Il dialogo è un dono reciproco da promuovere fin dall’infanzia perché dialogare non è solo parlare.
Si è sempre detto giustamente che i bambini devono esprimersi e quel “taci che sei piccolo” è diventato il messaggio obsoleto di un’educazione repressiva e castrante dove i bambini erano tenuti in scarsa considerazione dal punto di vista del dialogo con gli adulti. Devi obbedire e basta, questa era la regola. È passato un po’ di tempo, ma neanche poi troppo e ci troviamo in una situazione diametralmente opposta dove i piccoli fanno sentire la loro voce condizionando le scelte degli adulti. Ma non è questo il punto su cui desidero soffermarmi, bensì sono colpita e preoccupata per il bisogno esagerato di parlare manifestato da tanti bambini che ho osservato in contesti differenti. È un bisogno irrefrenabile di raccontare se stessi a qualcuno che ascoltando attentamente possa dare almeno loro la soddisfazione di essere interessanti. Negli ultimi tempi ho avuto due esperienze significative con bambini di genitori che lavorano molte ore al giorno e sono quindi, malgrado il loro desiderio di state con i figli, latitanti. Si dice che sia importante non la quantità ma la qualità eppure il problema sembra acuirsi: i bambini sono avidi di dialogo. Non sono in grado di comunicarlo e il fiume di parole con cui investono anche un estraneo è il sintomo di un disagio allarmante.
Una coppia di fratellini che incontro ai giardinetti vicino casa, assolutamente ignari di ciò di cui mi occupo, mi ha preso in simpatia e appena appaio da lontano mi corrono incontro, mi catturano letteralmente e con una frenesia quasi nevrotica prendono a raccontare la loro vita lamentando di sentire la mancanza del padre che lavora fino a tarda ora. Mi sono detta che forse il loro genitore non vive più a casa e per non farli soffrire la madre racconta una storia non corrispondente alla realtà. Chissà, resta il fatto che se sono di fretta mi trovo obbligata a non portare la cagnolina ai giardini, loro sono sempre in agguato e quando mi vedono si lanciano in saluti davvero affettuosi lanciandomi incapace di bloccare i loro racconti. Sono giunti a chiedermi di poter venire a casa mia per pranzo. In pochi minuti mi versano addosso una tal quantità di informazioni e racconti da stordirmi. So per certo, a questo punto ho parlato con la loro madre, che non sono affetti da sindrome di iperattività e il loro rendimento scolastico è nella norma, ciò di cui sono carenti è la presenza del padre. Il loro bisogno eccessivo di parlare è reale e sicuramente nasce da una carenza di relazione.
Altro caso interessate è quello di una bambina di quinta elementare che conosco da molto tempo, era timida e parlava pochissimo. Tutto è cambiato da quest’anno quando la scorsa settimana, trovandomi sola con lei in piscina, ha iniziato a parlare ininterrottamente e nonostante io cercassi pazientemente di entrare nel discorso per instaurare un dialogo; la piccola non si curava di me tanto era intenta a pronunciare discorsi apparentemente non importanti. Forse per lei lo erano perché parlava senza tregua, si soffermava su particolari infinitesimi e raccontava la sua vita con tanta foga da annaspare alla ricerca di aria. Nella speranza di riempire un vuoto affettivo, rovescia discorsi su discorsi senza riuscire ad ascoltare le parole dell’altro.
Ecco perché il dialogo è da instaurare fin dall’età più precoce, per capire i bambini e farli sentire importanti e amati. Dialogare con loro è prima di tutto donare tempo, è non farli sentire soli, è amarli con le parole, è conoscere le loro paure e le loro gioie. Il dialogo è un dono reciproco da saper accogliere, ma come puoi se non conosci il donare?