Manifestazioni dedicate all’arte femminile, che possiamo finalmente godere appieno in questi giorni. A Palazzo Reale a Milano.
Non sono una signora, cantava, scatenata, Loredana Bertè. Tutto, a parte il titolo, ci intriga in questa mostra a Palazzo Reale di Milano, dedicata a pittrici italiane del Cinquecento e del Seicento. Le tele incorniciate dalle sfumature blu oltremare, ottanio, verde e cremisi delle pareti, con la complicità di una morbida illuminazione, sono eroiche, sfrontate, intense. Colpiscono con la loro magniloquenza e vivacità, hanno del prezioso e dell’inaspettato. Ma per il titolo avrei visto meglio Le regine dell’arte oppure il più neutro, e sobrio, Pittrici italiane fra Cinque e Seicento. Che c’entrano le signore? Prima le signore, venghino signore e signori, il gentil sesso… ma noi esageriamo, non dateci retta.
Nelle prime dieci righe della presentazione del Sindaco Sala, troviamo, insieme a cose interessanti, il sintagma donna-artista (sic), che un po’ ci spaventa, e il termine “pittora” messo fra virgolette, come per farsi perdonare. Scusi, cosiddetta notaia. Mi perdoni se la chiamo avvocata. Scherzo, e capisco: siamo tutte e tutti imbarazzate/i di dover parlare di donne che fanno arte. Ancora il pensiero non è lucido, il linguaggio non è oliato e il ruolo è difficile da accreditare. Perché tanta circospezione linguistica, se no?
Siamo serie, torniamo alla mostra.
Anzitutto è doveroso elogiare il Comune di Milano e il suo assessore Del Corno che, con il sostegno di Fondazione Bracco, Corriere della Sera e altri sponsor, hanno promosso nel 2020 un ampio palinsesto di manifestazioni dedicate all’arte femminile, che possiamo finalmente godere appieno in questi giorni. A Palazzo reale anche Prima, donna dedicata alla fotografa Margaret Bourke-White (fino al 28 agosto 2021) e Divine e Avanguardie. Le donne nell’arte russa (fino al 12 settembre). Al Mudec gli scatti mozzafiato di Tina Modotti. Donne, Messico e libertà (fino al 7 novembre 2021) e qui ci viene in mente Messico e nuvole, a proposito di canzoni. Sarà la primavera di quest’anno difficile, così sospirata, a farci venire in mente la musica leggera.
Ma torniamo ai motivi per cui dovremmo visitare – con prudenza e seguendo con scrupolo i protocolli sanitari – questa storica mostra: Le signore dell’arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600 (fino al 25 luglio 2021): più di trecento opere di trentaquattro artiste, fra cui si segnalano per indubbio interesse la Pala della Madonna dell’Itria di Sofonisba Anguissola, uscita in questa occasione per la prima volta dalla Sicilia, e la Maria Maddalena (La Maddalena Sursock) di Artemisia Gentileschi, mai stata esposta prima, “che costituisce un’aggiunta fondamentale al catalogo della pittrice”. O pittora, ma senza virgolette.
Le opere presentate, di Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Giovanna Garzoni, Marietta Robusti detta la Tintoretta (ma non perché era brava come il Tintoretto!), Barbara Longhi, Giovanna Garzoni, Virginia da Vezzo, Ginevra Cantofoli sono state raggruppate in cinque sezioni, l’ultima delle quali dedicata ad Artemisia Gentileschi. La prima – molto significativamente è la prima – racconta le pittrici scelte da quel primigenio e imprescindibile critico d’arte che fu Giorgio Vasari, quasi a voler legittimare, e nobilitare, le artiste, inserendole nell’alveo della più pura tradizione italiana. Le altre tre sezioni sono dedicate a figure d’indubbio rilievo inquadrate in contesti specifici: il convento, la famiglia e l’accademia.
Se non volete visitare la mostra con l’ausilio dell’audioguida, posso suggerirvi una breve playlist da ascoltare con le cuffiette: nella sezione prima, quella del Vasari, Claudia Sessa e Lucrezia Orsina Vizzana, due compositrici del Cinquecento. Per la sezione dei conventi, andrei sulla solennità della dotta Madre Isabella Leonarda; per le storie familiari, Francesca Caccini e Antonia Padoani Bembo sono ottime rappresentanti del genere in ambito musicale. Insieme ai dipinti delle pittrici accademiche vedrei bene la più tarda Maria Rosa Coccia, prima maestra di cappella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Infine, per Artemisia Gentileschi, suggerisco un abbinamento colorito e gustoso con la compositrice Barbara Strozzi. Per fortuna si trovano anche su YouTube e Spotify.
È interessante notare l’oscillazione fra il racconto della situazione storica e sociale di alcune personalità e indagine scientifica sulle caratteristiche delle loro opere, che si limiti alle pure e astratte ragioni artistiche che ne suggeriscono l’apprezzamento. In effetti l’inevitabile rebound che ha l’occuparsi di donne nell’arte è questo: il rischio di mettere a fuoco (o di essere accusati di averlo fatto, il che è lo stesso, in fondo) più la storia della “donna-artista” che la perizia nell’arte della medesima. Un vulnus gravissimo. Che è come dire: facciamo un’antologia di donne che, in quanto donne, si segnalano come eccezioni nel percorso ampio e glorioso dell’evoluzione storica dell’arte maschile (rigorosamente! come dice una pubblicità della pasta) oppure compiamo la disamina di un preciso tema culturale e artistico, dal punto di vista di coloro, uomini e donne, che vi ebbero un ruolo e qualcosa da dire? Non in quanto donne, o figlie, o mogli, sorelle o muse. Per farlo bisognerebbe essere un po’ meno adusi alla più spericolata monografia, più facilmente vendibile – non c’è niente di male, l’elemento commerciale conta sempre – e un po’ di più al mettere in relazione e scoprire punti di contatto fra diverse personalità e vari temi.
Insomma, non solo statue a tutto tondo, ma arazzi, completi di sfondi, colorati e complessi. Siamo grate alle curatrici e al curatore della mostra, Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapiè di aver tentato una linea, delicata e complicata, di compromesso fra queste due impostazioni.
Non si tratterebbe solo, come dice Domenico Piraina, direttore di Palazzo reale, della lodevole intenzione di approfondire gli studi sulle artiste – anche se è da lì che si parte, questo è certo – ma di creare affreschi completi di certi periodi storici, accostandovi la presenza delle donne, esaminando le caratteristiche generali della vita di uomini e di donne in certe epoche, con i loro squilibri e i loro vantaggi.
Il problema è non trasformare una mostra d’arte in un trattato di sociologia della condizione femminile. Certo che, se si parla di una donna, non possono che emergere palesemente chiare le condizioni storiche e sociali in cui ha operato, proprio perché di solito notevolmente più difficili, ma perché non fare altrettanto anche con gli uomini, con i loro colleghi artisti?
Pregevoli le proposte dedicate alle scuole, divertenti e accattivanti, che si sono potute seguire fino a oggi anche on wave (che sta per on line, ma è molto più bello, come ha detto ieri a Vicenza Andras Schiff prima del suo incantevole concerto all’Olimpico). Speriamo proprio che abbiano l’effetto di far comprendere a tante bambine e bambini di aver pari diritto a entrare nel mondo dell’arte, e con tutti gli onori. E questo nonostante i libri di testo delle scuole di ogni ordine e grado si ostinino a parlare solo di uomini. Un giorno serviranno solo a pareggiare le gambe dei tavoli.
Loredana Metta
Foto di Gianfranco Fortuna per Arthemisia