Lidya Franceschi è mancata il 29 luglio scorso, una donna che desidero ricordare per il suo grande impegno sociale e culturale. Una donna che ha saputo trasformare il grande dolore, per la morte del figlio Roberto avvenuta a Milano nel 1973 per mano delle Forze dell’Ordine davanti la Bocconi dove era in corso un’assemblea del Movimento studentesco, nella costruzione di un grande progetto.
Ho incontrato la signora Franceschi per la prima volta in occasione di un’intervista che pubblicai qualche anno fa sulla mia rivista L’accento di Socrate e che ora come segno di grande stima nei suoi confronti desidero riproporre qui su Dol’s: un modo anche per esprimere sentite condoglianze alla famiglia.
Si può vivere di memoria? In alcuni casi è la sola possibilità che resta. Lydia Franceschi presidente della Fondazione Franceschi onlus lo sta facendo da più di quarant’anni quando in un momento di tragica presenza della legge suo figlio Roberto venne colpito a morte da pallottole sparate ad altezza d’uomo: senza un perché. L’ho incontrata nella sua casa “perché ora la mia casa, lo è sempre stata, ma poi di più, è aperta a tutti coloro che vogliono conoscere Roberto”. Queste sono state le parole con cui ha accolto la mia richiesta di un’intervista.
Signora Franceschi, come si fa a guardare al futuro dopo certe tragedie? Sarà la spinta alla vita, l’ottimismo?
Di delusioni ne ho vissute tante: esco da periodo della guerra, dal periodo del fascismo, il ‘68 che è stata la mia seconda resistenza, meno male ho un carattere ottimistico e penso sempre che il latte versato non si può rimettere nel pentolino perciò tanto vale guardare avanti, forse perché vengo dal mondo della scuola
Lei è stata infatti Preside
Sì, prima insegnavo matematica
La vicenda di suo figlio come si è conclusa?
Da un punto di vista penale non sappiamo chi sia tra i tanti il vero colpevole, noi ci siamo fatti un’idea però c’è una sentenza e va rispettata
Quindi non c’è un punito?
No. Dico grazie al mio avvocato Marco Ianni che ha voluto fare assolutamente il processo civile, io non ero d’accordo invece con questa strada, dopo cinque processi, il Ministero degli interni è stato dichiarato colpevole perché risponde dei suoi dipendenti e ci hanno dato i soldi con cui abbiamo realizzato la fondazione
Quindi non c’è un colpevole con nome e cognome?
La sentenza dice che loro hanno sparato in una situazione in cui non era legittimo l’uso delle armi
Come è accaduto?
Mio figlio era un bocconiano, era il ’73 un momento in cui tutte le università milanesi erano chiuse e non c’erano spazi politici, la Bocconi era rimasta aperta. Il movimento studentesco era andato a chiedere l‘assemblea, c’era un tacito accordo tra il rettore e loro: “Vi do l’aula ma alle 11 e 30 deve essere tutto finito e dovete aiutare a riordinare”. Sapevo tutte le cose che faceva mio figlio, tra noi c’era un rapporto molto forte, ed ero al corrente di come tutto sembrava dover andare bene, invece il martedì sera (23 gennaio) quando loro sono andati hanno trovato personale amministrativo che non faceva entrare gli studenti di altre università e quel che ancora peggio gli studenti lavoratori. Inoltre hanno trovati schierati quasi cento uomini della terza celere…è stata una scaramuccia di pochi secondi, hanno sparato ad altezza d’uomo perché hanno preso Roberto alla nuca, Roberto Piacentini alla schiena, una cinquecento nella portiera. Colpi di pistola e non lacrimogeni, non hanno sparato in aria: erano tutti colpi mirati.
E da allora inizia la strada verso il ricordo di Roberto?
Io sono di sinistra e lo dichiaro, ma non voglio avere a che fare con i partiti. Quando accadono fatti eclatanti come quello di mio figlio, arrivano sempre i politici ad offrirti la poltrona, ma io ho risposto: “I casi sono due o fra sei mesi io vi sbatto la porta in faccia o siete voi a mandarmi via a calci”. Perché non sono abituata a dire signorsi a nessuno e poi significava vendere l’identità di Roberto e che loro potevano metterci la livrea che volevano
Che cosa ha rappresentato la nascita della fondazione?
Noi abbiamo avuto il risarcimento ed anche qui ci sono state difficoltà. Non volevo andare a ritirare il denaro perché non mi dicevano la verità su mio figlio e i soldi non potevano ripagarmi di questo. Il mio avvocato, un tipo con i piedi per terra, mi ha convinta dicendomi che questi soldi li avremmo restituiti alla società facendo una fondazione che avrebbe portato avanti l’idea di Roberto. Allora pian piano questa idea mi è entrata in testa e sono andata a firmare….ed abbiamo fatto la fondazione per portare avanti i pensieri, gli ideali, il modo di concepire, l’impegno di Roberto. A distanza di tempo penso: “Ti abbiamo dato un po’ di fisicità”
È l’unico modo per farlo vivere, c’è il ricordo ma non solo
È vero, perché se voglio solo ricordare allora mi metto qui con un bicchiere di whisky e dei cari amici
Il suo ricordo produce qualcosa
Non poteva essere sterile. Ho fatto la preside perché mio figlio mi diceva: “Mamma tu sei una brava professoressa, i tuoi ragazzi sono….ma quanti ragazzi hai: settanta, settantacinque. Se fai la preside dai un’impronta, rappresenti lo stato e dai un’impronta democratica, costituzione alla mano
A vent’anni aveva già queste idee?
È sempre stato un ragazzo così, la sua professoressa ha scritto una lettera dopo che è morto e lì lo descrive bene. Era un ragazzo cordiale e sorridente, aveva il dono della facilità dello studio e si arrabbiava con quelli che facevano politica e non studiavano. Lui diceva che chi fa politica deve essere molto preparato. Aveva scelto la Bocconi per diventare un economista, era convinto che la politica dipende dall’economia
Un ragazzo come suo figlio aveva di fronte a se delle possibilità straordinarie e questa fondazione porta avanti questi ideali, per lei è un fare qualcosa
Quest’anno abbiamo ripubblicato la costituzione, per lui la costituzione era importante. Ho fatto la preside spinta da mio figlio e son partita da Cesate, una località fuori Milano, allora si iniziava a parlare di tempo pieno. Poi c’erano le assemblee ed io chiedevo a Roberto come dovevo fare, addirittura lui ogni tanto veniva e mi dava sicurezza
Lei ha fatto tutto ciò anche per continuare ad essere madre?
No, questa è stata una delle cose che ho vissuto malissimo perché mi vedevano solo come la mamma che si doveva rispettare perché aveva avuto un dolore, per cui era lecito dire tutto a causa del dolore. Io non sono solo la mamma, sono una persona. Questa è venuta non solo dal mondo maschile, ma anche dalle donne. Mi sono meravigliata tantissimo per questo atteggiamento di volermi relegare nel ruolo di angelo del focolare, mi chiedevano: ”Perché vai in giro? Cosa fai?” Anche per il processo che ho seguito in prima persona
Quindi c’è una donna dietro il progetto?
Sì, anche se i primi tempi sono stata solo la mamma, per due o tre anni ho persino trascurato mia figlia che quando è morto Roberto aveva solo diciotto anni. È stata una cosa improvvisa e violenta, per una madre è contro natura
E poi glielo hanno tolto in modo in cui c’è anche da arrabbiarsi
Non c’era l’accettazione. Avevamo tanti progetti come famiglia, volevamo viaggiare e quell’anno avevamo in programma di andare a Odessa, perché io sono nata lì
Si è spezzato tutto in pochi secondi
Sì, poi una volta era diverso non si poteva entrare in rianimazione se non per pochi minuti al giorno. Ricordo di avergli visto i piedi dal buco della serratura: allora andavo a vedergli almeno i piedi, era una cosa disumana. Per una settimana siamo stati lì sui gradini, io con la speranza perché non si accetta che un ragazzo di vent’anni pieno di vita…Il tempo era bellissimo quasi a farci un dispetto…eravamo soliti andare alla Presolana a sciare e saremmo andati anche quel fine settimana… e anche lì lui scendeva ad una tale velocità con gli scii e si divertiva a passarmi accanto per spaventarmi…c’era anche tutto questo a farmi dire che era impossibile…non si accetta. In seguito ho iniziato ad odiare la figura dell’eroe perché per consolarmi hanno iniziato a dirmi che Roberto era un eroe. Roberto non era un eroe! Era un ragazzo come gli altri
Con tante doti e tante possibilità
Un ragazzo allegro, con tanta voglia di vivere, mi sembrava che me lo imbalsamassero
Ci son tante strade per elaborare il lutto, credo che lei abbia percorso quella più umana, naturale. Lei si è disperata poi ha cominciato a detestare le persone che volevano farle fare un percorso che non era il suo e alla fine questa fondazione. È un modello, anche se non tutti fanno una fondazione dopo la morte di un figlio
Qui all’ingresso ho una foto grande di Roberto perché chi entra deve sapere dov’è. Lei non sa quante volte ho litigato con chi ha tentato di strumentalizzarmelo. Chi mi tocca Roberto fa uscire tutte le furie inconsce. Lo devo difendere ancora oggi
La fondazione è stata allora anche una fonte di verità?
La fondazione ci serve per essere i veri testimoni di Roberto. Anche i ragazzi a scuola mi hanno aiutata. Sono tornata a scuola dopo un mese e anche lì ho avuto delle soddisfazioni per come mi hanno accolta: senza di loro non ce l’avrei fatta. Pensi ricorderò sempre un ragazzo che mi ha fermata nei corridoi della scuola per offrirmi la merenda ma non ho accettato “Mangiala tu che devi crescere”, gli ho detto e lui continua “Ha visto preside che bella giornata?” ed io “Sì’ c’è il sole” e lui “Ma non ha capito niente, è una bella giornata perché è tornata lei!” Ho fatto le scale di corsa per tornare in presidenza e sono scoppiata a piangere. Tanti ragazzi mi sono stati vicini anche con poesie e bigliettini anonimi
Lasciando la casa di Roberto mi accorgo di quante fotografie siano appese alle pareti, lo ritraggono in tanti momenti di vita felice: è un modo di ricordare e di convivere con il proprio figlio
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