Per trasformare “la questione femminile” da dato negativo a fattore positivo, sarà necessario recidere il cordone ombelicale con il passato.
Queste ultime elezioni, per quanto non rappresentative di tutto il territorio nazionale, ma di alcune delle regioni più importanti, stanno facendo discutere, o meglio stanno mettendo in moto la politica per nuove e possibili alleanze e sulle questioni che le rendano percorribili (vedi MES, Recovery Fund ecc.).
Questo il terreno del confronto-scontro tra maggioranza ed opposizione ed è abbastanza evidente che per molto tempo ancora l’elettorato rimarrà tagliato dai luoghi delle decisioni e molte speranze andranno deluse.
In questo lungo e continuo ballo, che varia dal lento all’andante al ritmato, è facile perdere l’equilibrio. Ma, tra un inciampo e l’altro magari si riesce anche a terminare la legislatura.
Ma forse questo è un pensiero banale.
Banale come può sembrare il silenzio degli elettori.
Già, perché dopo essere andati alle urne essi continuano a rappresentare una sorta di merce da utilizzare per le future scadenze elettorali.
Di questa coro muto, le donne appaiono le più silenziate tanto quanto sembravano protagoniste al tempo dell’emergenza Covid. Un’attitudine cancerogena della politica all’utilizzo di forze d’emergenza, ben rappresentato da sempre dalle donne, salvo l’abbandono. A conferma di ciò, i risultati delle candidate in queste elezioni regionali. Messe nelle liste come portatrici d’acqua (voti) e per obbligo ormai di legge, le candidature femminili non sono state sostenute.
L’obbligo della doppia presenza di genere, vissuta come un’imposizione piuttosto che come scelta di maturità, si è dimostrata insufficiente.
È veramente stancante dovere ribadire, nel ventesimo anno del “nuovo Millennio”, che la politica, la società, l’ambiente e la terra appartengono in uguale misura ad entrambi i generi come i loro diritti e la loro libertà.
Mortificante che siano sempre le donne a dover parlare di loro stesse, di bisogni e meriti, al pari di una fascia esclusa dalla storia e dall’attualità del mondo.
Allora come si possono ribaltare questi paradigmi? Si è in grado di affrontare concretamente le sfide sottaciute? E’ possibile ribaltare le cattive abitudini della politica cui le donne stesse hanno contribuito a mantenere? Possibile ancora non confondere le appartenenze ideologiche con i sentimenti? Né adattarsi all’unico suggerimento dato per raggiunge i risultati, lo “sgomitamento”?
Che il motto da adottare sia un sano e “rivoluzionario”adesso basta?
Non arrendersi definitivamente a chi, per spiegare la subalternità femminile, afferma da sempre che ognuna è artefice del proprio destino?
Dunque forgiamolo. Senza velleitarismo, con la consapevolezza però che la forza, il peso della trattativa si basano sulla conquista di un consenso che va democraticamente conquistato.
I vari gruppi (nuovi, storici, femministi ecc.) per le donne, pur avendo un legame di base, non sono ancora riusciti a concepire un’azione comune.
Abituate da un lato a ragionare e attivarsi o dall’altro a chiudersi in difesa, si sono ribellate in modo marginale. Poco inclini alle risse le donne restano un ponte di congiunzione tra la continuità e il cambiamento, attente alle relazioni (non solo familiari), ai bisogni, alla solidarietà, a ciò che rende migliore il mondo (non solo per i propri figli) pur mantenendo intatte le loro differenze, positive e sostanziali, pongono l’esigenza di un rimescolamento.
Cose dette e ridette.
Quello che non è stato detto chiaramente, perché scomodo per entrambi i generi, è che in alternativa, sarebbe necessario mettere in campo un’altra forza politica, istituzionalmente riconosciuta. Una forza capace di rappresentarle nei luoghi decisionali, con al centro un programma che miri a risultati possibili e che esprima una presenza agguerrita, non ricattabile né corrompibile.
La domanda successiva è la seguente.
Hanno le donne la formazione e l’autostima sufficiente per immergersi in una sfida di questo tipo?
Perché se è vero che tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, la costruzione di una nuova forza politica richiede un terreno fertile in cui seminare idee, organizzazione, capacità di arginare gli scontri, entusiasmo e fondi. Una nuova classe dirigente.
Ci si domanda perché se un “vaffanculo” è riuscito a creare un movimento-partito senza storia, dirigenti senza formazione, senza radicamento territoriale, senza cultura di riferimento, un “basta” delle donne, che di storia, cultura di pensiero, senso della politica e legame con il territorio hanno radici molto profonde non sia sufficiente.
Nel sistema politico attuale, oltre alla inadeguata presenza, gli incarichi affidati alle donne, salvo eccezioni, sono per lo più deleghe all’istruzione, ricerca, università, formazione, diritto allo studio, famiglia, cultura, turismo, ambiente e territorio.
Deleghe ritenute, erroneamente, di minore importanza e che dimostrano che non bastano gli interventi legislativi per garantire pari uguaglianza tra uomini e donne.
Senza un cambiamento culturale profondo la strada da percorrere appare ancora lunga e l’impulso dato dalle norme non è riuscito a modificare aspetti che non attengono a questi meccanismi. L’imposizione di paletti correttivi non corrisponde al sentimento e alla cultura sociale nonostante che, recentemente nel marzo 2020, la Camera abbia esaminato ed approvato due mozioni concernenti iniziative volte a promuovere la parità di genere e a prevenire e contrastare la violenza contro le donne. Nonostante l’esistenza di un Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia.
In questo quadro desolante per la sua ripetitività, la risposta alla domanda “che fare?” può venire solo dalle donne per rimuovere il “tabù” dell’impossibile.
Nella mappa di un movimento più o meno articolato, gli Stati Generali delle Donne, nati nel 2014 (assai prima che questa denominazione invadesse il mercato degli slogan) rappresentano un’ ampia presenza territoriale e di alta competenza professionale, di incidenza di contenuti, di analisi, di eventi e proposte. Essi hanno sviluppato un progetto, costantemente monitorato e adeguato, che ha fortemente interagito con le istituzioni, la cultura, la politica, la medicina e ragionato su tutti i temi di maggiore evidenza nel periodo del Covid.
Questo movimento, che non è mai andato in lockdown, ha utilizzato ogni possibile forma di contatto e relazioni, di continuità di pensiero e di programmazione, di comunicazione e informazione, un uso corretto delle piattaforme tecnologiche, uscendone ancora più rafforzato.
Molte aderenti e rappresentanti degli SGD hanno accettato di candidarsi alle ultime regionali per convogliare il proprio consenso su varie liste, eppure, come ha evidenziato il giorno dopo le elezioni Isa Maggi ,coordinatrice nazionale, questo risultato ha fatto emergere “una forte sottorappresentazione femminile, si tratta di un vero ‘femminicidio politico’. I partiti non ci hanno supportato. Ci hanno lasciato sole”.
Orgogliose dell’immane lavoro sui territori che questo movimento ha prodotto negli ultimi anni, ci avevano già provato alle scorse europee con risultati altrettanto deludenti. Ma allora, di nuovo si pone la domanda, cosa serve per superare questo divario incancrenito tra le donne e la politica?
Perché ogni proposta ed ogni progetto da esse elaborato va a scontrasi con interessi altri? Perché dovrebbero continuare a delegare ciò che le medesime sono in grado si sviluppare?
Se, come sostiene il gruppo di Noi Rete Donne “se non è paritaria non è democrazia” è sufficiente poi accontentarsi dell’applicazione di correttivi, magari aggrappandosi disperatamente alla legge Golfo-Mosca di 8 anni fa che si dimostrata insufficiente nell’applicazione? o fare i conti con quanto affermato da Laura Moschini, del Gio-Osservatorio Interuniversitario sugli Studi di Genere, le “leggi ci sono e servono”, le “quote sono fondamentali”. È realizzabile la proposta del 50% di posti stabiliti per legge, salvo penalità, sostenuta dalla giudice Paola Di Nicola Travaglini? O non sarebbe un altro escamotage per raggiungere quello che appare impossibile? Perché non ripartire addirittura dalla legge sulla “Parità dei sessi e sul’uguaglianza nel lavoro” entrata in vigore nel 1996? Cosa è cambiato da allora?
Il nocciolo del dibattito su quella che definiamo “questione femminile”, come già scriveva la prof. Giuditta Brunelli, nel 2006 “Di fronte a tutto questo è ragionevole pensare che una partecipazione significativa delle donne ai processi decisionali, sia una condizione necessaria affinché i loro interessi specifici (anche quelli delle donne che subiscono gravissime discriminazione) vengano presi in considerazione e determinano una ridefinizione delle priorità politiche”, non presenta grandi novità.
Impressiona l’immobilità del tempo al femminile. Poco si muove, pochissimo cambia.
Il ‘900, secolo “del sapere”, ha traghettato la società verso quello dello sviluppo tecnologico, in cui siamo immersi, che ha provocato un’ accelerazione a cui non tutte le fasce sociali hanno avuto accesso, in particolare quelle più deboli.
Il 2000, galoppa verso il passaggio storico che sta mutando l’andamento delle vite e dell’economia. La ‘Digital Transformation’, non comporterà solo il cambiamento delle strutture lavorative ma inevitabilmente anche quelle sociali che dovranno orientarsi diversamente, adattarsi al cambiamento ed accettare l’inclusività. Questi cambiamenti complessivi potrebbero comportare altre o diverse forme di discriminazione per le donne? Sarà necessario vigilare.
Non siamo sole, certo. La Comunità Europea è intervenuta ed interviene anche su questo fronte ma non basta obbedire, lo abbiamo visto con l’applicazione di tante direttive e risoluzioni.
Per trasformare “la questione femminile” da dato negativo a fattore positivo, sarà necessario recidere il cordone ombelicale con il passato.
Non indulgere sulle debolezze e sui tormenti subiti per ritrovare la forza della rinascita, sostenuta da strategie attive di progettazione, costruzione, organizzazione di ciò che serve per irrompere nel corpo a corpo della politica, con uno sguardo ampio verso i cambiamento per ora solo anticipato.
Non si vedono molte altre scelte, tranne accontentarsi di volta in volta di correttivi, mestamente, come sempre, da secoli.