Quello di Luisa Mariani e Giovanni Zaccherini, “Milano al femminile. I talenti delle donne” (Jaca Book, Milano, 2020), è un libro bellissimo.
Vi porterà in un tepee rosso – la tenda in cui Daniela Cattaneo, titolare di una società di comunicazione e produzione di eventi artistici, fra le protagoniste del libro, invita a raccogliersi per elaborare nuove regole insieme, luogo appartato in cui conversare intimamente con alcune fra le più interessanti personalità milanesi.
Edito a settembre dello scorso anno, il libro contiene una lunga serie di interviste, condotte con quell’intelligenza, che concede libertà e ampio spazio per esprimersi, e accompagnate dalla prefazione di Diana De Marchi, che è anche fra le intervistate, e da una postfazione di Flaminia Sonnino Silvani. La pubblicazione segue la scia di un altro titolo di Jaca Book del 2017 dedicato alle donne: “Milano è donna. Le milanesi che fanno grande la città” ma è ampliata con le esperienze di cittadine acquisite, come la traduttrice Jada Bai, e di giovani, come la deliziosa pianista Ginevra Costantini Negri, amante di Rossini, e come lui, della buona tavola e dell’ironia.
Per gli scopi della nostra rubrica, dedicata alle artiste, vi segnalo le figure, di rilievo internazionale e non solo milanese, di Cecilia Balestra, direttrice di Milano Musica, che cura straordinari progetti culturali in Mozambico, della magica ceramista Rosanna Bianchi Piccoli, di Gaia Calimani, organizzatrice teatrale che insieme a Valeria Cavalli presso MTM realizza Le ragazze raccontano, un ciclo dedicato ad autrici contemporanee. La grande Marinella Guatterini, anima del corso di danza della Scuola Paolo Grassi, e Marta Maria Marangoni, attrice, cantante e compositrice, fondatrice con il marito Wolf di Minima Theatralia, che racconta le storie di tutti e di tutte per promuovere il senso di comunità. Straordinario il lavoro nel carcere di San Vittore di Donatella Massimilla, direttrice di un festival europeo dedicato alla disabilità. Vere forze della natura la cantante Jazz e docente Irene Natale e Giulia Niccolai, monaca buddista, poetessa e fotografa; Ira Rubini che insegna alla scuola di Cinema “Luchino Visconti” e Danda Santini, direttrice di iO Donna, il femminile del Corriere. Vi segnalo anche le esperienze di Monica Silva, fotografa brasiliana autodidatta che lavora in ambito terapeutico, e dell’affascinante ballerina Stefania Tansini. Dulcis in fundo la meravigliosa e notissima Andrée Ruth Shammah. Maria Torelli, professionista della cooperazione internazionale appassionata di jazz, ha fatto una ricerca sulle musiciste non cantanti, che in questo settore sono in numero esiguo. Chi si occupa di didattica dovrebbe preoccuparsi molto di più d’incoraggiare le donne ad avvicinarsi a questo genere. Sante parole.
Quanto è stato interessante ascoltare la voce di queste donne: le loro storie ci danno un ritratto vivace della città, delle sue risorse e delle sue speranze. Leggere questo libro è come parlare con amiche preziose, che ci fanno riflettere sulla nostra vita, sugli incontri che abbiamo fatto, sulle conquiste e sulle occasioni perse, ed è uno stimolo “a ricomporre il puzzle delle nostre esperienze per dare un senso compiuto al nostro percorso di vita”. Lo dice la sociologa della Cattolica Rosangela Lodigiani. Ho imparato qualcosa da ciascuna di loro e per ognuna vorrei tenere nella memoria un oggetto o una parola, fino a costruire una sorta di Wunderkammer delle donne milanesi. Ecco, un museo delle donne, non sarebbe questo, un nuovo, bellissimo progetto per Milano?
A proposito di Milano, il gradimento per questa città è unanime. È “una bolla della misura giusta, da cui nascono e si diffondono grandi progetti” dice Gentuccia Bini, stilista del riuso; è “una donna elegante con un filo di perle”; è aperta, dinamica, viva, disposta all’ascolto e al dialogo, vivibile e in continuo rinnovamento, smart city del futuro, sobria e riservata nei suoi giardini e cortili interni, ma inclusiva e accogliente. Una Milano che corre, ma si ferma dove c’è bisogno, perché è la capitale del volontariato e della generosità. Non vorrei che questa rappresentazione della città, un po’ da prima della classe, finisca per nuocerle, e farle dimenticare i suoi problemi: l’inquinamento, le periferie, il lavoro precario…
Ne parla, per esempio, Irina Casali, attrice, drammaturga e docente di teatro legata all’importante esperienza della “Comuna Baires”, che segnala il passaggio traumatico da un passato di partecipazione politica e impegno sociale all’individualismo, alla diseguaglianza e alla sofferenza degli individui nella Milano contemporanea. La già citata Rosangela Lodigiani, per esempio, ci spinge a guardare ad altri modelli, in particolare per le politiche a favore del lavoro giovanile. Un atteggiamento un po’ più critico, insomma.
E a proposito di critica, nel libro rilevo un’evidente contraddizione fra lo scopo di valorizzare la femminilità e il frequente uso al maschile dei nomi delle professioni. Lo so, ultimamente se n’è parlato fin troppo, a proposito di Beatrice Venezi che si ostina a farsi chiamare direttore. Le opinioni sono discordi, ovvio, ma in un libro come questo! Andiamo, la cosa stride.
Il linguaggio non è affatto poca cosa: durante il ventennio, avreste usato il lei o il voi? Questo piccolo insignificante pronome non avrebbe fatto invece tutta la differenza del mondo?
Usare maschile o femminile dei nomi di professione non è uguale per niente. Altrimenti, chiameremmo infermiere anche l’infermiera e maestro anche la maestra di scuola. E non può essere questione di libertà. Un linguaggio che inneggia alle donne ma preferisce “professore ordinario” a “professoressa ordinaria” e utilizza medico antroposofo, critico d’arte, architetto… ricercatore, e non ricercatrice, produttore, non produttrice. Non dite che queste parole non vi piacciono. La Preside del mio vecchio liceo, la professoressa Giuseppina Pizzi Labia, vi direbbe: non sono spaghetti. E poi, meglio architetto donna, o sindaco donna come uomo ragno? Ho appena sentito una giornalista dire “la ministro” in un servizio durante il TG de LA7.
La lingua delle professioni si fa fatica a declinarla al femminile. Forse è un campo in cui la pressione verso la legittimazione del maschile è troppo forte. Così, per conseguenza, chi oggi parla “al femminile” fa la scelta non banale di riconoscere l’autorevolezza delle donne nella società. E segna una rimarchevole differenza.
Nel libro si cita più volte una frase di Anatole France, variamente e acutamente commentata dalle intervistate: “Una donna che insiste sull’eguaglianza rinuncia alla propria superiorità”. In fondo, questo è il solito gioco: fingere di difendere una presunta sacertà delle donne invece di promuoverne la libertà. Quella di uscire la sera, intanto – quando si potrà – e quella di lavorare con pari autorevolezza in qualsiasi campo.