Quale eredità umana ci lascia l’Artista totale ma soprattutto l’Uomo straordinario che è stato Franco Battiato?
“E ti vengo a cercare, con la scusa di doverti parlare, perché ho bisogno della Tua Presenza, per capire meglio la mia essenza… E ti vengo a cercare perché sto bene con Te, perché ho bisogno della Tua Presenza”.
Sono pochi a sapere che questa bellissima canzone di Franco Battiato, che si intitola appunto E ti vengo a cercare, attiene alla sfera del divino e si riferisce alla tensione verso un essere superiore, un Maestro e alla ricerca spirituale dell’essenza piuttosto che di una persona che si ama e di cui si percepisce la mancanza.
Eppure nel doloroso maggio pandemico in cui ci ha lasciato questo immenso Artista ed instancabile ricercatore dello Spirito, la canzone declina in tutti i significati possibili. Nel lutto collettivo che il Paese sta vivendo per la sua perdita, tutti lo stiamo cercando, chi come colonna sonora di una estate, chi come sinfonia della propria vita e ancora chi in quanto intellettuale raffinatissimo e filosofo ispirato e chi infine nell’imago di Maestro, rivolgendogli più o meno consciamente questa bellissima invocazione d’Amore che gli appartiene.
L’Omaggio che desidero fare a Franco Battiato è il riconoscimento dell’eredità umana che ci lascia accanto a quella artistica, certa di fargli cosa gradita poiché affermò: Io sono un tipo che per un gesto di dignità umana sarebbe capace di buttare tutta la sua produzione nella spazzatura. Perché per me prima dell’Arte viene l’Essere.
Il primo grande insegnamento di Battiato che si dischiude come un fiore di loto contenendone altri, sta nel raggiungimento di una profonda spiritualità frutto di una ricerca incessante dell’Assoluto senza scadere nel dogmatismo o nell’estremismo, persino senza aderire ad alcuna religione. Oltre al buddismo infatti, nel suo pensiero filosofico religioso confluivano influenze cristiane, addirittura esoteriche e la mistica sufi; del resto il Maestro non voleva definirsi e neanche categorizzare Dio che trovava umanizzato nella concezione delle religioni, mentre per lui coincideva col Tutto, col principio metafisico dell’Uno.
In tale profonda connessione con l’Invisibile ci ha regalato capolavori come l’Ombra della Luce, Un oceano di Silenzio, la Sua figura e la struggente Messa Arcaica; riuscì a rendere trascendente persino la canzone tradizionale irachena Fogh in Nakhal che cantò durante l’indimenticabile concerto del 1992 a Baghdad per sostenere l’Unicef ed in particolare le bambine ed i bambini che in quel luogo pativano le conseguenze della Guerra del Golfo e dell’embargo. A chi lo criticava per essere andato a cantare nel Paese del dittatore Saddam Hussein, Battiato replicava che non trovava giusta la sofferenza di un intero popolo incolpevole e schiacciato dalla dittatura, ma anche che credeva fosse giusto dare una possibilità di redenzione a tutti e quindi modo anche agli assassini di diventare santi. Un pensiero straordinario che ci trasmette un esempio altissimo di misticismo operante, ossimoro che ha caratterizzato tutta l’esperienza terrena di quest’uomo ispirato. Il suo percorso esistenziale infatti si è declinato in incessante ricerca dell’Invisibile, del Trascendente attraverso cui leggere, interpretare ed elevare se stesso e la condizione umana attendendo ad ogni tipo di sfida evolutiva che gli si proponeva casualmente o che consapevolmente sceglieva coinvolgendosi profondamente col mondo che lo circondava e con gli altri.
Dopo aver criticato il rampantismo anni 80 in Bandiera bianca, la religiosità consumistica in Magic shop, preconizzato le stragi di Capaci e via d’Amelio nonché l’avvento di Tangentopoli in Povera Patria, ci ha fatto riflettere sulla fallacia dei nostri attaccamenti e sulla fatuità dei nostri corpi modificati chirurgicamente: “E intanto passa ignaro il vero senso della vita, ci cambiano capelli denti e seni a noi che siamo solo di passaggio”, disvelando anche la sua concezione della morte come passaggio, come parte della vita, idea rivoluzionaria nel nostro cosiddetto progredito occidente globalizzato ageista e gerascofobico che celebra solo il presente consumistico dimentico del passato e terrificato dal futuro.
In tempi di società bulla, di volgarità gratuita e di analfabetismo funzionale ed affettivo, come non pensare all’eredità preziosa che Battiato lascia ai nostri ragazzi e a tutti noi col suo coraggio di essere sempre se stesso cimentandosi con varie arti e stili, accettando con grazia soprannaturale l’incomprensione, il fraintendimento, la presa in giro, talvolta di una stupidità feroce che gli ha procurato, almeno per i primi vent’anni di carriera, il suo distinguersi dalla massa. Altrettanto significativo il distacco con cui ha accolto il successo popolare che ha attraversato come una fase necessaria per accedere al livello successivo più complesso della collaborazione col filosofo conterraneo Manlio Sgalambro che ha regalato a lui nuove vette di raffinatezza espressiva e a noi “l’invito al viaggio” nella nostra interiorità: “Ti invito al viaggio, in quel paese che ti somiglia tanto, i soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l’incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati”.
Un temerario dunque, che ha scritto la più bella canzone d’amore, La cura, senza mai citare la parola amore, che ne ha dedicata un’altra vibrante di emozione all’eroe del mare Shakelton facendo dire a Manlio Sgalambro: “Una catastrofe psicocosmica mi sbatte contro le mura del tempo. Vigilo nel sonno. Sentinella, sentinella, che vedi?” Un testo che presagiva maestosamente la difficoltà dei nostri giorni e dell’umano transito terrestre che Battiato ha utilizzato per dare alla luce se stesso, per ricongiungersi col Tutto, ma che generosamente ha impiegato per trasmettere attraverso le sue canzoni quei modelli superiori, quei sentimenti eterni, quei valori imperituri che lo hanno consacrato al successo perché ci hanno toccato dentro.
Un uomo anche profondamente legato alla Terra oltre che alla sua terra, la Sicilia bedda mia, Sicilia bedda, di “Veni l’autunnu”. Era un convinto ecologista che si compenetrava con la Natura e la utilizzava come supporto meditativo preferito, rispettava gli animali in quanto esseri senzienti ed era sensibile alla loro sofferenza; anche per questo era divenuto vegetariano. Gli uccelli in particolare gli ispirarono la famosa splendida canzone omonima: il loro volo verso spazi a noi inaccessibili richiamavano in lui la metafora dell’ascensione e della libertà tema trattato anche dal bellissimo libro iniziatico, il gabbiano Jonathan Livingston in cui al protagonista, un gabbiano atipico, diverso dagli altri, non era sufficiente volare per procacciarsi il cibo come ai suoi simili. No, lui aspirava al volo perfetto e per raggiungerlo sperimentava, si incaponiva, precipitava e ritentava con sempre rinnovato entusiasmo. Dunque per salutare Franco Battiato vorrei dedicargli le parole di questo altro ricercatore di altezze, Jonathan Livingston che tanto gli somiglia:
“Ma chi ha più coscienza d’un gabbiano che cerca di dare un significato, uno scopo più alto all’esistenza? Per mill’anni ci siamo arrabattati per un tozzo di pane e una sardella, ma ora abbiamo una ragione, una vera ragione di vita… imparare, scoprire cose nuove, essere liberi!”
A questa ascesa perfetta verso l’Assoluto ha aspirato Francesco Battiato, detto Franco, eccellente artista che è morto come è vissuto: da uomo libero!
Arrivederci Franco, Maestro!
Alexia di Filippo
2 commenti
Carissima dott.ssa Di Filippo trovo straordinaria la sua lettura di questo grande artista dell’Anima, un vero “quantico” nella sua essenza. Pochi – come Lei – riescono ad interpretare le parole nel loro unico e profondo significato. Battiato ha voluto trasmettere la sua consapevolezza attraverso testi e musica, grande Maestro.
La ringrazio per questo articolo che attesta ancora una volta la sua affascinante personalità e conoscenza, la sua sensibilità e la sua cultura, il suo “andare oltre l’orizzonte”, laddove la mera “istruzione” da sola non può arrivare….. GRAZIE a nome di noi tutti!!
Gentilissima Gabriella, sono io a dover essere grata per un giudizio tanto generoso nei miei confronti e del mio scritto che certamente assorbe e riflette il valore dell’anima elevata che lo ispira. Di nuovo Grazie a lei Gabriella ed a tutte le cortesi persone che, mi dice anche la Direttrice del Magazine, hanno gradito l’articolo ed inviato messaggi.