È Napoli e Milano insieme, Daniela Carelli. Sì, perché in lei calore, passione e creatività partenopea si fondono a perfezione con un’attitudine lavorativa lumbard, pronta a impegnarsi al meglio per ottenere i suoi obiettivi. Sarà per questo che li raggiunge sempre: prima cantante professionista, poi grafica pubblicitaria (è stata art director, video editor e copyrighter); infine vocal coach e autrice del metodo VoicEmotion®. E, dal 2011, anche scrittrice.
Già, perché Daniela, che ha esordito come autrice con l’autobiografico Volevo fare la segretaria, pubblica oggi il suo quarto romanzo, Lo chiamarono Gigi Potter, ambientato con amore nella sua città, Napoli. E lo ‘dedica’ a un personaggio apprezzato dai ragazzi e dagli adulti: Harry Potter, che rivive nelle avventure del protagonista Gigi e del suo gruppetto di amici. Ma la dedica vera, quella all’inizio del libro, è per Loredana Limone: amica, mentore e bravissima scrittrice scomparsa non molto tempo fa.
E partiamo proprio da Loredana, Daniela: perché è lei che, per prima, si è innamorata di Gigi Potter, convincendoti ad andare avanti nel tuo progetto. Com’è nata l’idea del libro, e cosa rappresenta per te questo romanzo?
L’idea del libro è nata una manciata di anni or sono: ragionando sul mio amico cantautore Antonio De Carmine, conosciuto come Principe in virtù dei trent’anni vissuti al Maschio Angioino di cui suo padre era il custode – il mitico Don Gennaro, per altro più volte citato da Pasqualino, il piccione viaggiatore di cui Gigi dovrà prendersi cura.
Ripensando ai giorni in cui solevo andare a trovare Antonio, ho realizzato che se fosse nato in tempi più recenti il suo soprannome sarebbe stato, magari, Totò Potter… Da lì nacque l’idea del libro. Era un’idea semplice ma allo stesso tempo estremamente complessa: quella di descrivere la vita di un ragazzino – fan di Harry Potter – che da Milano si sarebbe trasferito a Napoli per abitare in una magione importante; narrare l’incontro/ scontro con una realtà inedita, a tratti leggendaria, e una serie di avvenimenti – anche traumatici – vissuti con l’innocenza della sua giovane età. Onestamente temevo di arenarmi, e se non fosse stato per Loredana Limone forse il romanzo non avrebbe mai visto la luce.
Tu stessa sei una delle persone che ho conosciuto grazie a Loredana, e sai quanto sapeva entusiasmarsi, fino a diventare insistente quando credeva che una cosa avrebbe funzionato. E quindi ha fugato tutte le mie incertezze e mi ha ‘costretta’ a scrivere. Era un’amica sincera e una persona umana e generosa. Non smetterà mai di mancarmi.
Questo romanzo ha rappresentato quindi una grande sfida con me stessa: quella di calarmi nel mondo adolescente di oggi, e di entrare non in uno, ma in tutti i personaggi della storia per mostrare le differenti visioni della stessa; e con personaggi intendo non solo gli umani, ma anche gli animali, le statue e gli astri celesti.
Con il tuo precedente libro, Mosaico napoletano, hai avuto un grande successo di critica e di pubblico. I tuoi ultimi due romanzi sono ambientati a Napoli con identica passione per la città, ma sono molto diversi: mentre in Mosaico napoletano affronti temi quotidiani (l’amore, la morte, la famiglia, il sesso, il dolore, la nostalgia) con un linguaggio diretto ed esplicito, che fa leva sulle emozioni, in Lo chiamarono Gigi Potter tratti temi forti come la camorra, la discriminazione, il razzismo in modo lieve e delicato. È una scelta precisa, o una spontanea evoluzione del tuo stile letterario?
In realtà tutti e quattro i miei romanzi sono ambientati a Napoli che è una città da cui traggo infinita ispirazione.
Per quanto riguarda gli ultimi due, ho attuato una scelta stilistica precisa poiché, a differenza di Mosaico Napoletano, che narrava il vissuto di un uomo adulto attraverso i suoi ricordi, in Lo chiamarono Gigi Potter ho voluto creare un’aura poetica che conferisse al romanzo il retrogusto di una favola, pur trattando argomenti molto scomodi e a volte dolorosi. Per lo stesso motivo la Napoli che ho scelto di descrivere è quella storica e leggendaria, mistica e misteriosa.
Per me i romanzi sono come canzoni: pur mantenendo il mio stile sono portata a modificare l’interpretazione per creare l’atmosfera e riuscire a toccare le corde giuste di chi mi ascolta o, nella fattispecie, di chi mi legge.
Nel libro, c’è una scena meravigliosa: l’intera famiglia di Gigi, nonni, zii e cugini compresi, si dedica, nel cortile del Maschio Angioino, a preparare con cura ed amore, secondo la tradizione, la passata di pomodoro in bottiglia. Mi viene subito in mente che il tuo sogno, da bambina, era diventare segretaria. In un’azienda di pomodori…
Caspita, Chiara, mi fai notare una cosa a cui non avevo fatto caso! Evidentemente, come ho ipotizzato già nel mio primo romanzo, la “pummarola” è parte integrante del mio DNA.
Nella fattispecie, la scena della famiglia, che alla stregua di un consesso di maghi e fattucchiere, prepara questa “pozione deliziosa”, rientra in quei riti tradizionali e aggreganti che considero l’humus in cui alcune famiglie del Sud fioriscono, sviluppando radici salde da cui le future generazioni trarranno forza e sostentamento.
Riguardo alla location, in realtà la passata non viene realizzata nel cortile, ma nel retro del castello, in un’area attualmente cementificata e adibita a parcheggio, che fino a un po’ di anni fa ospitava manifestazioni e concerti.
Nei tuoi scritti, la passione per la musica è sempre evidente. Mosaico napoletano aveva per colonna sonora le canzoni di Pino Daniele, Gigi Potter rende vibrante la città di Napoli attraverso le sue voci e i suoi suoni, alle presentazioni dei tuoi libri a volte canti… E il tuo lavoro, oggi, è valorizzare le voci dei tuoi allievi, insegnando loro le tecniche del canto. Quanto contano la musica, e la scrittura, nella tua quotidianità?
Musica e scrittura sono lo yin e lo yang su cui si muovono le mie giornate. Sono diverse, complementari e fondamentali per farmi esprimere quella creatività e le emozioni forti che sono parte di me.
Un tempo avevo i palchi. Da qualche anno mi sono ritirata dalle scene perché stufa di tutto ciò che muove – o meglio, a mio parere, che blocca – il mondo della musica, scegliendo di formare i cantanti e gli artisti di domani.
Anche con questo mio ultimo romanzo ho attuato una scelta difficile e sofferta: auto-pubblicarmi con Amazon. Ho potuto farlo grazie ai riscontri positivi che ho ottenuto con Mosaico napoletano, che mi ha consentito di accrescere il mio pubblico. Mi sono detta: considerato che devo fare tutto da sola: dalla scrittura alla promozione, sarebbe anche il caso di raccogliere quei frutti che mi costano anni di fatica e di tempo. E quindi sto rischiando, come ho sempre fatto nella mia vita. D’altronde arrivare alle grandi case editrici è un’impresa complicatissima e, poiché sono anche restia all’omologazione, preferisco scrivere ciò che mi piace e che sembra stia piacendo tanto a chi mi legge, quanto ai blogger come te (per fortuna!).
Gigi, come te, è nato a Napoli ma si è trasferito a Milano. Nel tuo romanzo, Gigi ‘Potter’ torna a vivere al Sud, si suppone per sempre. È anche il tuo desiderio?
Oramai, tanto chi mi conosce personalmente quanto i miei lettori sanno che il mio obiettivo è tornare a Napoli. Fine che condivido con il mio compagno, anche lui napoletano residente a Milano. Per motivi lavorativi è un progetto che si svilupperà quando le condizioni saranno favorevoli. Speriamo di riuscirci. In questo momento storico è veramente difficile ipotizzare un qualsivoglia futuro. Come sempre vivo alla giornata, concentrandomi su tutto ciò che di bello riesco a trarre, per avere le giuste energie e resistere alle difficoltà.