Ti prende a tradimento un film come “Nomadland”di Chloè Zaho e, forse, solo una giovane donna con sentimento ed intuizione raffinatissimi poteva riuscirci in maniera cosi potente
.
Inizi a guardarlo e credi “solo” di trovarti in una pellicola di protesta sul mondo del lavoro negli Usa, su diritti mancati, sulla vecchiaia non rispettata e sul post crisi globale del sistema economico di un sistema che non ha retto. Una specie di “Sorry we missed you “ di Kean Loach in versione statunitense.
Lo guardi e vedi il vivere on the road di persone senza fissa dimora, drammaticamente per lo più anziane ,che abitano su quattro ruote viaggiando in cerca di lavoro saltuari e momentanei.
In mezzo a paesaggi di una America che le recenti vicende ci hanno ricordato non essere solo quella metropolitana ma viva e divisa da realtà decisamente diverse fra loro.
”L ’ultimo luogo libero d’America è un parcheggio» è scritto nel libro ( Nomadland – Un racconto d’inchiesta ) della giornalista statunitense Jessica Bruder da cui è tratto il film.
Certamente Nomadland è la storia di un Paese in viaggio, dato che Jessica per scriverlo ha percorso in tre anni almeno quindicimila miglia, incontrando nuovi nomadi , quasi tutti molto anziani e vittime del disastro economico scoppiato nel 2008 con il venire a galla della bolla immobiliare sui mutui e npo, spettatori cinefili e socialmente appassionati agli eventi, lo viviamo fin da subito questo racconto.
Ma, ad un certo punto, e qui arriva il meraviglioso tradimento con cui questo film ci cattura, Nomadland diventa lentamente anche “altro”.
Un film delicatissimo, intimo, un film dell’anima.
Qualcosa che arriva dentro, nel profondo del cuore. Diventando il racconto dell’animo umano quando si perde dentro il dolore, il distacco. La perdita.
Dentro la scoperta che, anche se fai tutto come si deve nella Vita , qualcosa può andare male, anzi malissimo e che non sai come affrontarlo.
Che i conti delle cose fatte con amore ed onestà non tornano sempre, anche se sei americano e ti hanno cresciuto in questo. Cosi che le strade deserte e senza meta percorse dal camper della protagonista diventano le strade di chi cerca solo di fuggire dal dolore di quella consapevolezza, dal vuoto di perdite che sembrano insormontabili .
Esattamente come il vuoto dei paesaggi che scorrono nelle immagini, qualcosa che il cuore non sa riempire , qualcosa che si vede solo come quel deserto, quelle pietre
Nomadland si trasforma ,cosi, nella metafora del viaggio di chiunque di noi sia fuggito o fugga da qualcosa che non sa come affrontare tanto ne è enorme il peso.
E poi c’è LEI. Frances McDormand. Cosi vera, cosi speciale, cosi vicina a tutte e tutti noi.
Senza fronzoli, artifizi.
Lei, circondata nel film da chi quella vita su quattro ruote e per strada l’ha fatta davvero. Veri nomadi, vere scelte, veri i racconti e persone come Linda May, Swankie o Bob Wells che vediamo nel film
Un racconto universale. Che entra nel cuore, fa domande.
Cosa fare dopo un dolore troppo grande? Come non sentirsi soli a viverlo? Come è possibile che chi abbiamo accanto possa arrivare a comprenderlo? E, se anche questo sembra che possa accadere, come riuscire a trovare il coraggio per dare una seconda possibilità?
Alla nostra vita , ma anche a chi incontriamo e voglia aiutarci a farlo?
E’ in questo viaggio dei sentimenti che ci trasportano Nomadland e Francis McDormand e lo fanno insieme ad un’altra straordinaria coprotagonista: la musica di Ludovico Einaudi.
Musica che trasforma il viaggio , che segna il racconto muta le immagini reali in un non luogo in cui ognuno di noi può mettere sé stesso . Ad un certo punto del film uno di questi nuovi nomadi dice : “ Una delle cose che amo di più di questa vita , è che non c’è un addio definitivo. Ho conosciuto centinaia di persone qui. E io non dico mai addio per sempre, dico solo: ci vediamo lungo la strada. Ed è così: li rivedo. E posso essere sicuro, in cuor mio, che ti rivedrò un giorno”.
Ma Fern (Francis McDormand ) in un altro momento del film aggiunge : “ Mio padre diceva: ciò che viene ricordato vive. Forse ho passato troppo tempo della mia vita… solo a ricordare..”. Ed è in questo fuggire dai ricordi ma anche nell’imparare a voler conviverci in maniera diversa che scorre la trama umana e sentimentale di un film cosi particolare e struggente.
Come nel doppio binario dell’esistenza. Fatto di quello che accade in un mondo di regole spesso crudeli e di quello che noi riusciamo a voler ancora scegliere di fare, semplicemente per poter andare avanti e vivere, come più ci è possibile, pienamente.