L’imprenditrice-pastora ecologista in un mondo di uomini vili
di Pina Arena
Agitu Gudeta è stata uccisa da un uomo, bianco o nero, italiano o non italiano, poco importa. Da un uomo.
Perché? Perché era una donna libera che dalla sua storia di coraggio aveva imparato a tenere sempre alta la testa.
L’imprenditrice-pastora, nata in Etiopia, immigrata da dieci anni in Italia e creatrice di un’azienda che coniuga tradizione e innovazione, ecologia, integrazione e creatività, era conosciuta, non solo in Italia, per la sua forza e capacità di creare il mondo del suo desiderio.
La parola-chiave “simbolo” ritorna in tante espressioni di sgomento per la sua morte: Agitu Gudeta è simbolo della forza di attraversare il mare da esule, fuggendo la repressione di un governo tirannico; di creare in terra straniera opportunità di benessere e sviluppo per sé e per chi l’ha accolta, ripiantando il suo universo e le sue radici; della capacità di fare impresa anche in tempi difficili e in mondi ostili, di trasformare l’ostacolo in risorsa, di rendere reale quello che immaginava e desiderava, e nulla poteva fermarla.
Recuperava quello che altri abbondonano. Per creare la sua impresa si era laureata all’università di Trento, aveva osservato e studiato il mondo nuovo in cui ha scelto di fermarsi. Ha rimesso in produzione naturale undici ettari di terra incolta ed abbandonata nella Valle dei Mocheni, in Trentino. Ha recuperato la pratica, in via di dismissione, dell’allevamento della capra pezzata mòchena, applicando metodi naturali, facendo anche valere la memoria delle pratiche delle sue antenate per la lavorazione del latte caprino. Produceva formaggi biologici, yogurt. Perfino prodotti cosmetici.
Era più che un re Mida: tutto diventava prezioso e luminoso nelle sue mani. La sua azienda si chiamava “La Capra Felice” perché le prime a star bene dovevano essere le sue capre; è un principio aziendale e umanissimo: chi produce deve vivere bene.
Nelle foto che la ritraggono con le sue capre è spesso sorridente, lieve, eppure la vita della malgara-imprenditrice era segnata da faticoso lavoro quotidiano, senza sosta, dall’alba di ogni giorno. Raccontava di non sentire la fatica nel meraviglioso equilibrio creato con il mondo ed i ritmi della natura.
Sono arrivate presto le ostilità anche nella terra che ha scelto di abitare, perché disturba e fa sempre paura una donna libera, intraprendente, di successo, immigrata per di più. Aggressioni e minacce denunciate da Agitu senza esitazione. Non deve esser stato facile: è durato quasi due anni il processo che ha portato alla condanna a nove mesi di carcere per il suo stalker razzista.
“Ha paura delle ritorsioni?” le chiese un giornalista. Disse di non averne: veniva dalla paura avvolgente di un paese senza libertà e legge di diritto. Qui, In Italia, si possono combattere gli uomini ingiusti.
Aveva imparato anche a creare trappole fantasiose, mai aggressive, con luci multicolori ad intermittenza per tenere lontani i lupi della valle: se li conosci, li tieni lontani.
Osava sempre, fidandosi del suo intuito e della sua capacità di lavoratrice in equilibrio con il mondo della natura: in quasi dieci anni, da quindici sono diventate 152 le capre del suo allevamento e, nel pieno della crisi globale causata dalla pandemia, ha continuato a camminare, inaugurando a Trento la prima ‘Bottega della Capra Felice’.
In queste ultime ore la notizia dell’assassinio di Agitu Gudeta e della violenza bruta esercitata sul suo corpo agonizzante lasciano attoniti. Rabbia e sgomento di fronte al crimine compiuto sul corpo di una donna capace di creare quel cambiamento che i vili temono.
Con la morte di Agitu perdiamo tutte e tutti: sono gli uomini, con le nefaste gabbie patriarcali da loro stessi create, gli animali feroci, non i lupi.
L’imprenditrice-pastora-ecologista resta simbolo vivente, modello di battaglia da rafforzare in un mondo segnato dalla violenza di una sottocultura che continua ad uccidere le donne che osano immaginare o disegnare un mondo diverso.