Racconti di violenza e di dolore per questo insolito 25 Novembre.
In questo mese di novembre, la buona notizia dell’elezione del vicepresidente degli USA donna non riesce a rasserenarci. In questo mese di novembre stiamo tutte insieme, donne della società, della cultura, della politica e tutte le altre impegnate a ricordare ciò che manca all’universo femminile per sentirsi al sicuro e soprattutto per dovere ancora denunciare il fenomeno aberrate della violenza.
Proprio di questi giorni l’omicidio di una donna, uccisa insieme ai figli, che voleva lasciare il marito.
In questo mese di novembre noi saremo presenti, ancora una volta, con la stessa energia, insieme alle Istituzioni nazionali e territoriali, alle molte associazioni, ai movimenti che denunciano e condannano questi episodi. Ci saremo, certo! e in questo mese di novembre, purtroppo, ripeteremo le analisi, ricorderemo le vittime, chiederemo possibili soluzioni ma quello che continuiamo a non comprendere è come mai, davanti ai profondi cambiamenti che richiede ed attua questo mondo, l’unica cosa che non accenna a cambiare e non si riesce ad arginare è il fenomeno della violenza di genere.
Per questo e molto altro, dedico alle lettrici di Dols una raccolta di testimonianze (emblematiche di questa violenza) raccolte da me nel tempo, attraverso interviste-conversazioni a dimostrazione che la violenza, fisica o psicologica, si è perpetrata negli anni in varie generazioni fino ad oggi.
Le protagoniste, le cui storie vanno dalla seconda metà del secolo scorso a primo decennio di quello in corso, hanno chiesto l’anonimato tanta era la vergogna che provavano a raccontarsi, il timore di essere riconoscibili (le più giovani). Emerge dal loro racconto il disgusto del ricordo e la rabbia si manifesta insieme al desiderio di cancellarlo. Alcune hanno chiesto successivamente di non essere menzionate ma quando è stato fatto osservare che solo con la testimonianza si possono aiutare altre donne a rifiutare questi comportamenti, a condividere insieme il dolore, a produrre la forza necessaria per un’azione comune, mi è stata concessa la pubblicazione.
La violenza a cui ognuna fa riferimento, mette in evidenza che essa non si è manifestata solo a livello fisico ma che ha avuto un uguale impatto sulla sfera psicologica. Ne sono uscite testimonianze diverse, sia per età che per storia ma tutte ugualmente drammatiche.
Le risposte sono state riportate quasi integralmente per non modificare il sentimento e il coinvolgimento individuale. Della veridicità della fonte delle storie ne rispondo io stessa.
Antonia B. , 8/67 anni
“Quando ero piccola, alla mia epoca (parliamo degli anni 50 n.r.), noi ragazze non eravamo educate alle differenze di genere. Perché il mondo era degli uomini, dei padri, dei mariti, perfino dei fratelli. Noi esistevamo di risulta. E mi è sempre apparso strano visto che mia madre aveva fatto la guerra. Mia madre era una donna energica e in casa aveva il polso duro. Mio padre però era il capo famiglia e per noi rappresentava il potere assoluto.
In quegli anni neanche a parlare di sesso o di amore, tranne del delitto d’onore che era qualcosa di indefinito per noi piccoli ma che sapevamo riguardare una coppia e spesso finire nel sangue. Un concetto di possesso dell’uomo sulla donna che ci era stato chiaro subito. Tra bambine qualche notizia trapelava ma con vergogna, con qualche malizia dalle più grandi, senza averne coscienza. A 8 anni ero impreparata, mica come oggi che le ragazzine sognano matrimoni sfarzosi o carriere simili a quelli che vedono sugli schermi e sono molto più presenti nei discorsi degli adulti, informate, ascoltano, vedono.
I quartieri di una volta erano tranquilli e di gente ne girava poca. I bambini nelle grandi città erano sempre accompagnati. Insomma non si capiva neanche di quale sesso fossero se non fosse stato per i tradizionali capelli lunghi, le gonnelline o i calzoni corti.
Un pomeriggio, mentre andavo dal mio portone a quello di mia nonna, pochi metri di distanza, vidi arrivare verso di me un uomo alto che camminava veloce. Ne ebbi paura perché non ero abituata a trovarmi sola con uno sconosciuto. All’improvviso quest’uomo aprì violentemente il proprio impermeabile, mi si piantò davanti e muovendo quel “coso” m’ inchiodò all’angolo dicendomi cose che non capivo. Poi se lo richiuse e se ne andò lasciandomi per qualche istante tramortita prima di trovare la forza di scappare. Questa fu la prima volta che ebbi a che fare con un uomo e il suo sesso. Che per molto tempo mi provocò vomito, che non sapevo e non volevo spiegare. Ancora per lunghi anni non ne ho voluto parlare e in età adolescenziale ho avuto i miei problemi a relazionarmi con i maschi. Penso che questa violenza poteva finire molto peggio ma il danno che ha lasciato in me bambina ancora non si cancella”.
Rosamaria G. , 13/53 anni
“Quell’anno mi stavo preparando all’esame di terza media.
Ero una bambina goffa, come sapevamo essere in quell’età di trasformazione da bambina a ‘signorinetta’, delle prime mestruazioni di cui tanto mi vergognavo.
Un corpo indefinito, un accenno di seno che tendeva a svilupparsi pochissimo. In quegli anni andavano di moda i seni grossi alla Lollobrigida, alla Loren ma a me tagliavano ancora i capelli a scodella e fermati da una molletta laterale. Vestivo con gonne a pieghe e calzini corti. Ero abbastanza brava a scuola tranne con il latino che pure mi piaceva tanto. I miei genitori decisero di farmi fare qualche lezione di recupero e così arrivai dal professore, di cui non ricordo il nome, in viale Ippocrate. Qualcuno lo aveva suggerito ai miei genitori. Ricordo quelle lezioni come uno dei peggiori incubi della mia adolescenza.
La prima volta che ci andai accompagnata da mia madre il professore le fece un’ottima impressione. Era anziano, quindi doveva avere la giusta esperienza per farmi ‘ragionare’ perché, se non avessi migliorato il latino rischiavo la bocciatura agli esami.
Pensi che ricordo perfino la casa, con poca luce, l’odore di cibo indefinito mischiato a quello della polvere. E doveva esser tanto tempo che nessuno l’ aveva pulita. Mia madre diceva che, poverino, era vedovo come se di per sé fosse condizione comprensibile del sudiciume. Certo gli mancava il servizio della moglie!
L’altro ricordo è legato all’abbigliamento. Indossava sempre pantofole e giacca da camera marrone scolorita con una cintura sfilacciata a chiuderla. Io portavo una cuffietta di lana con un fiocchetto basso sugli orecchi e mi vergognavo a togliermi il cappotto che lui mi sfilava ogni volta che entravo.
Insomma, per farla breve dopo qualche lezione il professore diventò sempre più affettuoso, mi accarezzava, mi stringeva, mi palpava fino all’ultima volta che mi fece alzare in piedi, lui dietro si strofinava insistentemente a me, sospirando e ansimando, mentre io mi sentivo impotente. Quell’uomo non mi penetrava, questo l’ho capito dopo, ma mi possedeva.
Feci la strada di ritorno con il fiato in gola: cosa mi aveva fatto? Non lo sapevo ma sentivo che era qualcosa che io non volevo, che non sapevo spiegare, che avevo bisogno di essere aiutata.
Dissi a mia madre che non volevo più andare a lezione ma il risultato è che passai per una capricciosa, con idee strane in testa e che non avevo rispetto per quel bravo professore. M’impuntai. Cominciai a non magiare. Non studiavo. Non avevo conoscenza esatta di quello che accade tra un uomo e una donna perché nessuno ci aveva educati in questo senso. Piangevo. Soffrivo di ritardi mestruali ma quella volta pensai che non fosse solo un ritardo ma che fossi rimasta incinta. Decisi di confidarmi con Felicetta, la domestica di casa. Le dissi che il professore aveva fatto cose strane su di me e che credevo di aspettare un bambino. Quella donna arruffata e senza futuro fu allora la mia ancora di salvezza. Dopo avermi chiesto cosa fosse successo esattamente mi spiegò che non poteva avermi ingravidata e come si fanno veramente i bambini. Rimasi in preda ai dubbi fino al ritorno del ciclo mestruale. Resta comunque che quell’uomo mi ha violentata, con l’aggravante dell’età, e rovinato la serenità adolescenziale che era un mio diritto”.
Valentina I. , 11/72 anni
“Oggi si parla di violenza solo quando una donna viene stuprata o massacrata di botte o uccisa quindi non so se la mia storia può essere utile. Per quanto mi riguarda posso dire che mi è andata bene perché ho sposato il mio primo uomo e sono felice. Eppure quando leggo alcune articoli mi rendo conto che la violenza non è solo quella che lascia lividi che si riassorbono solo esternamente.
Un inverno particolarmente freddo mi sono ammalata più di una volta e mia madre decise di fare venire a casa un ‘luminare’ che potesse trovare una soluzione.
A quell’epoca mi sentivo carina, cominciavo a guardarmi allo specchio con interesse, mi confrontavo con le amiche e cominciavo a guardare i compagni con altri occhi.
Davanti a quel medico mi sentivo una piccola donna in sboccio, un essere femminile e consideravo lui uno maschile.
Mi disse ‘spogliati’ e mi ritrovai completamente nuda sul letto. Il mio corpo cominciò ad essere toccato con insistenza in ogni parte, non si mai cosa nascondessero le mie cavità. Girata e rigirata, io non esistevo più. Ero un corpo alla mercé di un medico senza rispetto della donna in me, perché donne lo si è sempre da quando si nasce. L’anima spezzata, mi sentii disprezzata, usata, manipolata come se la mia femminilità non esistesse e quindi se ne potesse fare scempio. Quell’uomo aveva approfittato non solo di me ma anche della debolezza di una madre, ossequiosa verso l’uomo di medicina, che poteva fare ciò che voleva, anche profanarmi. Io ho vissuto quel momento come una violenza e non ho mai perdonato quell’uomo per avere usato quel potere. E’ un malessere che ancora non mi è passato e quando vado da un medico pretendo il camice e mi metto casacche lunghe a copertura. Sono stata sempre ossessionata dal farmi visitare, tranne che per partorire ma quella è un’altra faccenda e noi donne sappiamo che non si può fare diversamente”.