3-5 febbraio: dal medioevo Catania festeggia Agata, santa e vittima di femminicidio, secondo una recente lettura del suo martirio voluto nel 251 d.C. dal proconsole romano Quinziano che la vuole in moglie e viene respinto dalla giovane senza ombra di cedimento.
di Pina Arena
Quest’anno, nel pieno di una pandemia globale, anche le celebrazioni per Sant’Agata si sono fermate e non poteva essere altrimenti: la festa agatina è una festa corale, della città tutta che si riversa sulle strade, vive la socialità assoluta, giorno e notte, per tre giornate, accompagnando il viaggio della fanciulla martire per le vie cittadine, in un affollato e caloroso miscuglio di sacro e profano.
Quest’anno è diverso: vie mute, la piazza della Cattedrale immersa nel silenzio, e non ci saranno neanche le ‘Ntuppatedde di Sant’Agata a rendere omaggio alla Santuzza, fanciulla dalla mente libera, combattente tenace che non cede al compromesso.
Parola sicilianissima, ntuppatedda deriva da ‘ntuppa, la membrana che chiude il guscio delle lumache durante il letargo.
‘Ntuppatedde erano le donne di ogni classe sociale ed età, nubili o sposate, che dal 1600 accompagnavano il fercolo della santa, unendosi alla folla dei devoti, travestite e irriconoscibili, con il viso coperto: libere di muoversi, di rivolgere la parola a qualunque passante, di far scherzi, di ricevere dolci e calia in dono, senza che gli uomini di casa -padri, fratelli o mariti- potessero opporsi.
L’elemento principale che originariamente caratterizzava le ‘Ntuppatedde era l’uso dell’occhiale, cioè di un velo che ricopriva totalmente il volto lasciando solo due fori, o uno solo, per poter vedere. Dopo il 1693, gli occhiali furono severamente proibiti e, quindi, sostituiti da mantelli con lunghi cappucci che mantenevano il volto velato.
Così “travestite” erano libere di andare in giro da sole, senza la consueta “scorta” degli uomini di famiglia, di accettare omaggi dai corteggiatori e di fare tutto ciò che volevano, finalmente padrone di se stesse.
Gli uomini, dal canto loro, dovevano obbedire ai desideri delle ‘Ntuppatedde, non potevano impedire che le loro donne se ne andassero in giro e, finita la festa, non avrebbero chiesto spiegazioni.
Quel breve tempo di libertà rimaneva come appartenente a un altro mondo e a un altro vita, senza conseguenze nella vita quotidiana.
Ne parla Giovanni Verga nella novella La coda del diavolo che al “diritto delle ‘ntuppatedde” dedica anche un excursus antropologico:
«A Catania la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c’è la festa di Sant’Agata, – gran veglione di cui tutta la città è il teatro – nel quale le signore, ed anche le pedine, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d’intrigare amici e conoscenti, e d’andar attorno, dove vogliono, come vogliono, con chi vogliono, senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso. Questo si chiama il diritto di ‘ntuppatedda, diritto il quale, checché ne dicano i cronisti, dovette esserci lasciato dai Saraceni, a giudicarne dal gran valore che ha per la donna dell’harem…Dalle quattro alle otto o alle nove di sera la ‘ntuppatedda è padrona di sé (cosa che da noi ha un certo valore), delle strade, dei ritrovi, di voi, se avete la fortuna di esser conosciuto da lei, della vostra borsa e della vostra testa, se ne avete; è padrona di staccarvi dal braccio di un amico, di farvi piantare in asso la moglie o l’amante, di farvi scendere di carrozza, di farvi interrompere gli affari, di prendervi dal caffè, di chiamarvi se siete alla finestra, di menarvi pel naso da un capo all’altro della città, fra il mogio e il fatuo, ma in fondo con cera parlante d’uomo che ha una paura maledetta di sembrar ridicolo… ».
Il rito delle ‘Ntuppatedde fu vietato dopo il 1868, «per motivi di sicurezza e perché “offensivo della morale” e non è un caso che la novella verghiana appartenga alla raccolta “Primavera e altri racconti” degli anni immediatamente successivi al divieto, quando ancora erano vive le polemiche e la memoria di quel costume assai “sovversivo”.
Dal 2013, nella mattina della giornata che apre i festeggiamenti agatini, tra candelore e carrozza del Senato, ritornano le nuove ‘Ntuppatedde, facendo riemergere, per iniziativa dell’artista Elena Rosa, una storia esemplare in nome della devozione alla Santa.
Le nuove ‘Ntuppatedde realizzano performance artistiche gioiose: nel cuore di una festa cristiana ed inestricabilmente legata al culto pagano di Iside e ai miti di Atena, Cerere e Proserpina, riaffermano il valore della femminilità libera.
In abiti bianchi, con i visi velati ma ben visibili, portano il medaglione agatino e reggono in mano garofani rossi, coinvolgendo devote e devoti nel libero gioco della danza e della musica. Libere da ogni dipendenza dal potere di tradizione maschile.