
I disturbi (della fase) dell’eccitamento sono quelli che impediscono alla donna di ottenere un adeguato eccitamento, o di mantenerlo per tutta la durata del rapporto. Può restare solo nella testa (se non c’è eccitamento mentale, se il cervello non partecipa), ma può anche impedire la lubrificazione genitale. In questo secondo caso capita che durante e dopo il rapporto si avvertano dolori (conseguenza diretta della mancata lubrificazione, appunto), e possono sopravvenire cistiti post-coitali e altro: traumi fisici veri e propri, insomma, che a lungo andare divengono ragione di stress, individuale prima, e di coppia a seguire. Se le ragioni psicologiche, come sempre, possono essere innumerevoli, le ragioni fisiche di questo disturbo sono invece facilmente identificabili: legate tutte quasi sempre alla riduzione del flusso sanguigno vaginale, per carenza ormonale (menopausa, castrazione chimica o chirurgica), oppure per esiti di traumi perineali o genitali, o dovuti, per esempio, all’uso prolungato di farmaci vasocostrittori.
I disturbi (della fase) dell’orgasmo causano l’estrema difficoltà (o l’impossibilità) di raggiungere il culmine del piacere, nonostante vi sia desiderio e vi stata una sufficiente stimolazione sessuale e una buona lubrificazione (cioè a dire, un buon eccitamento). Chiaramente, a ciò segue una forte ansia, e stress per lei e per lui. Ma meno che nei disturbi precedenti, c’è da dire: in molti casi infatti le donne dicono comunque di provare una specie di eccitamento prolungato per cui, pur senza orgasmo, si dicono soddisfatte (è un fatto che le donne possano beneficiare di un bouquet più colorito e vario nell’esercizio e l’espressione del piacere coitale, più di quanto non possano gli uomini, intendo, che hanno a loro disposizione solo un’unica variante, quella dell’agitare per bene la bottiglia fino alla più o meno chiassosa esplosione del tappo e al conseguente immediato sgasamento). Le cause dell’anorgasmia femminile, come nei casi precedenti, possono essere collaterali a trattamenti farmacologici (psicofarmaci, antidepressivi), all’abuso di alcol, a deficienze ormonali e a interventi o traumi pelvici.
Tra i disturbi dolorosi, i più significativi sono la dispareunia, il vaginismo e il dolore pelvico. La dispareunia è il dolore che compare esclusivamente in conseguenza al rapporto sessuale. Può essere superficiale, se localizzato all’ingresso della vagina, profondo (se localizzato in fondo, appunto), oppure totale, quando è diffuso in ogni parte. Parliamo di dispareunia primaria se compare fin dai primi rapporti, secondaria se invece si manifesta in un dato momento, a seguito di un particolare evento (come il parto, ad esempio) Può essere improvvisa, se compare durante il rapporto e se ne va alla fine, ritardata , se compare e si accentua a qualche ora dal rapporto. Può sopravvenire a ogni rapporto, sempre, oppure solo in alcune posizioni, o solo in alcuni giorni del ciclo, o solo con alcuni partner. Per farne fronte è bene farsi visitare con cura, ricercare lacerazioni o cicatrici, che possono essere vestibolari (vestibiliti), perineali (episiotomie o lacerazioni da parto), vaginali (restringimento dell’ostio vaginale dovuto a episiotomie o altro) e uterine (lacerazioni al collo, ai legamenti utero sacrali e laterali di Mackenrodt,e quant’altro). Il vaginismo invece è una contrazione riflessa, involontaria e incosciente, dei muscoli elevatori che impedisce in parte o del tutto la penetrazione vaginale. A volte si accompagna alla contrazione degli adduttori della coscia e rende difficile (se non impossibile) anche la sola visita ginecologica. Anche il vaginismo, come la dispareunia, a seconda del suo insorgere, può definirsi primario (dal primo rapporto, più frequente, e di natura psicologica, se si escludono alcune ragioni organiche come l’imene resistente, il diaframma vaginale o l’assenza di vagina) o secondario (meno comune, conseguente a traumi chirurgici e ostetrici, e rafforzato dal fattore psicologico, cioè dalla naturale paura di un rapporto sessuale doloroso). Il dolore pelvico infine, il sintomo più importante e frequente in ginecologia, è quel tipo di dolore generico (localizzato appunto indefinitamente in zona pelvica) che possiamo associare a qualsiasi disfunzione sessuale. Se si accusa è bene sottoporsi a tutta una serie di visite per escludere, una alla volta, tutte le possibili cause, e cioè ogni genere di patologia che coivolgono l’apparato genitale femminile direttamente (infiammazioni, endometriosi, sindrome di Allen-Master), ma anche indirettamente (coliti, sindromi reumatiche).