Risaliremo dopo un anno incerto e precario? Risaliremo perché in questo tempo fuori dall’ordinario ci siamo ripensati e rimodulati, pur infragiliti i più, ma rinnovati tutti, fortificati alcuni. È tempo di bilanci spesso faticosi che passano anche attraverso le relazioni che durano o si sono interrotte.
di Pina Arena
Per una donna di scuola il bilancio passa innanzitutto attraverso la relazione educativa con le alunne e gli alunni, nel tempo della didattica mediata da un computer, mezzo necessario ma debolissimo nonostante la sua potenza meccanica unificante, immaginando le ancora incerte forme del rientro nella comunità-scuola, in sicurezza per tutte e tutti.
Le domande sono sempre le stesse, ma acquistano significato nuovo: insegnare cosa, come, educare a quali saperi, con quali metodi, con quale idea di scuola nel tempo che cambia in modo imprevedibile e ci consegna un mondo diverso?
Ed ecco in questo tempo incerto, un incontro speciale, emerso da un passato recente ma che sembra appartenere ad un’altra vita, mi ha aiutata a trovare risposte.
Paola ritorna dalla Lombardia: è stata mia alunna, si è diplomata otto anni fa. Fa l’ infermiera. Ha lavorato nel bergamasco nel tempo più difficile della prima ondata-Covid.
Ora, nel riemergere della pandemia, ritorna al Sud. “Ora bisogna essere qui”. Si è trasferita con facilità perché “ci sono tante possibilità per chi lavora nella sanità oggi, ma è dura anche se hai ventisei anni”. I camion delle persone morte per il covid e trasportate nel silenzio della notte sono una ferita che non si rimargina “ se pure non sono tuoi parenti”. Racconta senza sosta e ricorda incontri, luoghi, volti, storie incancellabili.
La interrompo: “Perché l’hai fatto -chiedo- perché hai scelto di fare l’infermiera?”
Esita come per recuperare pezzi della sua vita. Risponde poi come d’un fiato: “Ricorda, prof, il progetto sulla sclerosi multipla… ecco da lì, sono partita da lì”.
Me ne ricordo eccome, sebbene siano passati dieci anni. C’è anche un giornalino di scuola a ricordarmelo: avevo proposto alle mie classi di aderire alla proposta dell’AISM (Associazione italiana contro la sclerosi multipla) che chiedeva di far conoscere alle ragazze e ai ragazzi il mondo di questa malattia neurologica progressiva, per promuovere azioni di volontariato.
Mesi di lavoro a scuola e sul territorio, in cui abbiamo cercato informazioni, incontrato il mondo del volontariato dell’Aism e lo specialista neurologo che ci ha raccontato la sua esperienza, la sua formazione tra gli Stati Uniti e l’Italia, l’evoluzione della ricerca che fa ogni giorno un salto e dà speranza, ma ancora deve fare passi avanti. Abbiamo incontrato Anna: allora aveva 24 anni ed imparava a convivere con questa malattia subdola, ingannatrice che sembra fermarsi e poi riemerge, “ti costringe a ripensare la vita ma ti dà l’opportunità di nuovi incontri”, “forgia” o forse crea un’anima nuova e guerriera, la voglia di fare per te e per le altre persone in cura come te. Abbiamo visto film che ci hanno fatti entrare nel mondo delle fake news, delle informazioni ingannevoli sulla malattia e del desiderio di provare tutto pur di trovare soluzioni. Abbiamo scoperto che la madre di un’ alunna era affetta da sclerosi multipla: ce lo ha raccontato lei, orgogliosa perché quella donna straordinaria ogni giorno cercava di ricreare l’equilibrio in una vita che la malattia voleva squilibrare.
Infine abbiamo scritto: nell’inserto del nostro giornale scolastico è confluito il nostro viaggio nei labirinti della sclerosi multipla.
Fummo premiati e fu un primo premio gioioso, condiviso con Anna, con il medico, con i volontari. Ci donarono un computer e denaro che donammo all’AISM per l’acquisto di sedie a rotelle.
Paola mi riporta al presente. “Da lì -mi dice- è cominciato tutto. Lì ho deciso che sarei stata infermiera”.
Nel suo ricordo, quell’esperienza l’ha fatto crescere, anzi l’ha trasformata.
Le sue parole ora sono per me, anche se Paola non lo sa: mi dice di aver scoperto proprio in quel viaggio di scuola diversa la fragilità del corpo e la sua vulnerabilità, la compassione (che è sentire insieme), la solidarietà (che è senso di vicinanza alle altre persone), il desiderio di essere utile, fare cioè una parte per il tutto, la precarietà della condizione umana. Dice che quegli incontri hanno aperto strade nuove, opportunità infinite, orizzonti prima inimmaginabili.
Le parole di Paola sono la risposta alla mia domanda: la scuola, sempre ma soprattutto in questo tempo, deve essere luogo di esplorazione di sé, attraverso l’incontro con l’altro\a, di costruzione di percorsi in cui la gioia della scoperta e la condivisone dovranno accompagnare lo sforzo di immaginare un progetto di vita in un mondo che cambia, anche all’improvviso e in modo imprevisto.
La scuola non è azienda, è luogo di umanità che cresce e si trasforma, s’incontra e mette in gioco, dove la relazione non sarà mai sostituibile da macchine, pur utili e ora necessarie.
Quella è la direzione da seguire, quello il filo da riprendere e da coltivare, mentre torniamo a chiedere risorse, rispetto e riconoscimento per la scuola pubblica, così martoriata da decenni, e per il lavoro di chi insegna e guida la gioventù perché impari a resistere, rimodularsi e continuare a crescere attraverso i labirinti dei tempi che verranno.