…e nemmeno sa, la Commissione europoide, che Giovanni, Maria, Giuseppe e persino Gesù non sono nomi soltanto “cristiani”.
di Daniela Tuscano
Appartengono a profeti e sante veneratissimi dai musulmani, i quali, di conseguenza, li usano per i loro figli, nei corrispettivi arabi Yahya, Myriam o Mariam, Youssef, Isa. Si potrebbe eccepire che vi ricorrono pure gli arabi cristiani, ma quelli per la Commissione non esistono, come non esistono le donne, anzi, le bambine che soprattutto in Pakistan e Nigeria vengono rapite, stuprate, convertite a forza e vendute a maschi sessantenni per cui nessuna femminista liberal ha voluto mobilitarsi; mai una genuflessione per il calvario decennale di Asia Bibi ieri, né per Maira Shahbaz, Huma Younus e Leah Sharibu oggi. Maira a 14 anni ha subito un sequestro, una violenza sessuale ed è stata obbligata ad abiurare prima di sfuggire agli aguzzini con le sue sole, piccole-grandi forze. Anche Maira e Leah erano quattordicenni quando i jihadisti le hanno prelevate da scuola per ridurle in schiavitù, e in tale condizione versano dopo un lustro.
Di quante Asia, Maira, Huma e Leah non conosciamo neppure il nome? Moltissime, certo. Ma anche questi nomi restano sconosciuti, malgrado l’esoticità tanto cara ai fautori dell’inclusione. Il perbenismo dirittista – borghese, bianco, occidentale – si compiace d’aborrire tutto quanto appaia borghese, bianco e occidentale, cioè sé stesso e la sua storia, per esaltare un “diverso” mitico e pittoresco, metà demonio e metà bambino, proiezione di fantasie (o perversioni). Un neo-orientalismo digitale, privo delle basi culturali di cui l’antico pur disponeva, ma egualmente altezzoso e profondamente razzista, a dispetto della militanza “sinistra” dei suoi esponenti.
Sono proprio i cristiani asiatici e africani a contraddire questa narrazione. La loro esistenza, così travagliata e, in certe zone, ridotta al lumicino, testimonia che il cristianesimo oltrepassa l’Europa e affonda le radici dove la gauche-caviar non vorrebbe trovarlo, non per iniziativa di qualche missionario al soldo dell’imperialismo ottocentesco ma per antica evangelizzazione: in Etiopia dal I secolo, in India dal quinto. L’Egitto, la Turchia e la penisola araba furono cristiani prima dell’Islam. Ma i progressisti attuali lo ignorano, volutamente o no; i cristiani extraoccidentali, ai loro occhi, sono alloctoni della concorrenza, quasi dei rinnegati etnici; perdono d’interesse, risultano poco mainstream, tanto vale abbandonarli al loro destino.
Il tentativo di cancellare il Natale – e qualsiasi riferimento al cristianesimo, dai crocifissi nei locali pubblici ai monumenti cittadini ecc. – va avanti da alcuni anni. Ha sostituito la preesistente festività del Sol Invictus, ripetono a ogni scadenza gli storiografi da web, non per riflettere sull’inculturazione ma col preciso scopo di sminuirne l’importanza e perfino l’originalità, come se altre ricorrenze fossero prodotti vergini di tradizioni millenarie. Si è poi continuato con le stucchevoli polemiche sui presepi a scuola fino alla demenziale censura delle croci dalle etichette degli yogurt greci, sempre col pretesto dell'”inclusione” e del “rispetto” per i “diversamente credenti”. I quali, detto per inciso, normalmente se ne sbattono, in trent’anni d’insegnamento le uniche proteste per le feste troppo “cristiane” le ho udite da colleghi infarciti di retorica terzomondista. Gli studenti, sia nativi sia foresti sia ibridi, continuano a fare gli studenti e prendono la vita com’è. Finché possono e grazie a Dio.
Le linee-guida della Commissione europea sembrerebbero un po’ più ragionevoli riguardo alla “parità di genere”. Sconsigliato l’uso del termine “uomo” per indicare l’intera umanità. Verrebbe da concordare, benché in origine designasse appunto l’essere umano (da humus=terra) e non il maschio. La scrivente ha sempre sostenuto la necessità di declinare al femminile professioni e ruoli per lungo tempo considerati “virili”. Il guaio è che poi, sempre in nome dell’inclusione, è proprio il femminile a dover cedere il passo ad asterischi, chiocciole o schwa il cui utilizzo è caldamente raccomandato dalle direttive UE. E, si badi bene, gli uomini (maschi) non vengono mai messi in discussione: nessuno li chiama individui con la prostata o penemuniti, mentre il vocabolo “donna” è stato rimosso da autorevoli pubblicazioni specialmente anglosassoni (“The Lancet” su tutte) in favore di mestruatori, possessori di vagina, persone gestanti, e tutto al fine di coinvolgere non-binary, genderfluid e chi si percepisce al femminile pur mantenendo corpo, ormoni e cromosomi XY. Proprio così: la parola “donna” sta diventando oltraggiosa, se è vero che nel convegno per un PNNR equo, coorganizzato da Regione Emilia-Romagna e Period think tank, non viene menzionata nemmeno una volta.
Curiosa, vero?,Questa neolingua che si fa analitica perché incapace di sintesi e, al tempo stesso, annulla le differenze in nome della diversità. E non-cristiani, variamente colorati, neopagani, omobitransetero aspettino a rallegrarsi: questa non è la loro vittoria, ma solo un primo passo che porterà all’omologazione totale, al neutro cosmico che assorbirà ogni precipuo, e autentico, afflato dello spirito, qualsivoglia originalità di culture, qualunque irripetibile impronta digitale. E il naufragio in questo mare non sarà affatto dolce.