La mostra al Castello del Buonconsiglio di Trento fino al 24 ottobre.
Un’organizzazione perfetta, anche riguardo alle regole anti Covid, il tratto cortese e accogliente di impiegate/i del Castello e il suo affascinante pregio monumentale sarebbero motivi sufficienti per una gita a Trento, ma la mostra dedicata alla pittrice di origine milanese e discendenza trentina, Fede Galizia, curata con notevole spessore intellettuale e coraggio da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, vi aggiunge un’attrattiva per noi irresistibile.
Se sceglierete di visitarla (fino al 24 ottobre), potrete anche ammirare nella collezione permanente del Castello alcuni esempi squisiti di arte sacra quattrocentesca e cinquecentesca, fra cui una statua della Madonna recentemente sottoposta a un interessante restauro a carattere conservativo e conoscitivo, due caratteristiche imprescindibilmente intrecciate dell’attenzione al patrimonio del passato.
Potrete gustare soprattutto i ritratti e le nature morte di Fede Galizia, genere di cui è considerata fra le prime e maggiori esponenti. Rivelano inarrivabile “mestiere” le trasparenze dei suoi vetri e la corposità delle sue ceramiche, la sua abilità nella rappresentazione, così lirica e meditativa di fiori, frutta e piccoli animali, che apre la strada a un nuovo gusto destinato a importanti influenze internazionali.
Pittrice celebrata, quasi mitizzata, da fonti letterarie numerose, ancora non completamente censite, e allo stesso tempo artista negletta e trascurata. In alcune delle opere esposte lo si nota senza alcun dubbio: erano state erroneamente attribuite ad altri. E chissà quante ancora, fantastichiamo noi – che però siamo apertamente di parte – attendono di veder riconosciuta la mano della maestra Galizia. Capita sovente alle artiste, come Antonia Uccello, cancellata purtroppo quasi del tutto, dalla fama del più famoso padre Paolo. A proposito della così detta cancel culture…
Nell’esposizione, accanto a nomi illustri della pittura italiana e internazionale e insieme al padre e primo maestro Nunzio Galizia, troviamo Barbara Longhi, Plautilla Nelli, Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana, presente con una potente pala d’altare e con una Giuditta di qualità e fascino ammirevoli nell’accumulazione di dettagli di abbagliante preziosità.
I tanti manufatti che compaiono in questa mostra permettono di ricostruire metodologie di lavoro (molto interessanti i confronti fra copie di uno stesso dipinto, compiute da mani differenti), caratteristiche e tecniche di diversi generi pittorici (accattivante l’accostamento di miniature, costumi per il teatro, stampe e libri) e la rete di relazioni significative, familiari, amicali e con la committenza, di una pittrice del Rinascimento, celebre ai suoi tempi quanto dimenticata nei nostri. La scelta di accostare alla pittura la tecnica della stampa ne illustra già in quell’epoca precoce i fecondi e mutui scambi. La ricchezza delle opere proposte mette in rilievo analogie e differenze nei tratti e nella concezione dei soggetti rappresentati e fa riflettere sulla lunga e difficile strada che portò alcune dilettanti di pittura a raggiungere fama e posizione sociale tali da permettere loro la realizzazione di grandi opere destinate a viaggiare verso città lontane della penisola e la soddisfazione di committenti aristocratici/che in ruoli politici di primo piano. L’eredità e la formazione ottenute in famiglia – visti i molti limiti che sperimentavano le donne nel proprio percorso educativo – determinò la possibilità stessa che alcune donne più fortunate potessero giungere a esprimersi in modo consumato e professionale, come dimostrò Galizia fra le altre.
Riflettendo su quanto visto oggi a Trento, mentre mi godo una fresca pioggia estiva insieme all’ascolto delle composizioni di Lucrezia Orsina Vizzana (una contemporanea di Galizia) rifletto su come un percorso espositivo che ponga domande coraggiose e metta in luce elementi storici e sociali, accanto a quelli tecnico-artistici, possa comportare effetti positivi sulla condizione delle donne che oggi praticano arti tradizionali o contemporanee legate al cinema, alla musica, alla videoarte…
Riconnettere esperienze artistiche a problemi contemporanei permette di assicurare una vera efficacia all’azione culturale: non solo custodire un patrimonio, ma promuovere una riflessione critica che deve attraversare la società nel suo complesso, dinamizzarla e rivitalizzarla… e questo non si può fare, se non riconoscendo le disparità di condizioni sociali e le disuguaglianze fra generi e restituendo piena luce alle minoranze sottorappresentate, come quella delle artiste del passato, per evitare che la storia di inferiorizzazione delle donne possa continuare sotto traccia, inavvertitamente, e persistere ancora oggi. Cultura è influenzare positivamente la società, non limitarsi a tenere chiusi nelle loro teche alcuni tesori del passato, mentre altri affondano nell’oblio. Conservare e conoscere, custodire e ampliare. E non lasciare che persone e patrimoni anneghino ogni giorno nella nostra indifferenza.