Né permissivismo né complicità: la madre deve fare LA MADRE
Tra le adolescenti e le loro madri spesso accade un “gioco delle parti” che rischia di confondere le carte. Molte madri delle adolescenti di oggi ,erano adolescenti negli anni ’70 e hanno vissuto e voluto i cambiamenti dei ruoli sociali (anche sessuali)della donna e dell’uomo. Ma pur vivendo nel presente ,per quanto concerne la sessualità delle loro figlie, tengono i piedi nel passato remoto . Questo si verifica anche nelle madri che nei fatti hanno avuto un percorso di liberazione sessuale , ma che alla fine non sono in grado di proporre alle figlie un’esperienza personale da adottare come modello
Raccontare, insegnare del corpo, del piacere, della capacità di condividere emozioni e sentimenti attraverso il contatto fisico, è considerata (oggi come ieri) una faccenda molto delicata . Insegnare la sessualità è una responsabilità di cui pochi intendono farsi carico ( ne mai delegata, in via ufficiale, a qualcuno dalle istituzioni). Doversi esporre parlare, in qualche modo di se, delle proprie scelte di vita, è cosa così complessa da mettere in crisi ogni adulto, in discussione il suo presunto compito di educatore Perciò.
Molto più semplice per le mamme impacchettare il tutto, con un post-it a margine:
Attendere,da consumarsi preferibilmente dopo la maggiore età.
Così le adolescenti (geneticamente refrattarie al concetto stesso di attesa) si arrangiano con il fai da te, per scoprire cosa effettivamente vi sia dentro la scatola. Passaparola e mosca cieca, insomma: per riproporre infine niente più che una versione rivisitata, ammodernata, della sessualità di una volta. Quella imbarazzata, elusiva e spezzettata, riconosciuta nei loro adulti di riferimento.
Prima le parole mancavano, non c’erano, perché le si credeva troppo forti. Oggi le parole non ci sono, perché si crede (o si preferisce credere) che in definitiva ragazzi sono in grado di autogestire la propria educazione sessuale. Davanti alla tv, meglio se da soli, in camera, a guardare un film, un talk show pomeridiano, o qualunque programma di tarda sera. O magari tra le pagine di una rivista, di un sito o di un libro.(permissivismo) Non una comunicazione reale, di parole e emozioni, piuttosto un rumore di fondo (un rumore bianco) che nasconde, nemmeno tanto bene, le mancanze dei genitori e la loro arrendevolezza. Si potrà pure continuare ad ignorarlo, ma lui c’è: il famoso elefante nella stanza.
Ci sono state rivoluzioni (sessuali), e poi anni di rivendicazioni, visioni (e dicasteri) di pari opportunità, eppure i contenuti di riferimento per il maschile continuano a essere forza, aggressività e dominio. Seduzione, inganno e debolezza, per il femminile. E l’apprendimento di questi modelli avviene fin dalla nascita attraverso modi, gesti, timbri e toni di voce che i genitori trasmettono anche involontariamente.
Piastra di metallo su cui viene impressa un’immagine o un elemento tipografico originale, in modo da permetterne la duplicazione su carta stampata. Stereotipo dal dizionario.
Matrici di un pensiero e una morale andata, che tuttavia resiste negli anni, duplicata nel tempo. Così, la madre che sceglie (o tenta) di insegnare educazione sessuale alla figlia deve fare i conti con queste eredità. Non ha davanti un foglio immacolato, da riempire ex novo, ma deve lavorare con cautela ai margini, negli spazi bianchi lasciati da ciò che è stato già impresso (prestampato, mi verrebbe da dire).
Educare alla sessualità è (deve essere) per le adolescenti e soprattutto per le madri un momento per riflettere su quello che noi chiamiamo patto generazionale. La volontà (e la capacità) di insegnare, non solo tramandare, una competenza generativa, per costruire legami significativi e profondi. Un impegno che si fonda sulla piena coscienza delle proprie responsabilità. Che significa inevitabilmente mettersi in gioco, o meglio/peggio a nudo.
… Io alla tua età ho fatto questo, poi un giorno è successo questo, finché un giorno ho incontrato questa persona, che poi è tua/o mamma/papà, e dopo un po’ sei venuta/o tu, e sarei felice se un giorno a te capitasse una cosa del genere, ma mille volte meglio però, perché sai, non è che sia sempre così semplice, che non è sempre una benedizione come dicono, che poi ora che ci penso anche i nonni con me, chissà loro quanta fatica…
Alle bambine, e poi ragazze.
Proviamo a dir loro del coinvolgimento emotivo, della percezione del proprio corpo. Della possibilità di entrare davvero in relazionale con l’altro, seppure noi per primi non ne siamo (stati) capaci (se mai ce ne fu data possibilità).
Significa costruire, o perlomeno indicare, un’idea: un progetto di vita solido (che a noi, alle generazioni precedenti, tante volte è stato negato). Un patrimonio nuovo che loro possano custodire, fino a quando riterranno giusto mostrarlo ai propri figli, e assieme a loro rivederlo e correggerlo in ragione dei tempi che saranno.