Dopo diversi anni, vergognosamente disinteressata della mia condizione di astigmatica e un po’ miope ma migliorata grazie alla presbiopia del post quarant’anni, sono finalmente andata dall’oculista. Mi hanno suggerito un noto ospedale milanese per la validità dei suoi medici e così eccomi al cospetto della giovane deliziosa dottoressa e dei suoi strumenti che nel frattempo sono cambiati notevolmente. Ero rimasta al cartellone con le lettere, ora vengono proiettate su un piccolo tabellone, un po’ come al cinema ma molto più in piccolo. La visita va bene, mi sgrida gentilmente per aver aspettato una ventina di anni, mi merito una bacchettata sulle mani, ma mi rassicura sul fatto che mi mancano solo due diottrie… non mi posso lamentare.
Fin qui nulla di particolarmente importante fin quando tra noi nasce un breve ma interessante dialogo, proprio quel genere di dialogo che vorrei instaurare nel nostro format Donne (e uomini) in dialogo. Nel rispondere alle sue domande, racconto la mia esperienza di occhialuta iniziata a sei anni, quando la maestra si rese conto che non leggevo correttamente alla lavagna, e concludo lasciando intendere quanto abbia sempre odiato gli occhiali e alla fine confesso il mio peccato. Appena diventata maggiorenne mi sono presa la libertà di fregarmene. La dottoressa mi risponde: “Del resto io faccio la stessa cosa con il dentista, rimando sempre il controllo”. Ci sarà un motivo per questo suo atteggiamento e nel breve dialogo lei stessa avrà trovato la sua risposta senza necessariamente metterla in primo piano.
Questo è un esempio di interazione dialogica dove gli interlocutori, attenti al significato di una certa azione, in questo caso il disinteresse per una parte del corpo da curare, hanno usato la propria esperienza esclusivamente per trovare un punto di incontro. Nessuna volontà di mettere in mostra i propri pregi, nessuna auto-celebrazione, ma il desiderio di trovare una cura per i propri difetti.